
di Fabrizio Scoccia

Il linfidema: una condizione patologica da controllare e gestire
La stagione è già molto calda e si prevede che lo sarà a lungo. Tra le condizioni patologiche che maggiormente possono essere aggravate dalle alte temperature c’è sicuramente il linfedema, gonfiore causato da un accumulo di linfa nei tessuti. In estate può essere più acuto a causa dell’aumento della temperatura e della vasodilatazione che ne consegue. Proprio per questa possibilità pare opportuno oggi parlare di questa particolare patologia con l’operatore sanitario che si occupa del controllo e riduzione del linfedema: il fisioterapista. Ne parliamo con il Dr. Vincenzo Di Costanzo operatore presso il centro medico Associati Fisiomed. Di Costanzo cos’è il linfedema e da cosa può essere causato? "Il linfedema è un gonfiore anomalo e persistente, che si sviluppa quando il sistema linfatico non riesce più a drenare correttamente la linfa, cioè un liquido ricco di proteine e scorie. Questo provoca un ristagno nei tessuti, più spesso in un braccio o in una gamba. Può essere primario, cioè congenito, oppure secondario, ad esempio in seguito ad interventi chirurgici (come la mastectomia con rimozione di linfonodi), radioterapia o traumi. È una condizione cronica, ma se diagnosticata e trattata precocemente, può essere ben gestita." Quali segnali possono far pensare a un linfedema e come si arriva alla diagnosi? "I primi segni sono spesso un gonfiore localizzato, una sensazione di pesantezza o tensione nella pelle, e in alcuni casi una riduzione della mobilità dell’arto. All'inizio il gonfiore può comparire solo a fine giornata e migliorare con il riposo, ma col tempo diventa stabile. Per la diagnosi si parte dall’esame clinico e si può ricorrere all’ecografia oppure esami più avanzati come la linfoscintigrafia e la fluorescenza con ICG, che mostrano il funzionamento dei vasi linfatici." In cosa consiste il trattamento e che ruolo ha il linfodrenaggio manuale? "Il trattamento più efficace è la cosiddetta Terapia Decongestiva Complessa, che include: linfodrenaggio manuale, una tecnica eseguita da fisioterapisti specializzati, questo metodo prevede movimenti manuali lenti, ritmici e molto delicati, eseguiti in una sequenza precisa, con lo scopo di stimolare il deflusso della linfa nei vasi superficiali e favorirne il riassorbimento. Il metodo Vodder è particolarmente indicato perché rispetta la fisiologia del sistema linfatico e aiuta a ridurre l'infiammazione e il dolore, migliorando nel tempo la qualità della vita del paziente. Bendaggi multistrato o tutori elastici, per mantenere la riduzione del volume. Esercizi attivi mirati, che aiutano il ritorno linfatico sfruttando il movimento muscolare. Cura della pelle, per evitare infezioni. Concludo ricordando che il linfedema non deve essere ignorato. Una presa in carico precoce da parte di un fisioterapista specializzato può fare la differenza nel contenere l'evoluzione della patologia e nel migliorare la qualità della vita del paziente. Rivolgersi a professionisti qualificati è il primo passo verso una gestione efficace e sicura."

Occhi sotto controllo: nuove terapie e diagnosi avanzate per glaucoma e maculopatia
La salute dei nostri occhi e la buona conservazione della vista sono argomenti molto importanti per una buona gestione ed una buona qualità della nostra vita. Anche nella comunicazione ed informazione per una cultura generale della salute sono abbastanza le difficoltà di trattazione dell’argomento con la consapevolezza che le fonti di buona informazione devono essere ben verificate. Noi abbiamo l’opportunità di consultare uno specialista oculista di grande esperienza, il dottor Cristian Pollio, direttore di un centro oculistico di riferimento nazionale a Chieti e consulente del centro medico del nostro territorio Associati Fisiomed. Dott Pollio ci parli della sua specialità: l’oculistica "Ovviamente il medico oculista si occupa dell’occhio e del senso della vista. Spesso si ritiene non necessario un controllo perché si ha la percezione di una buona vista, invece bisogna comunicare che alcune patologie di cui vorrei parlare come il glaucoma e la maculopatia possono essere individuate ancora prima che ci siano dei sintomi negativi evidenti. Quindi una visita oculistica dopo i 50 anni è consigliabile a tutti, ancor più se ci sono episodi di familiarità riscontrabili". Dr. Pollio l’invecchiamento della popolazione, siamo alla media di attesa di vita di circa 86 anni per le donne e 82 per gli uomini, comporta un aumento dell’incidenza di queste patologie dell’occhio? "Sicuramente sì. Nei nostri paesi industrializzati il glaucoma e la maculopatia rappresentano circa il 70% delle patologie oculari riscontrate. La cataratta, che invece è la prima patologia riscontrata nei paesi non industrializzati, ha avuto da noi una particolare attenzione per cui possiamo dire che con un semplice intervento chirurgico è risolvibile. In quei paesi invece è ancora un gravissimo problema per mancanza di strutture sanitarie adeguate per interventi generalizzati. Per noi il problema è la prevenzione del glaucoma e della maculopatia. Lo ripeto ma penso sia utile: è indispensabile una visita oculistica almeno annuale a partire dai 50 anni". Quali sono le ultime indicazioni terapeutiche per il trattamento della maculopatia e del glaucoma? "La maculopatia nella forma secca rappresenta circa il 70% della causa di abbassamento della vista, determina un deterioramento dello spessore della retina che diventa sempre più sottile. Una volta si faceva uso essenzialmente di una simil vitamina, la luteina; oggi abbiamo a disposizione tecniche molto più efficaci come la fotobiomodulazione e la iontoretina, armi che riescono a rallentare o addirittura a fermare il deterioramento dello spessore retinico. I pazienti trattati devono essere già però consapevoli insieme allo specialista che li segue della malattia. Per il glaucoma si utilizza il laser sotto soglia, una sorta di laser freddo che non comporta ustioni e ritarda l’uso di colliri abbassando la pressione oculare preservando il campo visivo. Infine possiamo dire che il protocollo, l’iter per il trattamento di maculopatia inizia con un accertamento tramite OCT, sorta di tac dell’occhio ed angio-OCT. Questi hanno sostituito la fluoroangiografia che utilizzava coloranti in vena. Se l’accertamento rivela una maculopatia secca abbiamo già descritto il protocollo terapeutico, se umida bisogna ricorrere alla sala operatoria con iniezioni intravitreali che hanno anch’esse approfittato di una ricerca che le rendono meno frequenti". Dr. Pollio lei a Chieti è Direttore di un importante centro dove tutto quello che ci ha descritto è possibile. Qui nel nostro territorio lei è consulente di Associati Fisiomed. Siamo nelle stesse condizioni? "A livello diagnostico sicuramente sì, a livello terapeutico stiamo completando la disponibilità delle tecniche citate in attesa che si abbia a disposizione anche il blocco operatorio. Permetterebbe a quel punto di completare tutta l’offerta, siamo davvero a buon punto. La sanità privata deve fare investimenti importanti perché quello che era vero 3 anni fa, spesso in tecnologia sanitaria non è vero oggi. Fortunatamente la ricerca è in continua evoluzione, propone sempre nuove e più efficaci soluzioni. Sono soddisfatto della collaborazione con Associati Fisiomed perché ho la percezione che gli investimenti e l’innovazione vadano di pari passo. Sono anche molto propenso ad aiutare Associati Fisiomed nel loro grande impegno nell’informazione e comunicazione medico-scientifica. Nel nostro colloquio abbiamo sottolineato di quanto sia importante la prevenzione che può essere stimolata da una cultura della salute rivolta a tutti e che deve essere alla base di tutto il servizio sanitario. Ad Associati Fisiomed anche in questo ambito c’è grande impegno".

