Cos'è il "Patto per un Islam italiano": parla il professor Stefano Testa Bappenheim (Unicam)
Tutti i giornali hanno parlato nei giorni scorsi della firma, al Ministero dell’Interno, del ‘Patto per un Islam italiano’: ne abbiamo parlato col Prof. Stefano Testa Bappenheim, docente di Diritto ecclesiastico e di Diritto musulmano e dei Paesi islamici alla Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Camerino.
Nei giorni scorsi è stato firmato il "'Patto nazionale per un Islam italiano, espressione di una comunità aperta, integrata e aderente e ai valori e principi dell'ordinamento statale". Di cosa si tratta?
È un documento d’impegni firmato, grazie al Ministro Minniti, da una ragguardevole porzione delle Comunità musulmane in Italia, ed è una tappa importante d’un iter di conoscenza e dialogo avviato dal Ministro Pisanu nel 2005, con la creazione della Consulta per l’Islam in Italia, poi proseguito col Ministro Amato, nel biennio 2006-2008, con la ‘Carta dei valori della cittadinanza e dell’immigrazione’ e la ‘Dichiarazione d’intenti’, e continuato ancora col Ministro Maroni, al cui Comitato per l’Islam si debbono altri documenti importanti sugli Imam e sulle moschee.
Cosa cambia in concreto rispetto alle relazioni che c'erano finora?
Sono stati siglati impegni concreti riguardo in primis la trasparenza, l’uso dell’italiano per i sermoni in moschea, la definizione di curricula formativi degli Imam, il controllo dei luoghi per l’aggregazione religiosa onde si evitino interferenze straniere, assicurando la libertà di culto e di religione ai Musulmani che vivono e lavorano in Italia. L’obiettivo e duplice: garantire la libertà religiosa ai fedeli islamici, come a quelli d’ogni altra religione, con l’Intesa o di fatto, respingendo sentimenti xenofobi, e, al contempo, favorire l’integrazione della confessione islamica nel quadro dei diritti e doveri che la Costituzione garantisce a tutti quelli che si trovano nel nostro Paese.
Il documento potrebbe essere anche utile a relazionare le stesse comunità islamiche, spesso in contrasto fra loro?
In vari Paesi europei vi sono accordi similari già operativi di cui mi sono occupato e che stanno funzionando anche in tal senso, mentre è uscito da poco un libro, frutto d’un PRIN-progetto di ricerca d’interesse nazionale cui ho partecipato, che illustra proprio queste prospettive; bisogna comunque tener presente che l’Accordo dell’altro giorno, pur importantissimo, non è ancora un’Intesa ex art. 8 della Costituzione, sicché il cammino resta lungo, quantunque sia stato compiuto uno straordinario investimento per il futuro, come ha detto il Ministro Minniti.
In concreto, invece, per quanto riguarda il diritto che lei insegna, quali modifiche vengono apportate nell'insegnamento?
Io insegno, alla Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Camerino, due materie, Diritto ecclesiastico e Diritto musulmano e dei Paesi islamici, ed entrambe sono interessate da questa prospettiva; il diritto ecclesiastico, infatti, studia le norme dello Stato che regolano il fenomeno sociale religioso, ed è evidente che ove venisse firmata un’Intesa sarà soprattutto il Diritto ecclesiastico a doversene occupare; d’altro canto, poi, già ora, in alcuni casi, il diritto italiano recepisce o rinvia a norme degli ordinamenti confessionali, sia delle Confessioni con Intesa sia di quelle senza, nonché a norme dei Paesi islamici, pure rilevantissime per l’export del Made in Italy, e questo è l’ambito di studio della mia seconda materia.
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