Intervista a Gianluca Grandinetti, il regista del docufilm sui Negramaro (FOTO)
"L'anima vista da qui" è il docufilm sui Negramaro girato dal regista Gianluca Grandinetti di Potenza Picena che la scorsa settimana ha riscosso un grandissimo successo alla Festa del Cinema di Roma, dove l'artista marchigiano ha partecipato insieme alla band salentina. La pellicola, da oggi, è disponibile sulla nuova piattaforma di Rai Play.
La pellicola racconta la nascita dell’album "Amore che torni" e il suo tour, le soddisfazioni personali, la nascita dei figli e il momento drammatico vissuto da Emanuele Spedicato. Il docufilm, diretto da Gianluca Grandinetti, è stato scritto anche da Giuliano Sangiorgi, Lavinia Biancalani e Tommaso Ricci ed è prodotto da Sugar e Gadeep in collaborazione con Thestylepusher. Il monologo scritto dal frontman dei Negramaro è recitato dall'attore Alessandro Borghi.
Come nasce la collaborazione con i Negramaro. Come vi siete incontrati. A chi è venuta l’idea del progetto?
Il primo componente della band che ho conosciuto è stato Andro (Andrea Mariano), poco meno di tre anni fa insieme a sua moglie Lavinia Biancalani (Fondatrice di Thestylepusher responsabile della produzione esecutiva del documentario). Da loro è nata l’idea di seguire la band in varie fasi a partire dalla nascita dell’album “Amore che torni” in studio, fino al tour negli stadi. Mi sono subito trovato bene con loro, fin dal primo giorno abbiamo instaurato un ottimo rapporto professionale e gradualmente di amicizia. L’idea del Documentario nasce a posteriori da Giuliano, circa un anno fa, quando dopo aver visto il tanto materiale raccolto, soprattutto inedito, poiché tante immagini sono state realizzate in momenti intimi come vacanze, cene e momenti di vita quotidiana con le varie famiglie, lanciò la provocazione di provare a realizzare qualcosa di più grande.
La scelta del titolo del progetto è ricaduta su un brano della band salentina. Come mai "L’anima vista da qui"?
Credo che il titolo “ L’anima vista da qui”, una traccia contenuta nell’album “Amore che torni” racchiuda bene il sentimento che vive alla base del documentario. Si parla di vita, di un punto di vista nuovo, con le varie facce positive e negative. La band si osserva dopo 20 anni di carriera mantenendo una genuinità spiazzante, mostrano il lato nascosto del rock fatto di una reale fratellanza e amore incondizionato.
Dove è stato girato il docufilm e quanto sono durate le riprese?
Il documentario è stato girato nell’arco di 2 anni e 6 mesi circa, in ogni occasione, sia professionale sia informale, giravo con qualsiasi dispositivo avevo a disposizione, a volte con il pensiero di realizzare immagini studiate e consapevoli, a volte invece con il puro piacere di catturare un ricordo con uno smartphone come faresti al compleanno di un tuo amico davanti alla torta. È stato girato per la maggior parte delle scene in Italia, vedrete il Salento, vedrete gli stadi ed i palazzetti Italiani, qualche scena invece è stata girata in Grecia a Cefalonia, l’isola dove sono cresciuto in tutte le mie estati fin da bambino, dove Giuliano è venuto in vacanza.
Nel film c’è anche Alessandro Borghi, vincitore del David di Donatello come miglior attore protagonista per “Sulla mia pelle”.
La presenza della voce di Alessandro Borghi è molto preziosa, nasce dall’amicizia e stima tra l’attore e Giuliano. Credo sia un artista dalla grande sensibilità e sono molto felice del suo contributo.
Cinematograficamente, cosa dobbiamo aspettarci dalla regia di Gianluca Grandinetti? Come sei cresciuto negli anni e qual è ora la tua filosofia? Cosa piace al regista Grandinetti e cosa non piace?