Il sole è un amico, basta sapere come prenderlo: i consigli del dermatologo Massimo Cioccolini
Non siamo ancora giunti alla data che certifica nel calendario l’entrata ufficiale dell’estate, ma le temperature e il sole di questi giorni ci danno la sensazione che l’estate sia già nel suo pieno. C’è chi sta molto all’aria aperta per lavoro, chi lo fa per praticare sport, chi ama passeggiare nella natura, chi si dedica alla cura di orti e giardini e poi ci sono loro, gli appassionati della tintarella, che non perdono tempo a infilare il costume e godere della tranquillità della spiaggia. Qualunque sia il vostro modo di rapportarvi a lui, è sempre bene ricordare che il sole può essere un grande alleato della salute, purché si mettano in pratica già da ora tutte le regole valide per una corretta esposizione solare. Regole ormai note, certo, ma vale la pena di ricordarle per evitare pericolose scottature. È infatti il caso di ribadire che le ustioni solari non provocano solo un semplice fastidio passeggero: la pelle ha buona memoria e, prima o poi, presenta il conto con antiestetiche rughe o macchie (nella migliore delle ipotesi), o sviluppando patologie ben più serie. Cosa fare, quindi? Innanzitutto possiamo iniziare dalla tavola, predisponendo la cute alla stagione estiva, idratandola e fornendole le sostanze necessarie per difendersi dalle aggressioni dei raggi UV. È dunque importante bere molta acqua e consumare quotidianamente alimenti ricchi di vitamine, sali minerali e sostanze antiossidanti. Tra questi spiccano sicuramente gli ortaggi, in particolare quelli ricchi di betacarotene, che stimolano la formazione della melanina: carote, zucca, pesche, albicocche, melone e, in generale, frutta e verdura di colore giallo o arancio. Ma anche il rosso e il verde devono andare di moda nei nostri piatti: consumiamo kiwi e agrumi per il loro contenuto di vitamina C e facciamo il pieno di rucola, pomodori, peperoni, fragole, ciliegie e anguria. Infine, è sempre bene assumere la giusta quantità di grassi “buoni”, dalle spiccate proprietà antiossidanti, mangiando regolarmente pesce azzurro, frutta secca e privilegiando come condimento olio extravergine di oliva di qualità. Qualora non sia possibile introdurre regolarmente queste sostanze attraverso l’alimentazione, il medico potrà consigliare uno specifico integratore (ne esistono molti in commercio) da iniziare ad assumere prima dell’esposizione solare. Seguire i suddetti consigli alimentari non è però sufficiente a preservare l’integrità della pelle quando l’azione dei raggi UV è particolarmente intensa. Ce lo conferma il dottor Massimo Cioccolini, specialista in dermatologia, consulente a Macerata del gruppo medico “Associati Fisiomed”: Dottor Cioccolini, come e perché proteggere la pelle dal sole? I raggi ultravioletti provocano danni quali disidratazione, invecchiamento precoce, eritemi, ustioni e, soprattutto, possono essere causa di fenomeni degenerativi che producono lesioni precancerose e tumori cutanei veri e propri. È pertanto molto importante adottare delle misure di protezione se ci si vuole esporre al sole in maniera adeguata: è bene esporsi nelle prime ore del mattino o del tardo pomeriggio, evitando le ore centrali della giornata, in cui i raggi UV sono più aggressivi. Un ulteriore accorgimento è la protezione attraverso filtri solari di adeguata gradazione, tenendo conto del proprio fototipo (colore di pelle, occhi e capelli). Per legge vengono considerati prodotti solari tutti quelli in grado di fornire una protezione dai raggi UVB e UVA superiore a 6, ma in estate anche chi ha la pelle tendenzialmente scura dovrebbe adottare un fattore di protezione tra 20 e 30, mentre per gli incarnati chiari l’SPF più adeguato non si colloca sotto 50. Va inoltre ricordato che la protezione solare va applicata generosamente dopo ogni bagno o doccia e anche in caso di cielo lievemente coperto o se si staziona prevalentemente all’ombra, poiché tali condizioni non annullano totalmente l’azione dei raggi solari. Ci parli dei nei. Quando va eseguito il controllo? Per i nei va fatto un discorso a parte. Sono lesioni estremamente delicate, in quanto la radiazione solare può innescare importanti fenomeni degenerativi ed essere una delle cause della trasformazione dei nei in tumori estremamente aggressivi: i melanomi. È pertanto consigliabile una visita dermatologica di controllo dei nei, in cui lo specialista li prende in esame singolarmente con il dermoscopio, uno strumento in grado di valutare con buona precisione caratteristiche ed eventuale pericolosità di ciascun neo. Sarà poi il dermatologo a stabilire la periodicità dei successivi controlli: in genere una volta l’anno, o più frequentemente – ogni 3/6 mesi – se il paziente presenta nei a rischio di degenerazione.

La salute delle vene: intervista al medico flebologo Daniele Travaglini
Qualche settimana fa ho accompagnato il mio amico Daniele Travaglini all’Università Federico II di Napoli, dove ha tenuto una lezione ai medici specializzandi in Chirurgia Vascolare, corso presieduto e gestito dal professore Gennaro Quarto. Egli ogni anno propone per i suoi studenti lezioni impartite dai professionisti del settore con più esperienza e che si distinguono per la loro attività clinica nei territori dove lavorano. Davvero un metodo molto inclusivo di conoscenze ed esperienze. Il professor Quarto correda il suo impegno didattico con una particolare attenzione all’informazione e comunicazione, ed ha concesso anche a me, giornalista medico, di integrare la lezione con considerazioni su come comunicare le nozioni scientifiche per inserirle in una generale cultura della salute aperta a tutti. Il dottor Travaglini fa parte di questo progetto virtuoso per la sua enorme esperienza di flebologo, per la stima che gode il suo lavoro nella regione Marche. Una settimana fa si è svolto a Pisa il congresso nazionale della SIF (Società Italiana di Flebologia), dove è stato ricordato il professor Roberto Bisacci, scomparso qualche anno fa. Docente di Chirurgia Vascolare all’Università di Perugia, marchigiano anche lui, di Montegranaro, era amico fraterno e maestro del dottor Travaglini. A Pisa, in suo onore, sono stati consegnati riconoscimenti a studi meritevoli svolti da giovani ricercatori e in questo ambito è stato premiato uno studio coordinato dal dottor Matteo Travaglini. Sono stati anche proposti progetti di collaborazione tra diversi presidi scientifici, alcuni da sviluppare nelle Marche. Per celebrare questi eventi, ed essendo arrivata la stagione calda particolarmente impegnativa per il nostro circolo sanguigno, mi piace riproporre una conversazione con il dottor Daniele Travaglini riguardante le nostre vene e su come prevenire i rischi e curare le patologie che possono compromettere il loro funzionamento. Dott. Travaglini, quali sono i fattori di rischio per lo sviluppo di flebopatie? "I fattori di rischio dovuti essenzialmente a stili di vita sono l’obesità, la sedentarietà, il fumo e l’uso eccessivo di sale. Altro fattore di rischio importante è connesso alla genetica; la familiarità nelle flebopatie è da tenere in gran conto essendoci un riscontro molto frequente. È da considerare, per osservazioni obiettive e studi epidemiologici, che le donne hanno una predisposizione maggiore per questo tipo di patologie. Si calcola che il rapporto donna/uomo sia di 3 a 1. Particolarmente frequenti soprattutto nelle donne in gravidanza e in quelle che fanno uso di contraccettivi orali". Come prevenire l’insorgenza di una flebopatia? "Esaminando i fattori di rischio, possono essere facilmente individuati gli elementi della prevenzione: una corretta alimentazione con uso moderato del sale, un’attività fisica misurata e costante, non fumare ed esaminare la casistica specifica nell’ambito familiare per sentirsi pronti ad ogni piccolo indizio sintomatico. L’eccessiva esposizione al sole nei mesi estivi con alta temperatura può essere un altro elemento aggravante". Come curare queste patologie e quali sono i rischi se vengono trascurate? "L’esame da effettuare per analizzare lo stato delle nostre vene e controllare l’evoluzione di eventuali stati della patologia e i risultati della terapia è l’ecocolordoppler. Il rischio maggiore è la formazione di trombi, che avviene soprattutto nelle flebopatie profonde. Quando è riscontrata una flebopatia è compito del medico flebologo ridurre sia il rischio suddetto, sia il peggioramento dello stato iniziale, che può riservare disagi funzionali ed anche estetici. La terapia per eliminare il trombo della vena è prevalentemente farmacologica, per mezzo di farmaci anticoagulanti. È inoltre indispensabile usare dei tutori (calze) elastici, che velocizzano il flusso sanguigno, supplendo all'ostruzione del vaso e ripristinando una corretta circolazione. Il farmaco di prima linea per combattere la Trombosi Venosa Profonda è l'eparina, con i suoi derivati di base e di uso comune. La moderna medicina ha sviluppato già da anni farmaci anticoagulanti comodamente assumibili per via orale, da prendersi però sotto stretto controllo medico. In ambito chirurgico, per le varici, ci sono trattamenti endovascolari, che mirano a chiudere i vasi senza eliminarli fisicamente. Essi si dividono in trattamento con radiofrequenza e trattamento laser. Entrambe le tecniche, termoablative, sono mirate all’occlusione del tronco safenico. Sono procedure mini-invasive, cioè non prevedono ferite chirurgiche. Possono essere eseguite in anestesia locale con/senza tumescenza, praticata dallo stesso operatore che esegue la termoablazione, risultando molto adatte a un trattamento realmente ambulatoriale". Quali sono le nuove frontiere della riabilitazione vascolare? "Una delle pratiche riabilitative vascolari e soprattutto flebologiche era ed è ancora la passeggiata lungo la riva del mare con acqua salata ed ondulata che arriva fino al bacino. Da sempre anche la terapia termale ha avuto attenzione al trattamento vascolare con camminamenti in acqua minerale. I principi riabilitativi sono gli stessi della passeggiata in riva al mare, ma in questo caso è tutto più mirato ed organizzato e l’acqua può offrire l’azione di più minerali. Negli ultimi anni un bel percorso di studio e ricerca è stato fatto tra la SIF (Società Italiana di Flebologia) e Federterme per arrivare a degli ulteriori protocolli sperimentali. Qui nelle Marche vi sono stati il primo confronto di collaborazione e la prima applicazione dei principi della ricerca".

