Normativa Covid-19: arriva lo scudo per responsabilità sanitaria da somministrazione del vaccino
Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall'avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”.
In questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato tematiche riferibili alla somministrazione del vaccino Covid-19 e nello specifico il profilo della responsabilità penale del personale sanitario addetto alla loro somministrazione. Di seguito le riflessioni sul tema dell’avvocato Oberdan Pantana.
Sin dai momenti nei quali le associazioni di categoria degli esercenti le professioni sanitarie ne avevano invocato l'introduzione, si era giunti alla conclusione che lo “scudo penale” per danni (o morte) cagionati dalla somministrazione del vaccino sarebbe stato, nella migliore delle ipotesi, un ritrovato normativo del tutto inutile. Intanto perché creare zone franche nel settore della tutela della salute è un'operazione in sé e per sé pericolosa, e poi in ragione della necessità – anzi – di rimarcare la delicatezza della fase di approccio medico-paziente antecedente alla vaccinazione, nonostante la spinta a correre il più possibile verso l'immunità di massa dell'intera popolazione nazionale. Sono indubbiamente due segmenti d'interesse quasi contrapposti: da un lato vaccinare pur di farlo, dall'altro lato scongiurare il rischio che la vaccinazione possa produrre conseguenze pregiudizievoli per chi vi si accosta. Non era nemmeno pensabile fare uso dello scudo penale per mandare esenti da responsabilità i sanitari nel caso in cui dovesse per ipotesi stabilirsi che uno dei prodotti somministrati fosse difettoso: in questo caso, già si diceva, farebbe comunque difetto la riferibilità soggettiva e oggettiva del fatto alla condotta dell'autore materiale della somministrazione; eppure uno scudo, o sarebbe forse il caso di dire uno scudetto – per le sue dimensioni ridotte e non per una qualche somiglianza col trofeo calcistico – è stato introdotto lo scorso primo aprile con il d.l. n. 44/2021.
Un solo articolo, il numero 3, dedicato dal decreto appena entrato in vigore al tema dello scudo penale, la cui portata è alquanto ristretta sia temporalmente, sia sul versante oggettivo.
Costruita secondo lo schema delle cause di non punibilità, l'esenzione da responsabilità riguarda, come si deduce dal richiamo degli articoli 589 e 590 c.p. sia la fattispecie di lesioni, sia quella di omicidio colposo; a questo punto però, non è chiara la ragione per la quale non si è rimandato alle condotte descritte nell'art. 590-sexies c.p., introdotto nel 2017 proprio per delimitare i confini della responsabilità colposa in ambito sanitario (anche in questa norma, come è noto, vi è al secondo comma una causa di esclusione della punibilità per imperizia, nel caso in cui le linee guida adatte al caso concreto siano rispettate). Siamo forse di fronte ad una svista del legislatore d'urgenza?
Lo scudo penale opera soltanto nel caso in cui l'evento lesivo o mortale sia stato cagionato dalla somministrazione di un vaccino anti-COVID; e qui si entra nell'argomento più dibattuto, che è appunto quello della ravvisabilità di un nesso eziologico tra la vaccinazione e la reazione avversa: inutile sottolineare che si tratta dell'aspetto più controverso, talvolta considerato con fredda rassegnazione come un male minore da annegare nella logica dei grandi numeri. Soprattutto è una questione di pressoché totale appannaggio degli accertamenti tecnici volta per volta necessari, con tutte le conseguenze in termini di univocità che ben possiamo immaginare.
La norma che manda esenti da responsabilità non ha una efficacia illimitata nel tempo: si riferisce espressamente alla campagna vaccinale straordinaria tutt'ora in atto e, in ragione di questa specifica indicazione, va escluso che – fatti i debiti scongiuri – dietro questo “scudo” ci si possa riparare nel corso di future, eventuali altre campagne di vaccinazione.
Andiamo alle condizioni oggettive che devono sussistere: occorre che l'uso del vaccino sia conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione al commercio e alle circolari pubblicate dal Ministero della Salute; è senz'altro la parte meno chiara della norma, la più oscura proprio perché generico e incondizionato è il richiamo a queste “indicazioni”, soprattutto non si specifica quale valore ad esse debba assegnarsi.
Sono assimilabili alle linee guida? Contengono specifiche prescrizioni che servono ad individuare, caso per caso o per categorie, le ipotesi in cui deve farsi utilizzo di questo o di quel vaccino? Continua a sussistere – come nel caso delle linee guida – il dovere del sanitario di discostarsi dalle indicazioni quando le circostanze del caso concreto lo richiedano? Dove inizia e dove termina il dovere di diligenza del medico che, prima di inoculare il vaccino, deve considerare queste “indicazioni”?
Tutti questi interrogativi non hanno risposta, e non possono nemmeno averne in termini preventivi. E' la riprova che quando si cerca di generalizzare ed astrarre una causa di non punibilità il migliore risultato che si riesce ad ottenere è quello di non dire nulla di concreto, ma di dirlo molto bene, lasciando soli però ancora una volta al loro destino i cittadini e gli stessi operatori sanitari.
Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.
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