Le Marche somigliano al Wyoming, altro che Ohio: ecco perché la destra vince e la sinistra perde
Altro che "Ohio", lo Stato americano in bilico per eccellenza, simbolo del voto conteso. Dopo le elezioni regionali, le Marche somigliano sempre di più al Wyoming, tradizionale roccaforte dei repubblicani. Il "day after" della sfida tra il presidente uscente Francesco Acquaroli e lo sfidante Matteo Ricci lascia poco spazio all'immaginazione: non c’è mai stata davvero partita.
Il distacco di quasi 8 punti percentuali racconta un divario netto, invalicabile, che ha reso vana ogni aspettativa di un testa a testa. Alcuni analisti e sondaggisti avevano previsto un esito più incerto, ma la realtà è stata una vittoria chiara del centrodestra. Tempo, ora, di riflessione per il centrosinistra, mentre la coalizione di governo regionale può legittimamente esultare e guardare con fiducia al futuro.
La tanto evocata "spallata" al governo Meloni non si è verificata, almeno nelle Marche. Il cosiddetto campo largo è sembrato più un accordo tra gruppi dirigenti che un’alternativa reale. Non è riuscito a trasformarsi in un fronte sociale, come pure riuscì — tra mille contraddizioni — l’Ulivo del 1996.
La linea “testardamente unitaria” del centrosinistra, come l’ha definita Elly Schlein, non è riuscita a penetrare nella società. Non ha mobilitato né i delusi né gli sfiduciati. E dire che le premesse per un ribaltamento c’erano. In questi cinque anni di governo Acquaroli, le Marche non hanno certo brillato negli indicatori economici e sociali.
La crescita del PIL regionale tra il 2019 e il 2024 è stata del 2,8%, contro il 3,3% nazionale; la quota del PIL delle Marche sul totale italiano è scesa dal 2,39% al 2,31%; le liste d’attesa nella sanità restano un problema irrisolto.
Eppure tutto ciò non ha inciso sul voto. Un elettore su due ha disertato le urne. L’astensionismo è il dato politico più allarmante per entrambi gli schieramenti, ma soprattutto per il centrosinistra, che non riesce a intercettare il malcontento.
Non è bastata nemmeno la mobilitazione per Gaza, che ha animato piazze piene di giovani, migranti, studenti, cittadini delusi. Quella protesta, pur politicamente viva, non si è trasformata in consenso elettorale.
Il centrosinistra appare ancora scollegato da quella parte di società potenzialmente progressista, che — proprio come molti elettori di destra — ha scelto di restare a casa, convinta che il voto non cambi nulla, né nella propria vita né su questioni globali. Un segnale inquietante, che parla di rassegnazione profonda.
Nel suo Viaggio in Italia, Guido Piovene osservava: «Se l’Italia è un distillato del mondo, le Marche lo sono dell’Italia». Oggi, quella visione delle Marche come sintesi autentica dell’Italia sembra assumere un’altra lettura: non più ricchezza nascosta e integrità paesaggistica, ma apatia democratica e disinteresse elettorale, come se la mancanza di spettacolo evocata dall’autore si fosse trasformata in rassegnazione politica.
Acquaroli rassicura, Ricci non rompe il muro. Mentre il centrosinistra cercava di attivare piazze e temi etici, il centrodestra ha scelto un’altra strategia: rassicurare. E lo ha fatto con i volti dei leader nazionali - da Giorgia Meloni (che ha rotto ogni consuetudine istituzionale partecipando alla campagna locale), a Matteo Salvini e Antonio Tajani - unendo il livello regionale e quello statale. Il volto di Francesco Acquaroli, più defilato e meno esposto mediaticamente rispetto a Matteo Ricci, è apparso rassicurante, più familiare, meno "politico".
In provincia di Macerata la disfatta è stata ancor più sonora, con le aree interne, quelle più segnate dalle ferite del terremoto, che hanno scelto di affidarsi in massa ad Acquaroli, con percentuali che, in alcuni comuni, sono state "bulgare": Monte Cavallo (90%), Cessapalombo (83%), Bolognola (83%), Castelsantangelo sul Nera (81%), Pieve Torina (80%), Camerino (61%).
A Tolentino Fratelli d'Italia, grazie a Silvia Luconi, si è spinta sino al 47%. Evidentemente aver dato l'impressione di deviare dal lavoro del commissario alla ricostruzione Castelli, invece che continuarlo, ha portato gli abitanti delle zone terremotate a votare per Acquaroli, temendo di perdere fondi pubblici già indirizzati. Una scelta rassicurante, per l'appunto. Qui la priorità è riavere di nuovo la propria casa, il prima possibile. E non potrebbe essere altrimenti.
A ciò si aggiunga come la gran parte degli amministratori, in queste aree, sia di centrodestra come ammesso ieri dallo stesso Ricci: "Le forze in campo sapevamo fossero del tutto sbilanciate, per ogni manifesto nostro ce ne erano dieci degli altri, così come la maggior parte del potere nei comuni".
Molto si è detto sui social della presunta mancanza di programmi. Ma i programmi c’erano: quello del centrosinistra era lungo 56 pagine. Il centrodestra ha puntato invece su parole chiave come “filiera istituzionale” e coesione con il governo centrale. ZES, milioni in arrivo e la spinta della classe media.
Un esempio emblematico di questa filiera è la ZES unica, la Zona Economica Speciale, che ha attirato l’interesse di imprenditori e ceto medio. La pioggia di fondi nazionali sulla regione ha funzionato come garanzia: una promessa concreta più che un sogno ideologico. Poco importa se l’Unione Europea classifica le Marche come regione in transizione, ovvero tra le meno sviluppate: la percezione di essere “al centro” delle politiche economiche ha pesato più dei numeri in un certo elettorato.
Il centrosinistra ha pagato anche il peso del proprio passato, in particolare la questione ospedali. Il tema della chiusura di alcuni presidi sanitari è stato agitato come un totem dal centrodestra, anche se la questione è ben più complessa di uno slogan da social.
La verità è che non basta un buon candidato, né serve un leader più presente nei media. Matteo Ricci ha preso qualche voto in più rispetto alla sua coalizione, ma non è riuscito a sfondare.
Per il centrosinistra marchigiano si prospettano tempi difficili. Da anni, all’interno del PD e delle sue aree più riflessive, si dice che solo rimobilitando la società — i precari, i ceti popolari, le periferie — si può costruire una vera alternativa alle destre. Questa volta, non è accaduto. Non per colpa dei candidati, ma per l’assenza di un progetto politico che parli davvero alle persone. Finché ciò non cambierà, le Marche continueranno ad assomigliare sempre di più al Wyoming, e sempre meno all’Ohio.
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