Il futuro della sanità: tra crisi del pubblico, sfide della prevenzione e integrazione con il privato
La sanità che verrà... non lo sappiamo perché le stagioni della vita, della politica, delle idee e delle ideologie stanno acquisendo una dinamica particolarmente veloce, volubile ed intrisa di tutte le variabili sociali, tecnologiche, economiche. Un principio è certo ed indiscutibile: tutti hanno il diritto di difendere il bene più prezioso della vita, la salute. In una società culturalmente avanzata, democraticamente organizzata ed umanamente consapevole questo principio deve essere intangibile ed ogni sforzo da parte di tutti è doveroso perché sia rispettato. È evidente che nonostante l'assoluta razionale priorità le difficoltà siano tante e spesso acuite anche da scelte politico-amministrative che non danno i risultati sperati o addirittura perché la salute viene considerata un bene commerciale e non un valore umano vitale. Fatta questa premessa doverosa dobbiamo anche riconoscere che il Servizio Sanitario Nazionale Italiano è tra i più trasversali e universali al mondo permettendo un accesso gratuito o quasi a tutti i migliori servizi sanitari a tutti i cittadini ed anche residenti in Italia. Il problema è che il servizio pubblico non ce la fa più, fa fatica a fare fronte alle esigenze legittime di una popolazione sempre più anziana, maggiormente vulnerabile, e con l'ausilio di una assistenza e di una tecnologia in continua evoluzione nella diagnosi e cura della malattia. Proprio in questo convulso contesto la comunicazione sanitaria, l'educazione alla salute e quindi la prevenzione sta assumendo un ruolo sempre più centrale. In una visione così variegata è opportuno pensare che il Servizio Pubblico ha bisogno di collaborazione, integrazione, solidarietà organizzativa da tutte quelle strutture anche private che abbiamo però la finalità di facilitare i cittadini e le istituzioni perché la salute sia al centro degli obiettivi. Le strutture sanitarie private di sicuro hanno un obiettivo economico ma se ligie ai principi fondamentali del loro servizio lo devono amalgamare al raggiungimento di un risultato generale. Ed ecco allora l'auspicata unione di intenti, la diminuzione di alcune malattie con la pace, concordia e interazione della ricerca. La spesa per la prevenzione può essere molto vantaggiosa anche a confronto della possibilità di limitare patologie e cure. Il futuro della Sanità dovrebbe essere incentrato proprio sulla collaborazione tra pubblico e privato, dove il privato non è convenzionato ma integrato, dove può dare un contributo decisivo nella rincorsa continua a una tecnologia sempre più avanzata e in continua evoluzione, dove l'istituzione di spazi organizzativi e utilizzo di professionalità per la comunicazione e cultura della salute per la prevenzione abbia tempi e modalità veloci ed efficaci. Le strutture private devono condividere intuizioni e progetti con le istituzioni pubbliche. Di sicuro un simile modello ridurrebbe la spesa perché favorirebbe una unica visione della necessità del territorio con ruoli ben distribuiti a secondo delle capacità dimostrate e condivise. Un'utopia? Ci sono già personalità politico-amministrative e tecnici della Sanità pubblica che lavorano a un progetto unitario, ci sono imprenditori della sanità privata che non ambiscono solo a una favorevole convenzione dei servizi ma propongono un modello attento alle urgenze dei cittadini e alla comunicazione e prevenzione. Far incontrare le loro intuizioni potrebbe essere l'embrione di un Servizio Sanitario nuovo, necessario per garantire la protezione della salute a tutti indistintamente come è scritto nella nostra Costituzione.

Alla mamma…e oltre: come vivere bene e a lungo nella terza età, intervista al dottor Mancini
In occasione della Festa della Mamma mi è venuto quasi spontaneo riproporre un articolo realizzato in collaborazione con il dottor Giorgio Mancini geriatra, che ben evidenzia le problematiche delle persone che si avviano verso l’anzianità o che la stanno vivendo. Tante sono le mamme, un grande augurio per loro. L’attuale speranza di vita, molto più lunga rispetto al passato, crea nuove aspettative ed opportunità anche per chi è entrato nella cosiddetta "terza età" il cui limite gli studiosi e i geriatri tendono ad innalzare sempre di più oltre i 65 anni convenzionali. Negli ultimi decenni, le stagioni sono cambiate, le condizioni atmosferiche e climatiche sono mutate a causa di un impercettibile ma continuo riscaldamento del pianeta che ha prodotto inverni miti, estati torride, autunno e primavera sempre meno spesso connotati dalle loro tipiche caratteristiche. Al pari delle stagioni dell’anno solare, anche quelle della vita umana stanno mutando con un continuo allungamento della vita stessa e significativi elementi di assoluta novità, impensabili fino a non più di 50 anni fa. Che ci siano connessioni nell’evolversi dei due fenomeni può essere un’idea suggestiva, benché mancante di un reale fondamento scientifico. Piace però evidenziare il continuo mutamento di tutte le cose, il "Panta rei" dei filosofi greci, che ha avuto la sua riprova nella storia, nei fenomeni fisici tangibili come nello spirito, nella vita nel suo complesso, i cui meccanismi non sono e forse non saranno mai svelati fino in fondo. Dopo questa premessa speculativa, la nostra pagina vuole occuparsi dell’evolversi delle stagioni dell’esistenza umana, di come si può allungare la vita e, soprattutto, di come viverla bene e con soddisfazione fino alla fine. L’aumento della speranza di vita dipende da numerosi fattori: l’avanzamento della tecnologia che, tra le altre cose, ha permesso di tutelare l’igiene di un elemento essenziale come l’acqua; la conseguente diminuzione delle infezioni e i grandi progressi strumentali e farmacologici della medicina; le regolamentazioni sociali nel lavoro, la diffusione della cultura della prevenzione nella salute. La vita media che si allunga, non per tutti ma per molti, pone oggi il problema di individuare il fattore capace di amalgamare tutte le sue stagioni per colmarla di benessere e appagamento in tutte le sue fasi, che renda ogni momento degno e piacevole da vivere sia da giovani che da anziani, ovviamente con le dovute proporzioni. L’elemento capace di lenire i logorii fisici, psicologici e spirituali può essere anche l’amore. È questo un concetto che racchiude in sé tante immagini, ma, volendo trovare una definizione seppur incompleta e riduttiva, possiamo dire che l’amore è l’insieme di sensazioni in grado di stimolare al massimo le nostre risorse fisiche e mentali, coinvolgendoci in un’attrazione viscerale verso qualcuno o qualcosa. Durante l’infanzia impariamo a riconoscere l’amore percependo quello che gli altri nutrono nei nostri confronti; chi non ne ha ricevuto da bambino fatica ad elargirne una volta cresciuto. Adolescenza e giovinezza segnano la scoperta dell’attrazione fisica, che ad un certo punto si trasforma in amore verso qualcuno e l’aspetto carnale del sentimento ci scuote fino a rapire e totalizzare la nostra mente. Poi crescendo l’amore può continuare a rivolgersi ad una persona in particolare ma si espande, in forme diversificate, verso i figli, le persone care, il lavoro, i nostri interessi… In tarda età solitamente figli e nipoti sono oggetto di amore, o meglio, per restare alla definizione, sono ciò che stimolano le capacità vitali. Ma, parlando dell’allungamento della vita e dei suoi risvolti, una considerazione particolare merita anche l’aspetto sessuale dell’amore. Esso si basa sullo stimolo ormonale innescato dalla natura per indurre la riproduzione della specie. Tale stimolo va decrescendo nell’uomo, ma può protrarsi fino alla tarda età, anche se l’atto in sé diviene sempre più difficoltoso per questioni “tecniche” dovute all’invecchiamento del sistema circolatorio. Nella donna, invece, l’impulso sessuale subisce un improvviso calo con l’arrivo della menopausa. Questo almeno era lo schema storicamente accettato, ma già da qualche tempo le cose hanno preso una piega ben diversa. Per l’uomo la farmacologia ha individuato il modo per superare le difficoltà circolatorie garantendo un deciso incremento della vita sessualmente attiva. Nella donna il meccanismo è decisamente più sottile e sofisticato: una donna in menopausa può sperare di vivere ancora molti anni e ciò la spinge ad attivare una serie di interventi a livello psicologico e comportamentale per piacersi, per piacere, per essere desiderata sempre più a lungo. Un mix di sensazioni e desideri che va a compensare lo stimolo ormonale venuto a mancare. Anche per la donna comunque la farmacologia sta muovendo i suoi passi per permettere una vita sessuale ancora appagante. Tuttavia, la possibilità di vivere bene e a lungo la propria silver age è influenzata sia per l’uomo che per la donna da diversi altri fattori che possono essere quelli genetici, le occasioni sentimentali, la conservazione di un buono stato di salute con stili di vita appropriati. Ne parliamo con il dott. Giorgio Mancini, già direttore dell’U.O. di Geriatria dell’Ospedale di Macerata, oggi consulente del centro medico "Associati Fisiomed" e sempre molto impegnato nella ricerca dei migliori modi per la preservazione della salute degli anziani. Dott. Mancini, come tutelare la salute delle persone nella terza età ed oltre? "Bisogna affidarsi anzitutto a quanto la scienza e la medicina hanno messo in campo negli ultimi anni. Da sempre comunque l’attività fisica è la miglior forma di prevenzione e, in alcuni casi di cura. Svolta in forma lieve e moderata, non teme controindicazioni e apporta benefici a tutti gli organi. L’Active Aging è un messaggio molto positivo, eppure solo il 10-15% degli anziani pratica regolarmente attività fisica". Che tipo di attività fisica consiglia? "Basta camminare per stimolare tante funzioni vitali, ma vanno bene anche il nuoto, la bicicletta, il giardinaggio, il ballo. Siamo nati per muoverci e, assecondando questa nostra predisposizione in tutte le fasi della vita, possiamo sperare di vivere più a lungo senza disabilità". E l’attività intellettiva? "Il Premio Nobel Rita Levi Montalcini diceva 'il cervello non va mai in pensione'. Ogni giorno perdiamo circa cinquantamila cellule nervose, ma ne possediamo miliardi. Quelle che restano mantengono la loro connessione ed efficienza se coltiviamo interessi che ci piacciono: lettura, musica, radio, televisione, computer, teatro, cinema, vita sociale, volontariato. È bellissimo donare agli altri un po’ di ciò di cui abbiamo usufruito. È importante che gli anziani poi continuino ad interfacciarsi con i giovani, per esempio per trasmettere loro i segreti di tanti mestieri, per consegnare alle nuove generazioni le chiavi per realizzare il loro futuro tra passato e presente, tra esperienza e tecnologia". E l’amore? È davvero possibile aspirare ad una vita sessualmente attiva anche nell’anzianità? "Attualmente ci sono molte condizioni che possono dare una risposta affermativa: miglioramento delle condizioni generali degli uomini e delle donne, gli ausili farmacologici sempre e comunque da utilizzare sotto controllo medico, una più grande possibilità di vita sociale ed individuale soddisfacente. Naturalmente l’approccio di ogni persona all’attività più intima della condizione umana è alla base di questa frontiera che non ha preclusioni per l’età". L’alimentazione è importante? "Certamente e non solo per gli anziani. Cibi e prodotti semplici e genuini influiscono positivamente sul processo di invecchiamento e sulla prevenzione di gravi patologie come i tumori. La dieta mediterranea, quella autentica dei nostri nonni, è di gran lunga preferibile ad altri regimi, mode e tendenze alimentari. Per vivere più a lungo e bene dovremmo limitare le quantità per non appesantire l’organismo. Cereali, latte, pesce, poca carne, frutta e verdura a volontà e, di tanto in tanto, un buon bicchiere di vino rosso: non serve altro". Per concludere, dott. Mancini? "Occorre raggiungere e conquistare un equilibrio interiore, stare in pace con se stessi e con gli altri, realizzare una sintesi di tutte le potenzialità fisiche, psichiche, affettive, intellettive proprie della persona. Quando poi subentrano malattie serie non dobbiamo accanirci su quanto perso, ma piuttosto ricercare le cure più appropriate per sostenere il corpo e le funzioni ancora valide. Un mio convincimento, che cerco anche per quanto possibile di applicare nella mia vita professionale, è la possibilità che l’organizzazione sanitaria pubblica dia un’assistenza domiciliare quando l’anziano è piuttosto fragile e viene colpito da malanni non tanto gravi. La tendenza è sempre quella di ricorrere all’ospedalizzazione; si rischia di peggiorare sia lo stato fisico che psicologico del paziente. Se il medico lo ritiene opportuno l’assistenza a domicilio è sicuramente molto preferita ed apprezzata dalla persona fragile. Per gli organizzatori della nostra sanità sia un punto su cui riflettere".

