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Il caso della trasmissione “Report”: il giornalista può essere costretto a rilevare le proprie fonti?

Il caso della trasmissione “Report”: il giornalista può essere costretto a rilevare le proprie fonti?

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”.

Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato i giusti comportamenti del giornalista, con particolare riferimento alla vicenda della trasmissione “Report” circa l’obbligatorietà da parte del professionista di rilevare le proprie fonti alla base di un suo servizio. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da un giornalista di Civitanova Marche che chiede: “Il giornalista può essere costretto a rilevare la fonte alla base di un suo servizio?”.

A questa domanda si potrebbe essere tentati di rispondere con una certa sicurezza che la tutela delle fonti del giornalista rappresenta un pilastro della professione perché strettamente strumentale a garantire il diritto di informazione tutelato, sia dall’art. 21 della nostra Costituzione, sia dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Tuttavia, occorre guardare alla giurisprudenza per comprendere quale sia l’esatta portata della tutela delle fonti giornalistiche, e certamente può dirsi che quell’indagine sia essenziale anche per verificare le condizioni di effettivo esercizio della libertà di stampa. Ed infatti, le limitazioni alla segretezza delle fonti che operano come prerequisito perché al giornalista vengano fornite informazioni necessarie per avviare o consolidare la propria inchiesta, sono sì possibili, ma devono rispondere ad esigenze ben definite.

Come quelle ad esempio che nel processo penale possono portare all’obbligo del giornalista di dover rivelare la fonte di una notizia pur nei limiti della giurisprudenza europea: da ultimo Corte EDU 6 ottobre 2020 Jecker vs. Svizzera, e non possono mai tradursi in una generalizzata attività di controllo dell’attività giornalistica come si potrebbe avere nel caso della richiesta di sequestro dell’intero hard disk di un giornalista o del suo avvocato affrontato dalla Corte EDU con la sentenza del 25 febbraio 2003 Roemen e Schmit vs. Lussemburgo.

Ebbene, in quest’ambito non vi è dubbio che la sentenza del TAR Lazio del 18 giugno 2021, n.7333 merita attenzione perché contribuisce a delimitare le fonti che il giornalista, a certe condizioni, potrebbe essere costretto a rivelare. La questione decisa dai giudici amministrativi in primo grado prende le mosse da un’inchiesta giornalistica della trasmissione “Report” mandata in onda dalla RAI e questo ha una sua rilevanza perché la RAI è soggetta alle norme sull’accesso documentale.

Infatti, dopo la trasmissione una persona citata nel servizio, ritenendosi danneggiata nella reputazione, formula alla RAI, tra l’altro, una richiesta di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi della legge n. 241del 1990, chiedendo, per quel che più rileva ai nostri fini: “a) tutte le richieste rivolte dai giornalisti e/o dalla redazione di “Report”, tramite e-mail o con qualsiasi mezzo scritto o orale, a persone fisiche ed enti pubblici (Comuni, Province, ecc.) o privati (fondazioni, società, ecc.), per ottenere informazioni e/o documenti riguardanti la persona X e la sua attività professionale e culturale; b) tutti i documenti e/o le informazioni fornite ai giornalisti e/o alla redazione di “Report” a seguito delle richieste sub a), e in particolare la corrispondenza personale intercorsa tra lo scrivente e soggetti terzi illustrata nella parte finale del servizio; c) ogni altra corrispondenza non ricompresa sub a) o b) che sia intervenuta tra i giornalisti e/o la redazione di “Report” con riferimento a X o allo Studio Y”.

A seguito del rigetto dell’istanza, viene presentato ricorso al TAR Lazio che decide di accogliere la richiesta ritenendo in particolare che non è di ostacolo l’invocato segreto professionale del giornalista. I giudici amministrativi hanno deciso di accogliere la richiesta di ostensione della “documentazione connessa all’attività preparatoria di acquisizione e di raccolta di informazioni riguardanti le prestazioni di carattere professionale svolte dal ricorrente in favore di soggetti pubblici, confluite nell’elaborazione del contenuto del servizio di inchiesta giornalistica mandato in onda, nello specifico avente ad oggetto la rete di rapporti di consulenza professionale instaurati su incarico di enti territoriali e locali”.

“La suddetta documentazione” – ha precisato il TAR Lazio – “risulta costituita, in particolare, dalle richieste informative rivolte in via scritta dalla redazione del programma ad enti di natura pubblica in merito all’eventuale conferimento di incarichi ovvero di consulenze in favore di parte ricorrente, unitamente ai riscontri forniti dai suddetti enti, in quanto rientranti nel novero dei documenti e degli atti formati ovvero detenuti da una pubblica amministrazione o da un privato gestore di un pubblico servizio”.

Poiché il TAR ha delimitato l’accoglimento dell’istanza ai soli documenti che provengono da un’interlocuzione del giornalista con soggetti pubblici, ciò “rende priva di rilievo nel caso concreto la prospettazione difensiva articolata dalla Società resistente circa la prevalenza che dovrebbe riconoscersi al segreto giornalistico sulle “fonti” informative per sostenere l’esclusione ovvero la limitazione dell’accesso nel caso di specie”.

Ecco allora che laddove il giornalista (nell’ambito di una società – nel caso di specie la RAI – soggetta alle norme sull’accesso amministrativo in base alla legge n. 241 del 1990) abbia utilizzato documentazione proveniente da interlocuzione con la pubblica amministrazione (magari a sua volta proprio utilizzando la legge n. 241 del 1990 o l’accesso civico generalizzato), quella documentazione potrebbe dover essere ostentata a seguito di una richiesta di accesso agli atti formulata dall’interessato.

Per valutare se questa interpretazione sia, o no compatibile, con la tutela del segreto professionale sulle fonti del giornalista occorre richiamare il terzo comma dell’articolo 2 della legge n. 69 del 1963 secondo cui “giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse”.

Ebbene, già leggendo la norma appare che il segreto professionale sulla fonte della notizia debba essere rispettato – precisa l’inciso – “quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse (e ciò – precisa il Garante per la protezione dei dati personali - anche quando sono richiesti ai sensi della normativa sulla privacy di conoscere l’origine delle informazioni che riguardano l’interessato)".

Pertanto in risposta al nostro lettore/giornalista potremmo quindi direche, “ogni qualvolta il giornalista interpelli formalmente un soggetto pubblico potrebbe essere costretto a rivelare ed ostentare la fonte del proprio lavoro giornalistico (e ciò sia ove vi sia stata un’istanza di accesso agli atti in base alla normativa amministrativa, ma anche, ad esempio, ove vi sia stata un’istanza di accesso agli atti in base alla normativa privacy), in quanto essendo la fonte una pubblica amministrazione, non sussiste alcuna esigenza di salvaguardare la fonte mancando qualsiasi rapporto “fiduciario” tra fonte e giornalista” (TAR Lazio, sez. III, sentenza n. 7333/21; depositata il 18 giugno).

Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

 

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