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Omicidio Mastropietro. Gli avvocati di Oseghale: “La legge è uguale per tutti? Ce lo chiediamo ogni giorno” (FOTO e VIDEO)

Omicidio Mastropietro. Gli avvocati di Oseghale: “La legge è uguale per tutti? Ce lo chiediamo ogni giorno” (FOTO e VIDEO)

Dai quartieri Appio Tuscolano e San Giovanni di Roma alla casa di cura di Corridonia; la battaglia contro la tossicodipendenza e il disturbo di personalità borderline; la fuga ai Giardini Diaz di Macerata per procurarsi l’ennesima dose; l’incontro con Innocent Oseghale, ‘semplice spacciatore’ di marijuana reinvetatosi quel giorno mediatore della compravendita per conto terzi; il tragico epilogo dall’appartamento sito in via Spalato 124 al fossato di via dell’Industria.

Guardando a ritroso e con occhio fatalista, quello di Pamela Mastropietro potrebbe sembrare quasi un destino già segnato, la cui sintesi passa attraverso la formula di ‘vittima’ (lei) e ‘carnefice’ (lui). Una formula che nel lungo termine, districandosi fra fiaccolate, striscioni, targhe, eventi e piccoli monumenti alla memoria, rischia di forgiare una cultura di massa inquinata, e di eleggere a simboli involontari i protagonisti di questa triste storia, da sbandierare per tutte le future battaglie che si condurranno sul campo della giustizia e della tolleranza. 

Nella seconda parte del nostro servizio (qui la prima), gli avvocati difensori di Oseghale - Simone Matraxia e Umberto Gramenzi - tornano a porre l’accento su quanto il clamore mediatico e una certa strumentalizzazione politica abbiano contribuito a distorcere la percezione dell’intera vicenda, finendo col ridurre l’intero fatto di cronaca a una questione puramente faziosa frutto di una mentalità contaminata dal pregiudizio e dalla paura/odio verso lo straniero. Le premesse di una grossolana 'legge del taglione' che di norma non dovrebbe essere la risposta di un civile stato di diritto.

La domanda da porsi a questo punto è: fino a che punto è necessario spingersi prima di sentire appagato il senso di giustizialismo? Laddove l’opinione pubblica finisce col confondere il reato con il peccato, il diritto con la morale e la giustizia processuale con la sommaria vendetta di piazza, ecco spuntare la letteratura giuridica insieme al numero tristemente alto di “esempi di macelleria giudiziaria all’ingrosso” (per usare le parole di Giorgio Bocca).

Fra i tanti casi noti, riaffiorano alla memoria quelli di Enzo Tortora (1983), crocifisso pubblicamente in qualità di “ladro, farabutto, pezzo di merda” prima ancora che si aprisse ufficialmente l’inchiesta; fino ad arrivare a Stefano Cucchi, con tutti i vari depistaggi e le invettive della politica (da Giovanardi a Salvini e La Russa: “Era solo uno spacciatore morto per colpa della droga”), o persino a tutti quei casi di femminicidio o persecuzione nei confronti della donna (si veda il caso di Silvia Aisha Romano o il più recente di Alessia Piperno, detenuta in Iran e già vittima dell’odio via social) dove il giustizialismo da bar si riduce puntualmente al più semplicistico e sbrigativo “se l’è cercata”. 

Una serie approssimativa di fatti di cronaca che possono sembrare agli antipodi rispetto a quello di Macerata, ma il cui comun denominatore risulta la supposta ed autoattribuita superiorità morale utile a gridare dall’alto dei propri profili social una sentenza (anche di morte) qualunque, purché cancelli la prova evidente del male dalla nostra vista. Ora, per l’atroce omicidio della giovane Pamela Mastropietro, Innocent Oseghale è già stato condannato colpevole, lasciando appena aperto lo spiraglio di una commutazione della pena a 30 anni qualora venisse a mancare l’aggravante della violenza sessuale (sulla quale la Cassazione si pronuncerà a novembre).

E, si badi bene, l’intento qui non è giustificare le azioni del 34enne nigeriano (per le quali sarà costretto a farsi carico per tutta la vita), quanto piuttosto cercare di far emergere la complessità che un episodio tanto efferato si porta dietro, cercando di non cadere nella facile tentazione della “giustizia a tutti costi”. Quella che di base si nutre della frustrazione di una società e si autoalimenta attraverso lo specchio riflesso dell’odio e della violenza.

Di seguito, la seconda parte del servizio:

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