Diagnosi e cura delle malattie reumatiche: gli orizzonti. Intervista con il prof. Walter Grassi
La reumatologia è una delle specialità più complesse della scienza medica, tante sono le patologie riconducibili in più comparti fisiologici del nostro corpo. Alcune patologie sono alquanto frequenti, qualcuna rara, parecchie hanno un percorso già molto definito e sicuro di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, altre ancora oggetto di una profonda ricerca per raggiungerlo. Ne parliamo con il Prof. Walter Grassi, già direttore della Clinica Reumatologica dell’Università Politecnica delle Marche con sede nell’Ospedale “Carlo Urbani” di Jesi. Il Prof. Grassi clinico, ricercatore, docente universitario rispettato ed autorevole nella comunità scientifica nazionale ed internazionale ha messo a disposizione la sua cultura e la sua esperienza del centro medico “Associati Fisiomed” nella nuova sede del gruppo a Sforzacosta di Macerata. Con a disposizione la migliore tecnologia diagnostica e gli ambulatori riabilitativi di ultimo aggiornamento il Prof. Grassi effettua il suo lavoro di consulto ambulatoriale, ma non solo, è anche consulente per le strategie organizzative, referente per l’aggiornamento degli operatori sanitari interni e del territorio, infine partecipa alla comunicazione medico-scientifica sicura ed autorevole per i cittadini che vogliono approfittare dei nuovi progetti di "Associati Fisiomed" che non sono solo attenti alla diagnosi e cura ma anche alla prevenzione. La sanità privata del futuro che ambisce e lavora per un ruolo attivo di valenza sociale nella protezione della salute della comunità. Prof. Grassi cosa sono esattamente le malattie reumatiche? "La definizione non è facile in quanto con il termine 'reumatico' si definisce in modo molto generico una moltitudine di patologie molto diverse per sintomatologia e gravità. Formicolii, tumefazione dolorosa di un tendine o di una articolazione, cefalea, lesioni cutanee, stanchezza estrema, difficoltà respiratorie, problemi intestinali, occhio secco, dolore lombare, problemi cardiaci, perdita della vista, gravi problemi renali sono solo alcune delle manifestazioni che possono caratterizzare le diverse malattie reumatiche. Anche decorso e gravità sono molto variabili. Si va da condizioni di dolore meccanico intermittente a malattie croniche progressive che causano danni irreversibili non solo a livello muscolo-scheletrico ma anche cardiovascolare, renale e polmonare, con drammatica compromissione non solo della qualità ma anche della aspettativa di vita". Perché non dovremmo sottovalutare le malattie reumatiche? "Le malattie reumatiche non dovrebbero essere sottovalutate perché possono determinare una progressiva e irreversibile compromissione della integrità anatomica dei tessuti colpiti dai processi infiammatori o degenerativi, che sono alla base di queste malattie. Purtroppo nella cultura popolare l’aggettivo “reumatico” non suscita una reazione spontanea di ansia/allarme comparabile con quella di termini quali “oncologico”, “neurologico” o “cardiovascolare”. Il dolore “reumatico” viene considerato erroneamente come una sorta di inevitabile processo legato alla senescenza. Purtroppo questa comune tendenza a considerare le malattie reumatiche come i “dolori della nonna” è alla base di pericolosi ritardi diagnostici, con potenziali gravissime ripercussioni sullo stato di salute. Uno strano mal di schiena, manifestazione di esordio della spondilite anchilosante, può essere banalizzato per molti anni fino a quando ci si accorge che la malattia ha bloccato irreversibilmente i movimenti di flessione e estensione della colonna vertebrale, determinando così uno stato di grave invalidità, che avrebbe potuto essere efficacemente prevenuto se il sintomo iniziale non fosse stato sottovalutato". Quali sono le sfide più difficili nella diagnosi delle malattie reumatiche? "La sfida principale per ogni medico per il reumatologo in particolare, è quella della diagnosi precoce. 'Nell’Arte della Guerra', celeberrima opera di Sun Tzu (VI-V secolo a.C.) viene sottolineato che 'La rapidità è l’essenza della guerra'. Questo antico motto riportato nel più antico testo esistente di arte militare ha un valore fondamentale in Medicina. Il modo più efficace per combattere un nemico è individuarlo precocemente e conoscerne la pericolosità e le intenzioni. Si tratta di una sfida non facile, dal momento che le manifestazioni iniziali delle malattie reumatiche più gravi possono essere alquanto insidiose e possono sfuggire all’attenzione, specie in presenza di una concomitante polipatologia, di un panorama di sintomi molto variegato o in soggetti che assumono farmaci capaci di interferire con le manifestazioni cliniche della malattia reumatica dominante. Il laboratorio e la diagnostica per immagini sono un più che valido aiuto nello sciogliere le riserve di ordine diagnostico-differenziale, anche se paradossalmente, in uno scenario di diagnostica ipertecnologica, viene sempre più valorizzato il ruolo della cosiddetta 'Medicina Narrativa' che non è altro che il risultato del dialogo medico-paziente volto a definire le caratteristiche dei sintomi in termini di intensità e decorso. Si può guarire da una malattia reumatica? "Come in guerra o nello sport, a volte si vince, a volte si perde e spesso si pareggia. Fra le malattie reumatiche nelle quali possiamo aspirare a una piena vittoria figurano la gotta e la polimialgia reumatica. Si tratta di malattie caratterizzate da una devastante intensità di sofferenza. Il dolore di un attacco acuto di gotta è tra i più intensi che un essere umano possa sopportare, mentre una polimialgia reumatica in fase di conclamata espressività clinica porta chi ne è colpito a una condizione di devastante disperazione, con impossibilità a muoversi e a compiere le normali attività della vita quotidiana. Se prontamente riconosciute e adeguatamente trattate queste due malattie guariscono rapidamente e completamente! Grazie ai progressi della terapia farmacologica anche le temute artriti croniche (artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondilite anchilosante) possono essere efficacemente contrastate e bloccate, rallentando o evitando le gravi deformità articolari che si manifestavano inesorabilmente nel recente passato. Fra le condizioni più difficili da trattare figurano alcune malattie autoimmuni come la sclerosi sistemica, le vasculiti e il lupus eritematoso sistemico e, non ultima, la fibromialgia, che determina una drammatica compromissione della qualità della vita e nei confronti della quale non disponiamo ancora di un trattamento sistematicamente efficace". Quali sono i suoi obiettivi per l’immediato futuro? "Partecipare con sempre maggiore impegno ad una buona divulgazione medico-scientifica per la prevenzione, un servizio ad Associati Fisiomed molto ben organizzato con supporto anche ad iniziative di comunicazione di alto livello. La fibromialgia, patologia sempre più frequente alla mia attenzione, merita un particolare impegno ed uno stimolo per studi sempre più efficaci con ricerca di soluzioni che possano essere utili per riconquistare una buona qualità della vita".

