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Work in progress? Il lavoro fra società e social network: imprese alla rincorsa delle nuove leve

Work in progress? Il lavoro fra società e social network: imprese alla rincorsa delle nuove leve

Che l’avvento dei social network sia uno degli aspetti centrali e determinanti per capire la società contemporanea non è certo una novità. I social media, forse più di ogni altro aspetto della rivoluzione digitale che abbiamo profilato nell’ultimo articolo, hanno mutato nel profondo le persone e come queste interagiscono fra loro.

Dall’acquisto alla vendita, passando per la ricerca del partner a quella di amici, docenti di ogni materia, personal trainer e chi più ne ha più ne metta, basta fermarsi a riflettere su quante attività venivano fatte di persona fino a venti anni fa – al massimo al telefono – e oggi, invece, si trovano a comoda portata di smartphone.

Al centro di questa analisi, come sempre, c’è il mondo del lavoro che, nelle piazze affollatissime dei social, ha trovato terreno fertile per svilupparsi tanto in termini di comunicazione che di ricerca e selezione. Lato utente, la ricerca sui social dell’azienda o del servizio è spesso parte integrante della scelta, e questo vale tanto per un potenziale cliente, quanto per un possibile candidato.

Secondo uno studio condotto da Hootsuite, il 99% delle PMI italiane è su Facebook, il 77% su Instagram, il 63% su LinkedIn. Pochissime, invece, quelle presenti su TikTok, a testimonianza della distanza enorme che separa ancora la GenZ dal mondo del lavoro italiano: il social cinese ospita solo il 5% delle PMI italiane.

Ogni impresa, attività o servizio oggi ha bisogno di essere sui social, ha bisogno di rispettare determinati standard per conservare la propria credibilità online e deve continuamente rimanere aggiornata per non perdere il passo con le generazioni che passano. Nel settore della ricerca del personale, oramai quasi tutto il processo di selezione avviene su social come LinkedIn, Indeed e simili.

Lo spunto di questa riflessione nasce da un post trovato proprio sui social, nello specifico su una pagina che conta centinaia di migliaia di followers, perlopiù studenti universitari. Il post dimostrava una forte repulsione verso la meccanica su cui poggiano le reti sociali di cui sopra, affermando letteralmente: “Meglio disoccupato che trovare lavoro su LinkedIn e sottostare alle dinamiche di quella buffonata”.

Oltre a sottolineare nuovamente la distanza che intercorre fra il vecchio mondo del lavoro e le nuove generazioni, un post come questo dimostra la sfiducia dei giovani verso i predecessori. È ovvio che il processo di ricerca svolto sui social sia enormemente più rapido ed efficace che la vecchia consegna porta a porta. In pochi minuti si possono mandare decine di candidature ai tantissimi annunci pubblicati quotidianamente e le aziende possono selezionare molto più rapidamente e con più opzioni il personale da assumere.

Il punto però è un altro: la sensibilità delle nuove generazioni è molto più concentrata su valori di umanità, inclusione, rispetto dell’ambiente e ricerca dell’equilibrio fra vita personale e professionale che sull’efficienza del processo. La rivoluzione che stiamo attraversando passa soprattutto attraverso la voce delle persone, che richiede un cambiamento radicale – e non di mera facciata – all’industria, in linea con la crescente attenzione verso le questioni sociali ed ecologiche. 

La mancanza di un canale di formazione seria su cosa li attende una volta terminato il percorso di studi è determinante per comprendere il senso di smarrimento che spesso colpisce i giovani italiani. Nel 2020, stando al report di Almalaurea, il tasso di occupazione dei neolaureati a un anno dal conseguimento del titolo è al 74,5% tra i laureati di primo livello e al 74,6% tra i laureati di secondo livello, ma la forma contrattuale più diffusa nel 2021, a un anno dal conseguimento dal titolo, è il lavoro non standard, prevalentemente alle dipendenze a tempo determinato, che riguarda circa il 40% degli occupati (41,4% laureati di primo livello e 38,5% laureati di secondo livello).

Almalaurea fornisce una foto chiara di quanto discusso finora, in cui si analizza la fiducia che i neolaureati ripongono nei vari agenti della vita e della società in relazione al loro sviluppo professionale: sono stati registrati alti livelli di fiducia nella tecnologia (70,9% per i laureati di primo livello e 69,6% per quelli di secondo livello), nella rete di relazioni sociali (67,2% e 67,8%, rispettivamente) e nella famiglia (67,2% e 67,0%). I laureati sono più fiduciosi nella transizione digitale (61,7% per i laureati di primo livello e 60,5% per quelli di secondo livello) rispetto a quella ecologica (rispettivamente, 53,3% e 50,4%).

La quota di laureati che esprime un’elevata fiducia nell’università e nelle imprese è invece poco inferiore al 50%: 48,8% e 45,5% per l’università, 43,1% e 42,2% per le imprese, rispettivamente per i laureati di primo e di secondo livello. A fondo scala si trovano le istituzioni nelle quali solo il 16,7% dei laureati di primo livello e il 20,3% dei laureati di secondo livello ripone ampia fiducia.

A livello disciplinare, i laureati STEM ripongono una maggiore fiducia nelle imprese rispetto agli altri laureati (49,6% per i laureati di primo livello e 43,7% per quelli di secondo livello), a riprova della sproporzione fra titoli umanistici e scientifici e la loro differente richiesta sul mercato.

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