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La criminalità dei colletti bianchi: la delinquenza dei professionisti “rispettati”

La criminalità dei colletti bianchi: la delinquenza dei professionisti “rispettati”

La criminologia non si occupa solamente di crimini violenti. Esiste un’area criminale di cui forse non si parla molto, ed è quella in cui operano professionisti e uomini d’affari. Di cosa si tratta? Sono violazioni del codice penale: falsità di rendicontazione finanziaria nelle società (falso in bilancio), crimini societari, truffa, corruzione, frode, insolvenza fraudolenta, turbativa d’asta etc. Altre volte si tratta di operazioni complesse, si dice “di confine” perché non esplicitamente reati ma manipolazioni del diritto, e di conseguenza del tessuto sociale.

Sono crimini che possono essere messi in atto solo da chi possiede determinate competenze o qualifiche. I reati di questa specie sono commessi con dolo, ossia con coscienza e volontà della condotta che si pone in essere per un preciso scopo, lo scopo di lucro, il denaro.

Il primo studio su questo tipo di crimini si deve al criminologo statunitense Sutherland che nel suo libro del 1949 in “White Collar Criminality” definisce i crimini dei colletti bianchi come quelli commessi “da una persona rispettabile, o almeno rispettata, appartenente alla classe superiore, che commette un reato nel corso dell’attività professionale, violando la fiducia formalmente o implicitamente attribuitagli”.

Sino a quel momento gli studi criminologici partivano dal presupposto che il comportamento criminale fosse molto più frequente nelle classi inferiori e nelle persone disagiate.

Gli studi di Sutherland hanno invece messo in luce come la devianza fosse riscontrabile anche tra soggetti in possesso di un elevato status sociale, e, parlando di “colletti bianchi” dimostrò che si trattava di autori di reati che avevano ricevuto l’educazione migliore, ed avevano beneficiato di privilegi e ricchezza.

Da allora i reati dei colletti bianchi cominciarono ad essere oggetto di studi sociologici e criminologici: quando oggi parliamo di “colletti bianchi” ci si riferisce  non solo a professionisti collusi con la mafia, a nomi legati a grandi scandali economici di risonanza internazionale, ma anche a professionisti di provincia che mantengono un basso profilo per gestire al meglio i loro “affari” o che fungono da “facilitatori” per i criminali, aiutandoli a nascondere la loro identità e  attività attraverso società di comodo e transazioni finanziarie di varia natura.

L’ex Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, il magistrato Raffaele Cantone precedentemente in servizio presso la D.D.A. di Napoli, dov’era impegnato nella lotta contro la camorra, in particolare combattendo il clan dei “casalesi”, ha commentato, durante un incontro sulla corruzione organizzato presso l’università LUISS di Roma agli inizi dell’anno, di “rispettare” più i “casalesi” che i “colletti bianchi”  poiché “mentre gli uni possono essere guardati frontalmente – ed è quindi relativamente facile catalogarli come nemici – non è possibile fare altrettanto con gli altri”.        

 

 

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