Papa Francesco: i suoi sentimenti hanno distribuito tanto benessere
Anche una rubrica come "Sano a sapersi" non può esimersi dal raccontare quanto l’amore espresso e fatto percepire da un personaggio, che prima di essere Papa è stato un grande uomo, sia stato importante per la salute di tanti uomini e tante donne. Io sono un credente a fasi alterne, o meglio la ragione mi esclude l’esistenza di un Dio antropomorfo come spesso lo si immagina, il cuore mi suggerisce la necessità dell’esistenza di Dio che sappia rappresentare i migliori sentimenti umani: la solidarietà, la tolleranza, l’amore per una vita vissuta nella serenità, nel benessere e progresso per tutti. I sentimenti vitali di un Dio immanente in ognuno di noi, storicamente rappresentato da Gesù Cristo e nei nostri tempi interpretato al meglio da Papa Francesco. Non ho mai avuto modo di essere sempre e completamente d’accordo con le azioni e le parole di Papa Francesco. Grande tristezza la mia per la sua morte, si spera che chi verrà dopo di lui ne dovrà seguire la strada per un continuo riscatto e benessere delle donne e degli uomini. Io non ho avuto occasioni di incontri diretti con Papa Francesco, tranne uno, casuale ed inaspettato ma che è rimasto nei miei ricordi. Ero a Roma per partecipare all’assemblea dell’ASMI (Associazione Stampa Medica Italiana), che si svolgeva nella sua sede nazionale all’Ospedale Santo Spirito, adiacente al Vaticano, mi pare fosse nel giugno 2018. Sceso dalla metropolitana stavo distrattamente attraversando Piazza S. Pietro per raggiungere l’ospedale Santo Spirito, quando mi accorgo che era in corso poco più in là, davanti alla basilica l’udienza generale del mercoledì all’aperto. Papa Francesco stava impartendo la sua benedizione finale, mi fermai e spontaneamente feci il segno della croce, ripresi il mio cammino per arrivare alla riunione. Allora non ci feci nemmeno tanto caso, quel ricordo però mi è rimasto dentro, mi è anche capitato di pensare a quel fuggente e casuale momento come ad una benedizione al mio lavoro di divulgazione medico-scientifica per la prevenzione. Un motivo in più per non scordare mai un Papa che a sentire le testimonianze di questi giorni ha avuto anche il grande merito di consolare, aiutare e donare un po’ di benessere a tanta gente, forse il modo migliore per preservare una buona salute.

Tumore della prostata: prevenzione, diagnosi e terapia. L'intervista al dottor Fabrizio Fioretti
La prostata è un organo dell’apparato urinario maschile sensibile all’avanzamento dell’età con problematiche e patologie che possono andare dalla semplice ipertrofia, infiammazione fino alla possibile insorgenza e sviluppo di un tumore. Proprio di questa grave patologia dell’organo oggi vogliamo parlarne con lo specialista urologo Fabrizio Fioretti che svolge la sua attività nel territorio, consulente presso il centro medico Associati Fisiomed. Dr. Fioretti, tra le patologie di cui si occupa l’urologo, una di particolare interesse è sicuramente il tumore della prostata, cos’è e quanto è diffuso? "Esattamente, il tumore della prostata è la neoplasia più comune nell’uomo e ha origine dalle cellule presenti all’interno di questa ghiandola, che appartiene all’apparato riproduttivo maschile. Il rischio di sviluppare il tumore è direttamente correlato all’età e se tra i 50-60 anni sino a 1 uomo su 4 può presentare aggregati di cellule neoplastiche a 80 anni questa condizione riguarda 1 uomo su 2. Solitamente ha una crescita lenta, ma esistono anche forme più aggressive, nelle quali le cellule malate possono invadere in tempi brevi i tessuti circostanti e diffondersi ad altri organi. Grazie all’ampia diffusione di esami quali il PSA ed alle visite urologiche di prevenzione, diagnosi precoci e terapie sempre più efficaci hanno contribuito ad abbassare il tasso di mortalità di questa patologia e attualmente la sopravvivenza a 5 anni si aggira intorno il 92%, un 15% in più rispetto a un decennio fa". Chi è maggiormente a rischio e come si manifesta? "Come abbiamo già detto il primo fattore determinante è l’età con il rischio che aumenta progressivamente dopo i 45-50 anni. Il secondo fattore di rischio è senz’altro la familiarità, si ha circa il doppio delle possibilità di sviluppare la malattia in caso di parenti (padre, fratello etc) che hanno o hanno avuto diagnosi di tumore alla prostata rispetto a chi non ha o non ha avuto nessun caso in famiglia. Altri fattori di rischio comprendono alcuni tipi di mutazioni genetiche ma non meno importanti sono i fattori di rischio legati allo stile di vita, come dieta ricca di grassi saturi e obesità. Nelle fasi iniziali della malattia non si hanno sintomi e solo nelle fasi tardive e avanzate compaiono disturbi quali difficoltà a urinare, dolore, necessità di urinare spesso, presenza di sangue nelle urine o nello sperma. Una visita urologica eseguita nei giusti tempi può evitare che la malattia venga scoperta dopo la sua diffusione ma serve anche a diagnosticare problemi prostatici di tipo benigno che possono presentarsi con sintomi urinari simili". Si può fare prevenzione? E come si arriva alla diagnosi? "Proprio perché nelle sue fasi iniziali si presenta in genere totalmente asintomatico, l’arma principale contro il tumore della prostata è la diagnosi precoce. Il dosaggio del Psa, la visita urologica con esplorazione rettale, l’ecografia ed in casi selezionati la risonanza magnetica multiparametrica permettono una diagnosi adeguata nella pressoché totalità dei pazienti. In particolare dosaggio del Psa e visita urologica vanno eseguiti per la prima volta intorno ai 50 anni, ma nei pazienti che presentano familiarità l’età scende intorno ai 40. Molto importante è intervenire sui possibili fattori di rischio riguardanti lo stile di vita prima descritti e quindi limitare l’assunzione di grassi saturi, alcool e carni processate, favorendo invece alimenti ad azione antiossidante e antinfiammatoria ed una attività fisica moderata ma costante". Come si cura? "Una volta confermata la diagnosi di tumore della prostata e stabilito il grado di aggressività della malattia lo specialista urologo, dopo un’attenta analisi del paziente, consiglierà la strategia più adatta. Coloro che presentano una malattia a basso rischio possono beneficiare di opzioni terapeutiche che consentono di posticipare il trattamento al momento in cui la malattia diventa "clinicamente significativa". Eseguendo determinazioni del PSA, visite urologiche e biopsia prostatica in precisi momenti dopo la diagnosi si può controllare l'evoluzione della malattia e verificare la comparsa di eventuali cambiamenti tali da rendere indispensabile un intervento ("sorveglianza attiva"). Nei pazienti con adeguata aspettativa di vita la chirurgia è oggi il trattamento più diffuso ed efficace per trattare il cancro circoscritto alla ghiandola e la rimozione della stessa e dei linfonodi circostanti è da considerarsi un intervento curativo in una grandissima percentuale di casi. Trattamenti alternativi e tuttavia molto efficaci nel controllo della malattia, da scegliere sempre in base alle caratteristiche del paziente, comprendono la radioterapia e l’ormonoterapia".

