Senza glutine, lattosio o lievito? Quando serve davvero e quando è solo moda
Negli ultimi anni, sempre più persone hanno iniziato a eliminare alimenti dalla propria dieta con l’idea di “stare meglio”: niente glutine, niente latticini, niente lievito. Spesso queste scelte nascono da informazioni lette online, consigli di amici o semplicemente perché “ci si sente gonfi dopo aver mangiato”, senza riuscire a capire cosa esattamente causi questo disagio. Il problema è che molte volte queste restrizioni vengono adottate senza una diagnosi medica o il supporto di un professionista, e questo può avere conseguenze tutt’altro che positive per la salute.
Prendiamo l’esempio del glutine. Per chi soffre di celiachia, l’eliminazione del glutine è imprescindibile per prevenire danni all’intestino e complicanze sistemiche. Al di fuori di questo contesto, però, molti scelgono autonomamente di seguire una dieta gluten free, convinti che porti benessere, perdita di peso o maggiore energia: stime recenti parlano di circa un terzo della popolazione che riduce o elimina il glutine solo per motivi di salute percepita.
Il problema è che chi elimina il glutine senza un motivo valido può andare incontro a effetti negativi: carenze di fibre, vitamine del gruppo B, minerali, e un aumento di alimenti ultra-processati (spesso più costosi e meno nutrienti). In alcuni casi si è osservato anche un incremento di peso e alterazioni del microbiota intestinale.
Anche gli alimenti contenenti lattosio vengono spesso allontanati perché creduti “meno leggeri”, e non perché ci sia un’intolleranza accertata. L’intolleranza al lattosio è causata da una ridotta attività dell’enzima lattasi, che serve a digerire questo zucchero presente nel latte. Ma non si tratta di un “tutto o niente”: esistono diversi gradi di tolleranza. Alcune persone riescono a consumare piccole quantità di latticini, soprattutto se inseriti in pasti completi, mentre altre avvertono disturbi anche con minime dosi.
In certi casi, la difficoltà nel digerire il lattosio può essere temporanea, ad esempio dopo un’infezione intestinale o un ciclo di antibiotici che ha alterato la flora intestinale. Quando l’equilibrio del microbiota si altera – una condizione chiamata disbiosi – può ridursi non solo la capacità di digerire il lattosio, ma anche quella di tollerare altri zuccheri fermentabili, detti FODMAP. Questi si trovano in molti alimenti comuni, come alcuni cereali, frutta, verdura, legumi e derivati del latte.
In queste situazioni, i sintomi (gonfiore, gas, crampi, diarrea) non dipendono da un’allergia o da un’intolleranza “classica”, ma da una sensibilità intestinale più complessa, che richiede una valutazione attenta.
Un discorso simile riguarda anche il lievito, spesso accusato di essere responsabile di gonfiore o pesantezza dopo pasti a base di pane o pizza. In realtà, una vera intolleranza al lievito è molto rara. Nella maggior parte dei casi, i disturbi dipendono da impasti poco digeribili, farine raffinate, lievitazioni troppo brevi o condimenti ricchi di grassi e zuccheri.
Anche chi soffre di intestino sensibile o disbiosi può avere difficoltà a digerire certi prodotti lievitati, ma questo non significa doverli escludere del tutto. A volte basta scegliere alimenti realizzati con ingredienti semplici e tempi di lievitazione lunghi, oppure consumarli in modo più consapevole, in quantità moderate e all’interno di pasti bilanciati.
È per questo che il ruolo del professionista della salute è fondamentale. Intraprendere da soli una dieta restrittiva può portare a squilibri nutrizionali, carenze di vitamine e minerali, perdita di massa muscolare e peggioramento della qualità della vita. Inoltre, eliminare certi alimenti senza un motivo reale può rendere più difficile una successiva diagnosi, se i sintomi dovessero persistere.
Anche se molte persone riferiscono di sentirsi meglio dopo aver eliminato determinati alimenti, il miglioramento spesso non è dovuto all’esclusione del glutine o del lattosio in sé, ma piuttosto a un generale cambiamento delle abitudini alimentari: si riducono i cibi ultra-processati, si fa più attenzione alla qualità degli ingredienti e si introducono alimenti freschi e meno zuccheri. Il beneficio, quindi, potrebbe derivare da uno stile alimentare più sano nel complesso, e non da una singola esclusione.
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