Il sismologo Tondi sul terremoto nelle Marche: “Un bene che sia avvenuto in mare, siamo in allerta"
Un terremoto che, per similarità geologiche, rimanda a quello che scosse profondamente l’Emilia Romagna fra il 20 e il 29 maggio 2012. Al tempo, la magnitudo rilevata oscillò fra 5.9 e 5.8, con conseguenze tangibili riferite a edifici e persone (27 le vittime, 22 in seguito ai crolli). Con il 5.7 registrato stamattina al largo della costa marchigiana (leggi qui), geologi ed esperti sono tornati a puntare i riflettori sulla medesima responsabile dei citati eventi sismici, ovvero la placca adriatica associata a una faglia sita sul fronte Appenninico e tuttora attiva.
“E’ stato sicuramente un bene - spiega Emanuele Tondi, sismologo e direttore Centro INGV di Unicam - il fatto che il terremoto si sia verificato a 30 km dalla costa: questo ha permesso alle onde sismiche di attenuarsi prima di coinvolgere le abitazioni e le infrastrutture. Se si fosse verificato in terraferma l’intensità sarebbe stata maggiore di qualche grado sulla scala Mercalli (MCS)”.
Quanto avvenuto ci dice qualcosa riguardo i movimenti della placca adriatica? “Da un punto di vista geodinamico, il terremoto è generato dal movimento associato alla subduzione della placca adriatica che scivola al di sotto dell’Appennino, in crescita in questo settore della costa marchigiana. Nella sezione litosferica schematica (gentilmente concessa dal prof. Carlo Doglioni) sono evidenziate le faglie responsabili dei terremoti del 30 Ottobre 2016 (Mw=6.5) con epicentro a Norcia (Umbria) in Appennino e del 9 Novembre 2022 (Mw=5.5) con epicentro a largo della costa di Pesaro in Adriatico. La faglia che ha generato il terremoto in Appennino è una faglia diretta, mentre la faglia che ha generato il terremoto a largo della costa marchigiana è una faglia inversa. Si attivano in risposta a campi di sforzo differenti, determinando estensione in Appennino e contrazione lungo la costa adriatica”.
fig. 1 fig. 2
Faglia diretta (fig. 1): il blocco di roccia al di sopra al piano di faglia si abbassa rispetto all’altro, determinando una estensione dell’ammasso roccioso. Faglia inversa (fig. 2): il blocco di roccia al di sopra al piano di faglia si solleva rispetto all’altro, determinando una contrazione dell’ammasso roccioso).
Dobbiamo temere future scosse in breve tempo? “L’area è stata anche in passato interessata da terremoti, si ricorda quello del 1916, poco più a nord, nella costa riminese e quello del 1930, a Senigallia, tutti e due di magnitudo stimata Mw=5.8 (https://emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/). Una descrizione accurata degli effetti sul costruito e sull’ambiente è presente nel catalogo CFTI di INGV ai seguenti link: 1916 riminese https://storing.ingv.it/cfti/cfti5/quake.php?25486IT; 1930 Senigallia https://storing.ingv.it/cfti/cfti5/quake.php?25486IT. Le faglie attive che generano terremoti in questo settore del fronte appenninico sono presenti e caratterizzate nel database DISS di INGV (https://diss.ingv.it/)”.
(Mappa delle Faglie attive presenti nel database DISS - clicca qui)
Quali sono eventualmente le misure da adottare preventivamente? “Le misure da adottare preventivamente sono sempre le stesse e cioè verificare se gli edifici in cui si abita e/o si frequentano sono vulnerabili al sisma oppure no. Questo è possibile farlo consultando il proprio ingegnere strutturista che valuterà il progetto dell’edificio”.
Quanto è reale il rischio di un eventuale tsunami in caso di scosse più forti? “Quando un forte terremoto avviene in mare c’è la possibilità che si verifichi anche uno tsunami. Tuttavia, affinché si formino onde anomale nel mare, la deformazione del fondale marino deve essere importante e/o la faglia deve arrivare in superficie e dislocare il fondale stesso. Generalmente, queste condizioni si verificano per magnitudo Mw ≥ 6.0”.
(Schema di formazione di uno tsunami associato ad una faglia che si attiva al di sotto del livello del mare/oceano - clicca qui)
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