"Donne capelli argento", a Tolentino un evento per sfatare i tabù sulla menopausa
La salute non è solo assenza della malattia, guarigione dalla malattia, ma anche ricerca del benessere. La definizione di salute così declamata è dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il benessere è un concetto variabile, non esiste il benessere assoluto, esiste la ricerca di migliorare il proprio stato e di vivere al meglio le stagioni della vita. Questa visione allargata della buona salute richiede un impegno costante ed anche l’aiuto di figure professionali non necessariamente sanitarie, anzi, il buon risultato spesso ha bisogno del coinvolgimento di ulteriori competenze che sappiano aiutare a creare un’armonia tra il corpo e la mente. Laura Cavarischia è un’estetista che ha saputo integrare il suo lavoro con esperienze di ricerca e cultura fino a coordinare un gruppo che possiamo definire polispecialistico nel centro "La Creazione" di Tolentino. Venerdì 11 aprile si terrà al teatro Politeama di Tolentino una sintesi e saranno presentati i progetti per la ricerca del benessere in una stagione molto delicata della donna: la menopausa, evento in collaborazione con il centro medico Associati Fisiomed. Abbiamo rivolto a Laura Cavarischia alcune domande. Perché ha voluto questo evento? "Perché la menopausa è ancora un grande tabù, e troppo spesso viene affrontata come una fase di declino, come qualcosa da nascondere o sopportare. In realtà è un momento di grande trasformazione, un nuovo inizio pieno di opportunità che però vanno colte. Ho voluto creare uno spazio in cui parlarne apertamente, senza vergogna né imbarazzi, per aiutare le donne a vivere questo passaggio in modo più consapevole, informato e positivo. Vogliamo offrire strumenti concreti per migliorare il rapporto con il proprio corpo, ma anche nutrire un senso di sorellanza e vicinanza tra donne. Questo evento è nato per accogliere, per dare voce e per proporre un modo nuovo di prendersi cura di sé". Molti tabù ancora avvolgono il tema della menopausa. Come può un evento come questo contribuire a superarli? "I tabù sulla menopausa nascono da un modello culturale che ha a lungo ignorato, minimizzato o addirittura patologizzato questo momento fisiologico della vita femminile. Troppo spesso le donne si trovano sole ad affrontare cambiamenti importanti del corpo, della libido, dell'umore, senza strumenti, senza informazioni corrette e, soprattutto, senza uno spazio di confronto libero da giudizio. Noi lavoriamo soprattutto con donne in menopausa e sappiamo benissimo quanta pesantezza, non solo fisica, ma anche sociale, gravi sulla questione. Con questo evento vogliamo rompere il silenzio e aprire un dialogo sincero, informato e multidisciplinare. Il nostro obiettivo è restituire alla menopausa la sua dignità di passaggio trasformativo, offrendo strumenti concreti e una nuova visione: non una fine, ma un nuovo inizio, più consapevole, più libero, più autentico". Perché ha coinvolto il Gruppo Medico Fisiomed? "Perché nel nostro lavoro, come Fisiomed, cerchiamo di prenderci cura delle persone in modo globale, integrato e umano. Abbiamo scelto di collaborare con alcune delle loro professioniste perché ne condividiamo i valori, l’approccio multidisciplinare e il rispetto per ogni fase della vita. La menopausa è un passaggio che tocca ormoni, pelle, emozioni, intimità, postura, percezione di sé e, per questo, volevamo offrire alle nostre donne anche un approfondimento dal punto di vista medico. Insieme possiamo offrire un’esperienza completa, che mette al centro la persona e che dà risposte vere, concrete, accessibili. È una sinergia che rafforza la nostra missione e arricchisce profondamente questo evento dedicato alla menopausa". Qual è il programma? "Il programma si compone di sette interventi brevi, intensi e trasversali. Io parlerò della menopausa come viaggio, non come fine: come occasione per ricominciare ad ascoltarsi. Valeria Cantolacqua, da oltre dieci anni con me nel team, approfondirà cosa succede al nostro corpo e alla nostra silhouette. Angela Fiorelli, altra mia operatrice, ci guiderà nella metamorfosi del viso e della pelle. La dott.ssa Maria Cristina Magagnini, endocrinologa, ci aiuterà a capire come cambiano gli ormoni e cosa possiamo fare per ritrovare equilibrio. L’ostetrica Melissa Falistocco parlerà della salute vaginale e del benessere intimo. La psicoterapeuta e sessuologa dott.ssa Giuliana Proietti affronterà il tema della sessualità e del piacere dopo la menopausa. E infine, Isabella Tomassucci, educatrice teatrale e insegnante di yoga, ci proporrà un’esperienza che mette al centro il movimento e la creatività". Perché fare un evento? Forma nuova di comunicazione? Nuovo modello? "Non è una novità per noi. Ogni anno organizziamo eventi di questo tipo perché crediamo che fare divulgazione, offrire strumenti e diffondere informazione corretta sui temi legati alla salute e al benessere delle donne sia parte integrante della nostra identità. Negli anni abbiamo realizzato molte iniziative di questo tipo e anche una campagna di sensibilizzazione al benessere che è stata presentata anche a Parigi. Non è solo marketing, è responsabilità sociale. L’estetica, per noi, è solo un punto d’ingresso: il vero obiettivo è aiutare le donne a conoscersi meglio, ad ascoltarsi, a stare bene con sé stesse, il nostro è un lavoro a 360 gradi sulla persona e sul suo benessere. Inoltre, credo anche che fare impresa oggi significa creare valore per le persone. Per questo ogni nostra iniziativa punta anche ad aprire uno spazio di dialogo, condivisione e crescita collettiva". La sua concezione dell’estetica va ben oltre l’aspetto esteriore. Come intende il suo lavoro? "Per me, l’estetica è un canale privilegiato per lavorare sul benessere globale della persona. Il corpo non è un oggetto da correggere, ma un sistema sinergico che parla, che comunica. Il nostro compito non è inseguire la perfezione, ma aiutare ogni donna a riconnettersi con sé stessa, a ritrovare armonia, a sentirsi di nuovo a casa nel proprio corpo. Non è solo questione di pelle o centimetri: è una trasformazione interiore che parte dal corpo ma tocca anche le emozioni, il respiro, l’autostima. In questo senso, il mio lavoro è molto più vicino alla cura che all’estetica tradizionale. È un accompagnamento delicato, profondo, e sempre personalizzato". Che percorso di formazione ha fatto? "Dopo la formazione in estetica tradizionale, ho sentito subito il bisogno di andare oltre. Ho studiato per cinque anni in un’Accademia Ayurvedica, seguito un master in India, dove ho appreso un approccio olistico che ancora oggi guida il mio lavoro. Ho integrato tutto questo con corsi di estetica avanzata in Svizzera e a Milano, specializzandomi in massaggio miofasciale, connettivale, posturale e body modeling. Ho studiato anche naturopatia, cosmetologia, psicosomatica, e attualmente sto concludendo un master in Scienze Integrative Applicate. Ho scelto di formarmi a 360° perché credo che il nostro compito sia quello di leggere il corpo come un insieme complesso, e di lavorare su più livelli. Tutto il mio percorso, poi, è confluito in un programma di formazione rivolto al mio team: tutte le mie operatrici sono allineate per quanto riguarda competenze e obiettive e si aggiornano continuamente". Le persone sono sotto stress. Cosa possono fare per il loro benessere? "La prima cosa è smettere di pensare al benessere come un premio da conquistare, come un lusso da concedersi. È un bisogno, e va ascoltato ogni giorno. Servono piccoli gesti quotidiani: respirare meglio, dormire con più regolarità, imparare a dire qualche no, creare spazi per sé. In 'La Creazione' aiutiamo le donne a costruire una routine che non sia un dovere, ma un piacere. Lavoriamo sul corpo, ma anche sulle abitudini, sulle emozioni, sulla consapevolezza. Esiste un modo gentile per cambiare vita: non servono stravolgimenti, ma costanza, sostegno e strumenti giusti. Il nostro lavoro è anche questo: restituire fiducia, tempo, energia e autostima".

