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Cos'è successo in Congo? L'analisi del prof.Petrocchi sulla morte di Maurizio Iacovacci e Luca Attanasio

Cos'è successo in Congo? L'analisi del prof.Petrocchi sulla morte di Maurizio Iacovacci e Luca Attanasio

L’assalto al convoglio ONU e la tragica morte dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Iacovacci. Maurizio Petrocchi, Ricercatore in storia contemporanea all’Università di Macerata ed esperto in violenza politica, conflitti e terrorismo ha cercato di fare un po’ di chiarezza su cosa è successo a Goma in Congo.

Di seguito l'analisi integrale redatta dal prof. Petrocchi:

"In base alle informazioni del governo italiano la mattina del 22 febbraio, tra le 10 e le 11 locali, il convoglio del World Food Programme (Wfp) su cui viaggiavano l'ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo sono stati attaccati da alcuni uomini dotati di armi leggere, verosimilmente presso Kibumba, a circa 25 chilometri da Goma, nel Governatorato di Kivu Nord, mentre percorrevano la strada N2 in direzione di Rutshuru. Il diplomatico italiano venerdì 19, con un aereo della missione ONU Monusco era arrivato nella cittadina congolese di Goma. In base alle informazioni raccolte, ancora da verificare, la prima autovettura del convoglio del Wfp, su cui viaggiavano le vittime, sarebbe stata oggetto di colpi di arma da fuoco. Del convoglio facevano parte, oltre all'ambasciatore e al carabiniere, anche cinque membri del World Food Programme, tra cui il vice direttore per il Congo, Rocco Leone. Il convoglio è stato attaccato alle 10,15 all'altezza del villaggio di Kanya Mahoro, nei pressi di una località chiamata “Tre Antenne”. Il gruppo, formato da sei elementi, avrebbe costretto i mezzi a fermarsi ponendo ostacoli sulla strada e sparando alcuni colpi di armi leggere in aria.

Il governatore del Nord Kivu ha confermato che i sei assalitori, dopo aver sparato colpi in aria e bloccato il convoglio, hanno ordinato ai passeggeri di scendere dai veicoli. Il rumore degli spari ha allertato i soldati delle Forze armate congolesi e i ranger del parco Virunga che, trovandosi a meno di un chilometro di distanza, si sono diretti verso il luogo dell'evento.

Il governatore ha aggiunto che per costringere le loro vittime a lasciare la strada ed entrare nella boscaglia, gli assalitori hanno ucciso l'autista del Wfp.

A fare da teatro all’attacco di miliziani armati e al sospetto tentativo di sequestro finito nel sangue, il parco nazionale del Virunga, un tempo noto per la folta presenza di turisti occidentali in avvistamento degli ultimi gorilla di montagna e oggi tristemente al centro delle cronache per le ricorrenti violenze contro le guardie forestali, incaricate di contrastare lo sfruttamento illegale delle risorse naturali nella zona. Nel gennaio di quest’anno, l’uccisione di sette ranger congolesi aveva fatto innalzare i livelli di allarme per la sicurezza nella riserva naturale: più in generale, da oltre due decenni il Nord Kivu e la Regione orientale del paese sono attraversati da dinamiche di violenza politica, banditismo e insorgenza, che ne fanno una tra le aree più instabili del continente africano.

In base alle prime ricostruzioni, gli assalitori avrebbero, poi, condotto il resto dei membri nella foresta.

Poco distante dal luogo dell'evento era appunto presente una pattuglia di ranger dell’istituto congolese per la conservazione della natura, di stanza presso il vicino parco di Virunga e un'unità dell'Esercito che avrebbero cercato di recuperare i membri del convoglio.

Nelle fasi immediatamente successive all’agguato, secondo quanto riportato dal Ministero dell'Interno congolese, nel momento in cui la pattuglia di ranger ha intimato agli assalitori di abbassare le armi (o semplicemente ha mostrato le armi al seguito), questi ultimi avrebbero aperto il fuoco contro il militare dell'Arma dei carabinieri, uccidendolo sul colpo, e contro l'ambasciatore italiano, ferendolo gravemente. La pattuglia di ranger e l'unità dell'esercito successivamente avrebbero evacuato l'ambasciatore italiano presso l'ospedale Monusco di Goma, dove sarebbe avvenuto il decesso a causa delle ferite riportate nell'attacco. Al riguardo, si specifica, inoltre, che il responsabile del convoglio avrebbe negoziato con gli assalitori per allontanarsi dall'area e portare i feriti in una zona sicura.

Le province del Kivu del Nord (luogo dell’omicidio) e del Kivu del Sud compongono un’area di quasi 125 mila chilometri quadrati e con oltre 12 milioni di abitanti nell’estremo lembo orientale dell’ex Congo belga.  Questa regione è dilaniata da decenni di violenza e saccheggi, inoltre è allo stesso tempo molto fragile per quanta riguarda la sicurezza, e piena di contraddizioni tipiche dei Paesi africani: enormi ricchezze naturali, povertà e violenza. Non dimentichiamo che il Congo ha la seconda riserva di rame al mondo, un quarto dell'oro globale, un terzo dei diamanti, l'80% di cobalto e coltan, minerali sempre più ricercati per cellulari e batterie, ma ufficialmente il paese è privo di miniere, e allo stesso tempo è anche uno degli ultimi paesi per indice di sviluppo umano.  

