Work in progress? La rivoluzione del lavoro nel salto generazionale: divergenze a confronto
Cosa significa oggi lavorare? Viviamo in un’epoca storica complessa che da un lato prospetta potenzialità nuove e inimmaginabili e, dall'altro, proietta ansie e preoccupazioni tutt'altro che trascurabili. Digitalizzazione, ecologia e welfare non sono più dei bonus, ma delle necessità centrali per qualsiasi realtà lavorativa che voglia attrarre talenti.
A vivere maggiormente le conseguenze di questo futuro quantomeno incerto sono i giovanissimi, immersi in un dilagante clima di sfiducia che li porta, spesso, a riconsiderare le priorità della vita, invertendo il paradigma del lavoro finora vigente e la deontologia ad esso associata. La conseguenza è che oggi, nel caso di profili particolarmente richiesti, non siano più le aziende a poter selezionare i candidati, quanto il contrario.
Fenomeni come "quiet quitting", "smart working", "act your wage", "bare minimum Mondays", "career cushioning" o "rage applying" - che vedremo nello specifico nel corso della rubrica - sono diffusi e condivisi fra le nuove generazioni, che trovano nei social network una sponda e un luogo di condivisione dove consolidare la coscienza comune. Celebre fu il caso delle "Great Resignation" post pandemia (estate 2021), forte acceleratore di questa nuova sensibilità: in Italia fu registrato un aumento nelle dimissioni volontarie dell'85% (soprattutto fra gli under 35) nel secondo trimestre dell’anno, sintomo di un malessere condiviso e impossibile da ignorare.
Per ragioni professionali, anche chi scrive ha la possibilità di verificare con mano lo scollamento che sussiste fra nuovi candidati e vecchio mondo del lavoro: se da una parte ci sono punti di vista che rimettono in discussione la centralità della carriera e vedono la propria professione più come un mezzo che come un fine, dall'altra persistono spesso impostazioni ‘vecchio stile’, che cercano il lavoratore dedito al marchio e pronto a sacrificare tutto pur di raggiungere l’obiettivo richiesto.
A gravare ulteriormente sulla situazione italiana c’è il caro, vecchio, problema degli stipendi: se infatti questo trend ha preso piede un po' in tutta Europa, l'Italia è l'unico paese che negli ultimi 30 anni non solo non ha visto crescere i salari, ma che addirittura ne ha registrato una diminuzione in termini medi. Soprassediamo sulla vuota retorica - ridondante dai tempi di Hammurabi - dei "giovani d’oggi che non saranno mai all’altezza delle vecchie generazioni", e cerchiamo di scendere nel dettaglio di questa frattura, fatta di scoramento e disillusione.
La distanza è già riscontrabile durante la formazione fra scuola e università, spesso poco collegate con il mondo del lavoro e raramente in grado di fornire strumenti subito spendibili agli studenti. Si badi bene, non si vuole affermare che la cultura dovrebbe diventare appannaggio esclusivo del mercato, piegando il sapere a fini utilitaristici o prettamente economici, ma non è neanche corretto demandare l’intero iter di apprendimento delle dinamiche lavorative (dalla burocrazia alla diplomazia interpersonale) all'empiria e all'impatto diretto con esse.
Se da un lato infatti sono sempre di più i giovani laureati (solo fra il 2021 e il 2022 AlmaLaurea ha registrato 300mila dottori in più), molti di questi preferiscono fuggire dall’ambiente poco accogliente dell'Italia verso la fortuna promessa dall’estero (+41% dal 2013 al 2021). I più, quelli privi di una chiara idea della direzione da prendere, rimangono sospesi nel limbo post-laurea, spaesati e intimoriti di fronte a un mondo che non conoscono e che sembra spesso non volerli.
Da un lato, dunque, ci sono ingegneri, economisti, ed informatici che possono arrogarsi la possibilità di scegliere dove formarsi, dove crescere e dove lavorare fra le tante realtà che bussano alla loro porta. Dall'altro ci sono umanisti, teorici e ricercatori che, quando non rimangono nell’orbita accademica, si trovano spesso a vagare senza orientamento.
Oltre ai laureati, ciò che spicca è la forte domanda, da parte di aziende e imprese, di personale tecnico e professionale giovane (gli istituti professionali regustrano una diminuzione e costante nel numero di iscritti dal 2008). Sono pochi i ragazzi e le ragazze che oggi scelgono di imparare il proverbiale "mestiere" (dall'elettricista al muratore, passando per tutti i lavori manuali "classici") e le richieste sono sempre tante, con contratti spesso più lunghi e meglio retribuiti rispetto alla media.
In uno scenario di questo tipo, metteremo in luce volta dopo volta le frizioni che tutti, dai candidati ai datori di lavori passando per gli agenti che operano dietro le quinte, percepiscono come sintomi di una rivoluzione culturale e identitaria.
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