"I virus della nostra mente più letali di quelli naturali": come la società può guarirsi dalla violenza
Ogni volta che la cronaca ci propone tragedie immense come quella della guerra in Ucraina, in Israele, a Gaza e in tante altre parti del mondo, non ci resta che piegarci su noi stessi e, se ne siamo capaci, riflettere sulla nostra natura umana così piena di risorse, di continuo sviluppo tecnologico, economico e sociale, del pensiero, ma anche così fragile, intrisa di soprusi, odio e dolore. Sono passati millenni, ma ancora l’uomo non riesce a liberarsi della sua carica di aggressività, violenza, voglia di sopraffazione sugli altri. I virus della nostra mente che facciamo fatica ad estirpare o a controllare e che spesso prendono il sopravvento sia individualmente che collettivamente seminando disagi, sofferenze, terrore, morte. Quando la nostra riflessione si fa più attenta stimolata da quei fatti orrendi, non possiamo non rilevare che l’uomo, tra gli esseri viventi, è l’animale che da sempre ha la maggiore propensione ad eliminare fisicamente i suoi simili. La storia passata come quella recente è stracolma di omicidi: un uomo che per qualche motivo decide di uccidere un altro uomo. Le organizzazioni sociali, che siano quelle tribali della storia antica o che siano quelle organizzate per Stati e Nazioni della storia moderna, hanno sempre contemplato la possibilità di uccidere e non solo per legittima difesa, ma anche per una più generica difesa degli interessi delle comunità. Le guerre hanno fatto la storia, se ne sono combattute un numero illimitato nello svolgere dei tempi, con un numero ancora più illimitato di morti ammazzati. Tutt’ora nel mondo, oltre a quelle citate, sono decine le guerre che si combattono circoscritte magari in territori limitati, ma dove ogni giorno muoiono donne, uomini e bambini. Sono riscontrabili tante testimonianze della Prima Guerra Mondiale ed ancora testimoni viventi che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale, le tragedie del secolo scorso che hanno interessato il mondo occidentale. Esse hanno procurato milioni di morti, la maggior parte giovani, deceduti in battaglia, sotto i bombardamenti e poi le deportazioni, i campi di sterminio, persino le bombe atomiche. Una lotta fratricida che percorre senza interruzioni la storia dell’uomo. Le guerre sono state anche regolamentate con varie convenzioni internazionali, una specie di codificazione del diritto di uccidere circoscritto con delle regole, visto che non siamo mai stati capaci di additare la guerra come un male assoluto da estirpare. L’umanità composta da miliardi di esseri pensanti, tra essi geni del pensiero, artisti capaci di esaltare la bellezza della natura umana e dell’universo intero, uomini capaci di altruismo, generosità, amore. L’umanità però è sempre piena di violenza e con una intrinseca voglia strisciante ma sempre presente del dominio sugli altri. L’idea di Dio che ogni uomo ricerca, immaginandolo come autore delle meraviglie dell’universo e come meta dopo il cammino terreno non è riuscita ad esorcizzare la parte oscura ed infetta della nostra mente. Nel nome di Dio anzi si sono combattute nella storia guerre definite sacre e giuste, senza pensare che portare morte non è mai giusto. A volte uccidere può essere necessario per legittima difesa, per difendere la libertà e l’integrità di una collettività, ma “giusto” vuol dire qualcosa di più. Procurare a tutti il necessario per vivere è giusto, fornire istruzione e cultura a tutti è giusto, procurare gli stessi diritti sociali a tutti è giusto, tutelare l’uguaglianza e la libertà delle donne è giusto. Perché la società umana sia giusta c’è bisogno che ognuno cerchi dentro di sé la sua parte migliore e si spenda per tutti quei principi che sono stati prima elencati. Chi organizza le guerre, chi specula sul commercio delle armi, chi indottrina e arma i giovani per spingerli al terrorismo non può mai essere giusto. Seminare morte tra la gente dell’Ucraina, d’Israele e di Gaza, fare esplodere una bomba in un aereo o in una piazza, non può essere definito umano se non nella consapevolezza del tanto che dobbiamo fare ancora per migliorarci, sia individualmente che nell’organizzazione delle comunità. Pensate agli sforzi che tanti uomini fanno per far evolvere la scienza medica, sforzi per cercare di far vivere meglio e più a lungo. Pensate a tutti quelli che fanno onestamente il loro lavoro per far crescere la società e dare buone opportunità a tutti, pensate a quelli che si occupano degli indigenti, dei bisognosi, dei disabili per dare un senso alla propria vita e a quella degli altri. Episodi drammatici di guerra e violenza non tolgono la vita a quelli che casualmente vi capitano, ma uccidono anche un po’ tutti gli uomini di buona volontà, chi non si rassegna a perdere la speranza che la nostra umanità può essere migliorata e guarita da quei virus virtuali che minano la nostra mente più di quanto facciano quelli naturali per il nostro corpo. I virus si chiamano arrivismo, egocentrismo, narcisismo, fame di potere e di denaro, prepotenza, disprezzo e sfruttamento dei più deboli. Gli anticorpi si chiamano generosità, altruismo, solidarietà, tolleranza, cultura, amore. La lotta è da sempre dura, ma gli anticorpi potrebbero sopraffare i virus, bisogna stimolare l’opera di bonifica in ognuno di noi con l’intento di raggiungere un Dio vero e buono per chi ci crede, o comunque elaborare un uomo sano e giusto.

Medicina dello sport, il Maceratese è all'avanguardia: intervista alla dottoressa Laura Pecilli
La medicina dello sport è sicuramente la specialità medica che ha maggiore aderenza con la prevenzione e la sicurezza dei suoi assistiti nello svolgimento dell’attività fisico-sportiva. Atleti professionisti, dilettanti, amatoriali, ma anche semplici frequentatori più o meno occasionali di strutture sportive e della attività fisica come per esempio piscine, campi da tennis, palestre, devono avere un pass sanitario, diversificato magari nell’approfondimento a seconda dell’intensità dell’impegno fisico, ma comunque sempre tenendo conto della verifica di parametri fisiologici per una serena e sicura attività. È un esempio di grande efficienza, modernità e civiltà della nostra cultura della salute che coinvolge il servizio sanitario pubblico e tante strutture sanitarie private per ottemperare ad un dovere legislativo per la tutela della salute dei cittadini. Per meglio conoscere il Servizio ne parliamo con la dottoressa Laura Pecilli, specializzata in Medicina dello Sport presso l’Università di Chieti fondata dal prof. Vecchiet e da poco tempo alla direzione del servizio di Medicina dello Sport delle Terme Santa Lucia di Tolentino già diretto dal dott. Danilo Compagnucci arrivato alla pensione. Il territorio del maceratese è ben coperto da ottimi servizi della medicina dello sport. Un altro esempio è quello di Associati Fisiomed che sta sviluppando un inedito modello di cooperazione con diverse società ed associazioni sportive. Dottoressa Pecilli, come nasce la medicina sportiva? "Si potrebbe risalire addirittura alla Grecia classica, se già Ippocrate sosteneva che l’esercizio di un organo o di una funzione potenzia il loro rendimento e ne ritarda il naturale invecchiamento, ma lo sviluppo della medicina sportiva si ha solo nei tempi moderni, quando, con la sostituzione della macchina al lavoro manuale, nasce la società del tempo libero (leisure society) e masse crescenti di popolazione si riversano nelle attività fisiche e sportive. In Italia la Federazione medico-sportiva, affiliata al CONI, nasce nel 1929 sotto la direzione di Augusto Turati (da non confondere con Filippo Turati), il gerarca fascista che interpretava così, per la gioventù italiana, il nuovo clima attivistico-sportivo del fascismo. Nel dopoguerra la FMSI (Federazione Medicina dello Sport Italiana) viene confermata come federazione del CONI e, intorno agli anni ‘80, viene regolamentata la legislazione medico-sportiva, con l’obbligo delle certificazioni di idoneità, particolarmente rigorose per le attività agonistiche, come volle Leonardo Vecchiet. Nel 1957 nasce la prima Scuola di specializzazione in medicina dello sport presso l’Università di Milano". Qual è l’attività del medico dello sport? "L’attività fisica mette in movimento diversi apparati fisiologici, che vengono particolarmente sollecitati nell’attività sportiva: sistema respiratorio, cardio-circolatorio, muscolo scheletrico ecc. Al medico dello sport si richiede di conseguenza una competenza per così dire multidisciplinare, riferibile alle diverse specializzazioni della medicina. Se in passato al medico si richiedeva sostanzialmente di migliorare le prestazioni atletiche degli sportivi, anche attraverso l’uso di farmaci, oggi il medico dello sport deve essere in grado di effettuare una valutazione clinico-strumentale complessiva dello sportivo, sia a riposo che sotto sforzo, anche sotto l’aspetto psicologico e motivazionale, specie nel periodo dell’età evolutiva. In sostanza la medicina sportiva è oggi rivolta a tutelare e a promuovere il benessere dello sportivo, sia sotto l’aspetto fisico, che sotto l’aspetto psicologico". Cosa si intende per certificazione medico-sportiva? "La certificazione di idoneità sanitaria in Italia è obbligatoria per qualsiasi attività fisico-sportiva, agonistica e non agonistica. Praticamente restano escluse dall’obbligo unicamente le attività fisiche scolastiche e quelle svolte in forma privata e individuale. C’è tuttavia una differenza fra le attività sportive non agonistiche e quelle agonistiche. Per queste ultime, svolte in società affiliate o riconosciute dal CONI, la certificazione di idoneità richiede accertamenti più complessi e mirati, in considerazione del maggiore impegno fisico e psicologico che la prova agonistica comporta. Per essa si richiede quindi la raccolta dei dati antropometrici, la misurazione della pressione arteriosa, l’ECG da sforzo, la spirometria, l’esame delle urine e gli accertamenti ritenuti utili dal medico, che in questo caso è il medico sportivo". Qual è la situazione e ruolo della medicina dello sport in Italia? "L’Italia è l’unico Paese europeo che richiede la certificazione medica obbligatoria (e ne precisa gli esami da eseguire) per lo svolgimento dell’attività sportiva agonistica. Negli altri paesi ci si affida alle dichiarazioni liberatorie degli atleti o al massimo ci si accontenta di una assicurazione contro gli infortuni. Il sistema italiano dello screening obbligatorio, introdotto intorno agli anni ’80, ha dimostrato la sua validità riducendo il numero dei decessi per cause sportive dal 3,6 allo 0,4 per 100.000 atleti. In Italia sono attualmente operanti circa 4.000 medici dello sport, riuniti nella FMSI, che operano per lo più in centri e strutture organizzate generalmente dotate di strumentazioni moderne e adeguate". Ringraziamo la dott.ssa Pecilli per il suo contributo e ci ripromettiamo di approfondire alcuni aspetti della materia con lei stessa, con il dott. Danilo Compagnucci, medico sociale della Lube Volley e con specialisti ed organizzatori del servizio di medicina dello sport del centro medico Associati Fisiomed.