La lotta per il controllo di queste ricchezze ha favorito la nascita di svariati gruppi guerriglieri che agiscono nella zona. Nella regione orientale del Paese si contano oltre 120 gruppi armati, proliferano autorità paramilitari, reduci delle grandi guerre di fine anni ’90 nella Regione dei grandi laghi, e forze ribelli che, da decenni, si contendono il controllo del territorio, alimentando un'economia informale di guerra che vive dello sfruttamento illegale di risorse, di contrabbando e di estorsioni.

Il contrabbando delle ricchezze del Kivu viene favorito anche dalle multinazionali europee e americane e dai paesi confinanti, difatti nella capitale Kigali, hanno sede le direzioni delle multinazionali, soprattutto belghe e americane, che commerciano in minerali e preziosi, va precisato che la presenza italiana è relativamente bassa.

L'attuale situazione di conflitto trae origine dalla guerra etnica fra Hutu e Tutsi, che raggiunse l'apice dell'orrore nel tristemente noto genocidio del 1994 in Ruanda, quando gli Hutu operarono una pulizia etnica ai danni dei Tutsi. Nella regione ad est della Repubblica Democratica del Congo l'impatto di quel conflitto e della successiva vendetta dei Tutsi è ferita ancora aperta.

In quella parte del Congo agiscono, in particolare, le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda che hanno perso l'originaria potenza militare, ma stanno riorganizzandosi grazie all'alleanza con altre milizie. Sempre di origine Hutu è il cosiddetto Collettivo dei movimenti per il cambiamento. Mentre, nell'intento di difendere i locali, si ergono formazioni quali i Mai Mai, milizie di cosiddetti patrioti.

Le ripetute incursioni delle Forze democratiche alleate, principale gruppo ribelle di origine ugandese, hanno inoltre provocato massicci spostamenti di popolazione.

Le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FdlR) sono state accusate dell’agguato dal governo congolese, ma declinano ogni responsabilità. L’FdlR ha vissuto momenti migliori; è un movimento etnico hutu che si rifà all’Hutu Power, ma il disimpegno dei finanziatori stranieri ne ha ridotto le possibilità di azione. Il gruppo che negli ultimi anni ha preso il sopravvento è l’Adf (Allied democratic forces). Dopo alcuni anni di crisi a seguito dell’arresto del leader Mukulu, oggi sventola la bandiera dell’islamismo e sembra quello più organizzato nel Nord Kivu. La sua reale aderenza ai precetti islamici è dubbia, ma viene utilizzata anche dal governo di Kinshasa per cercare aiuti internazionali nella lotta al jihad. Oggi l’Allied democratic forces è solo un gruppo di congolesi – mentre i fondatori erano ugandesi – senza un vero programma politico, dedito alla predazione delle ricchezze locali.

Oltre a gruppi creati da ruandesi e ugandesi, nella regione del Kivu operano molte milizie di autodifesa spesso su base etnica chiamate Mai-Mai, nate per difendere i propri villaggi durante la guerra, esse sono attive per lo sfruttamento delle tante ricchezze congolesi. Inoltre, nel maggio del 2020 lo Stato Islamico ha invitato alla guerra santa tutti i jihadisti africani e rivendicato un attentato nel Kivu settentrionale qualche mese dopo.

Tutte queste milizie cercano di mettere le mani sui giacimenti e sulle foreste, ma si autofinanziano con i rapimenti sia di elementi locali sia quando possibile di stranieri.

I caschi blu e il personale delle Nazioni Unite sono malvisti perché testimoni dei traffici, mentre le guerriglie tollerano di più l’esercito congolese, che non brilla certo per correttezza nei confronti della popolazione.

La Repubblica Democratica del Congo vive enormi difficoltà. Nelle province di Kivu, Ituri ed Equatore continua a imperversare il virus Ebola che dal 2019 ha fatto oltre duemila morti. Il World Food Programme ha lanciato l’allarme più volte negli ultimi anni, dichiarando che 13 milioni di persone sono allo stremo, soprattutto nelle zone centrali. Medici Senza Frontiere ha chiesto un intervento urgente dalle Nazioni Unite, mentre l’UNHCR (l’agenzia Onu dei rifugiati) dichiara insostenibile la situazione dei campi profughi che insistono sui confini ruandesi e ugandesi. Tutto nell’indifferenza della lontanissima capitale Kinshasa.

Secondo l’UNHCR, si sono registrati negli ultimi due anni in totale 5 milioni di sfollati interni (il 91 per cento dei quali donne e bambini) nel Paese, di cui quasi 2 milioni soltanto nella provincia del Nord Kivu. Il Congo è teatro della più grande crisi di sfollati mai registrata in Africa e gli scontri nel Kivu tra ribelli e forze di sicurezza proseguono ancora": 

(Foto: ANSA)

 

 

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