La mia esperienza è per lo più nel mondo del commercial e dei videoclip musicali, per me questa è stata una grande sfida e non è stato semplice raccontare 3 anni in 45 minuti con immagini frammentate di momenti completamente diversi e sconnessi tra loro. Mi sono chiuso in studio con i miei colleghi a cercare di capire come poter raccontare il tutto pur mantenendo un linguaggio intimo e reale che sta alla base del Docu. Raccontare la realtà attraverso la telecamera è sempre stato emozionante tanto quanto “violento”, lo è molto di più quando davanti hai gente dall’animo puro, che vive la vita veramente a fondo, attraverso l’unione le grandi gioie e le grandi difficoltà. Non è un documentario che vuol iniziare e finire qualcosa, ma è un parentesi sfuggente di una “storia qualunque”, così profondamente vera che ha la timida pretesa e la semplice forza di emozionare. Amo tutto ciò che già in qualche maniera è iniziato e che non finisce, amo le pellicole che mi lasciano la libertà interiore di spaziare, non amo le strutture classiche, amo gli psicodrammi e la narrazione muta. Amo registi come Terrence Malick o Yorgos Lanthimos che spaziano e rompono in molti dei loro film alcune logiche narrative, amo anche le provocazioni e le suggestioni di Iñárritu o di Tarantino. Infondo la verità è che posso parlare ore di nomi e pellicole, ma come nella musica o nell’arte, amo profondamente ciò che mi sorprende, che mi invade e che in qualche maniera mi cambia.
Come è andata la proiezione in anteprima alla Festa del Cinema di Roma?
È stato emozionante, non ero mai stato in un contesto del genere e credo sarà un ricordo che porterò per sempre con me. Provare nuove emozioni e commuovermi mi fa sentire vivo è alla base del mio concetto di esistenza. Vedere tanta gente in sala, tanti sorrisi e anche tanta commozione mi ha davvero riempito il cuore di gioia.
Come è stato lavorare a stretto contatto con la band?
Ho lavorato con tanti artisti negli ultimi anni con i quali ho instaurato rapporti diversi, ma devo dire che i Negramaro mi hanno dato qualcosa di diverso. Ci siamo subito trovati, stimati e la cosa più bella è che mi hanno lasciato libero di esprimermi. Lavorare ad un reportage quando sei “tra amici” è gratificante e non hai limiti.
Quando hai iniziato ti aspettavi questo successo?
Io ho iniziato questo mestiere in una maniera un pò strana, i miei progetti di vita erano altri e sono stato travolto da così tanti avvenimenti che non ho avuto il tempo di farmi domande. Alla base di ciò che faccio c’è la passione nel comunicare il mio modo di vedere le cose, la vivo come se fosse una dipendenza, un mezzo di comunicazione che mostra il limite della parola. Non mi aspettavo niente di tutto ciò, tutto nasce dai primi insegnamenti ricevuti dal fotografo e amico Henry Ruggeri che ho conosciuto quando avevo 21 anni, da lui ho imparato a pensare solo a lavorare, a rimanere concentrato e a non perdere di vista l’obbiettivo, ad utilizzare l’arte come valvola di sfogo senza aspettative, ad un dialogo con te stesso con la peculiarità però che la gente può osservare.
Quali sono ora i progetti futuri?
Per il nuovo anno ci sono già dei progetti di cui non posso parlare, diciamo che come quest’anno viaggerò molto e lavorerò con artisti sia del mondo della musica, sia della moda/ spettacolo.
Una curiosità. C’è qualcuno a cui ti ispiri?
La mia prima fonte di ispirazione non è una persona ma è la musica, di ogni genere, ascolto veramente di tutto a seconda del mio stato d’animo, poi l’arte visiva, la storia dell’arte e filosofia, parto sempre da una sensazione che mi invade senza poterla controllare. Non ho un nome di un regista o artista a cui mi ispiro in particolare, nasce tutto dalla normalità e dalla curiosità, dall’ascolto. Mi piace conoscere e assorbire, fin dai racconti che ascoltavo da bambino dei miei nonni, ai viaggi di mio padre e ai testi di mia madre. Associo le mie ispirazioni più grandi a momenti normali come le attese negli aeroporti o stazioni, passo molto tempo da solo nei viaggi e mi piace parlare e ascoltare altre vite, mi fa sentire vivo.
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