La tac cardiaca. Conversazione con il dr. Umberto Negro
La moderna tecnologia medica propone degli esami innovativi, meno invasivi ed anche più sicuri e veloci nella rilevazione di anomalie tissutali e strutturali dei vari organi. A questo virtuoso sviluppo di indagine è interessato il cuore, un organo essenziale per il buon funzionamento dell’intero organismo. Nella osservazione della variegata tecnologia di diagnosi della funzione del cuore merita una particolare attenzione la TAC cardiaca (Cardio-TC) per i vantaggi che può apportare nell’ambito di una ricerca che ha sempre bisogno di approfondimenti con una velocità di rilevazione di minuscoli elementi che possono essere propedeutici ad una seria malattia. Ne parliamo con il Dott. Umberto Negro, specialista in radiodiagnostica, consulente del centro medico Associati Fisiomed dove dispone di specifiche apparecchiature di ultima generazione. Dottor Negro, perché conviene fare una Tac cardiaca? La Cardio-TC è un esame non invasivo che permette di valutare con estrema precisione le arterie coronarie, identificando eventuali stenosi o placche aterosclerotiche. È utile per la diagnosi precoce di malattie cardiovascolari, evitando procedure più invasive come la coronarografia. Quando è indicata la Cardio-TC? L’esame è consigliato nei pazienti con dolore toracico atipico, fattori di rischio cardiovascolare (fumo, ipertensione, diabete, colesterolo alto) o familiarità per malattia coronarica. Inoltre, viene spesso utilizzato per la valutazione preoperatoria in pazienti candidati ad interventi cardiaci. Quanto è importante l’esperienza del medico radiologo? L’interpretazione delle immagini della Cardio-TC richiede grande esperienza e competenza. Un radiologo esperto sa distinguere tra vari tipi di placche coronariche, valutare la severità delle stenosi e correlare i risultati con i sintomi del paziente, riducendo il rischio di diagnosi errate. La Cardio-TC può sostituire altri esami cardiologici? In alcuni casi sì, specialmente nei pazienti a basso-moderato rischio cardiovascolare, nei quali può evitare esami invasivi come la coronarografia. Tuttavia, non sostituisce test funzionali come la prova da sforzo o la risonanza cardiaca, che valutano la risposta del cuore in condizioni di stress.

L'amore è prevenzione e cura: un'esplosione di sostanze biologiche che alza la qualità della vita
Il tempo che passa, il nostro corpo che muta nelle forme e nelle funzioni, gli ambienti che cambiano suggeriscono a noi attempatelli, ma anche ai più giovani, che forse per evitare o mitigare disagi, tristezza e malattia bisogna attingere e distribuire l’unico antidoto che riesce a coinvolgere nel suo sorgere e nella sua diffusione sia il corpo che lo spirito con coinvolgimento del cuore e della mente: l’amore. Nei giorni degli innamorati con la festa di S. Valentino il 14 è doveroso riconoscere a questo caldo sentimento che avvolge e coinvolge come nessun altro un valore terapeutico per le negatività che ci affliggono, ma anche un sicuro viatico per raggiungere un benessere a volte insperato. L'amore di testa e fisico tra innamorati procura l’esplosione di quelle sostanze biologiche che innalzano la qualità della vita percepita. Le endorfine, la dopamina, la serotonina creano uno stato di benessere, persino la soglia del dolore è più in alto, può aggiungersi di riflesso l’adrenalina, l’ormone che stimola energia vitale forti e pronti ad affrontare fatiche ed ostacoli. Che meravigliosa medicina l'amore! E se anche liberiamo il sentimento dal prorompente stimolo sessuale è sempre l’amore che riceviamo con il rispetto verso il nostro essere e pensare e con l’aiuto per superare precarietà e debolezze che incide direttamente sulla nostra salute. E quando non siamo solo oggetto d’amore, ma anche soggetto che lo distribuisce è ancora più evidente la soddisfazione che ci pervade. Ma che cos’è questo Amore? È la sublimazione di un agglomerato di azioni e reazioni razionali ed istintive come il rispetto, la generosità, la tolleranza, l’ammirazione per il bello e il buono, la comprensione e l’aiuto per superare il brutto e il cattivo, per se stessi e per gli altri. Tutto questo lo possiamo concentrare in una esperienza di Beatrice che con i suoi amici di "Africa Mission" proprio nel giorno di S. Valentino hanno aperto ed inaugurato in una zona poverissima dell’Uganda, in Africa, un pozzo d’acqua fondamentale per la vita di quelle popolazioni. Il messaggio di Beatrice: "Abbiamo inaugurato il pozzo nel giorno di S. Valentino, è stato un caso ma quale giorno migliore? L’amore per la vita, l’amore è anche amicizia vera, fratellanza, l’aiutarsi l’uno con l’altro per il bene collettivo". Dovrebbe essere tutto questo concentrato in pillole da prendere almeno una al giorno come per l’ipertensione, il colesterolo, il diabete...L'augurio più sentito a tutti gli innamorati dell'amore!

La sessualità nell'età anziana: conversazione con la dottoressa Giuliana Proietti
Il sesso ha sempre avuto una cortina nebulosa per proteggere le intime azioni e reazioni di tutti. Di sicuro un limite per la ricerca e divulgazione delle indicazioni specifiche. Quando poi l’argomento viene confrontato con gli anziani, la fascia sociale più debole ed esposta alle problematiche anche se il concetto di anziano si sta sempre più spostando avanti nel tempo, è più difficile fare una valutazione su quanto la sessualità intervenga nella loro vita e nella sua qualità. La scienza però non può trascurare un elemento così essenziale che può restare tale a qualsiasi età. Ne parliamo con la dottoressa Giuliana Proietti, psicoterapeuta sessuologa consulente presso Associati Fisiomed. Dottoressa Proietti, in genere si pensa che le donne in menopausa perdano interesse per la sessualità. È così o si tratta di un pregiudizio nei confronti delle donne non più giovani?" "È del tutto normale che la menopausa comporti qualche cambiamento nel desiderio sessuale e nelle sensazioni corporee, a causa delle variazioni ormonali. Molte donne, è vero, sperimentano una riduzione della lubrificazione e una diminuzione della libido, ma non è così per tutte: vi sono anche donne che vivono questa fase come un’opportunità per riscoprire forme diverse di intimità, anche perché a questo stadio della vita non temono più di restare incinte, i figli sono ormai grandi e dunque si sentono molto più libere. Con l’età il sesso cambia e non sempre il sesso penetrativo è la migliore opzione per l’età matura, sia per lei, sia per lui". Cosa può fare un uomo per far ritrovare alla sua compagna in menopausa un maggiore interesse verso la sessualità? "Occorre pensare che la menopausa è una fase di transizione che interessa non solo la donna, ma anche le dinamiche di coppia. È importante che i due partner comunichino con empatia e senza pregiudizi, riconoscendo che i loro bisogni, anche sessuali possono essere cambiati. Il segreto che ogni uomo dovrebbe conoscere per mantenere viva la parte sessuale nella coppia è quello di non abbandonare i momenti di tenerezza, gli abbracci e il contatto fisico e non pensare che ogni volta essi debbano per forza sfociare in un rapporto sessuale vero e proprio". In che modo una vita sessuale attiva, anche fra anziani, può migliorare il rapporto di coppia? "Una coppia anziana che continua a vivere una vita sessuale attiva per forza di cose tende anche ad avere una maggiore cura del proprio corpo e della propria salute, e questo contribuisce a migliorare la qualità della vita. È importante tuttavia informarsi bene sui cambiamenti fisiologici legati all’età, evitando di avere aspettative irrealistiche e conoscere anche le possibili soluzioni (ad esempio, l’uso di lubrificanti, trattamenti ormonali, farmaci vasoattivi per la tenuta dell’erezione, uso dei sex toys e terapie psicosessuologiche)". La società sembra spesso ignorare o minimizzare la sessualità degli anziani, relegandola a un tabù. Perché persiste questo stigma e come possiamo combatterlo? "Lo stigma sociale sulla sessualità in età avanzata nasce da stereotipi che associano il desiderio sessuale solo alla giovinezza e alla riproduzione e negano agli anziani il diritto di esprimere la propria intimità. Questa visione limitata porta a pregiudizi che possono far sentire le persone anziane inibite o inadeguate. Per combattere il tabù è fondamentale promuovere un’informazione corretta e inclusiva, valorizzando testimonianze e studi che evidenziano come l’intimità sia essenziale per il benessere psicofisico in ogni fase della vita".