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Sanità Macerata

Macerata - Il dott. Rossi, direttore del pronto soccorso: "La paura è tanta, ma resto in prima linea anche se lontano dalla famiglia"

Macerata - Il dott. Rossi, direttore del pronto soccorso: "La paura è tanta, ma resto in prima linea anche se lontano dalla famiglia"

Da 40 giorni lavora, senza sosta, lontano dalla moglie e dai figli per fronteggiare, in prima linea, il virus. "Soltanto domenica scorsa sono riuscito ad andare a trovarli e vederli, seppure a distanza, anche di persona oltre che tramite video-chiamata". A raccontarlo è il dottor Emanuele Rossi, direttore del pronto soccorso dell'ospedale di Macerata.  

"Ho preferito allontanarmi dalla mia famiglia, che risiede ad Ancona, per proteggerla - ci dice  -. Lavorando in zona Covid, sono maggiormente esposto al rischio di portare l'infezione all'interno delle mura domestiche. Pertanto, dall'inizio dell'emergenza, alloggio in una casa che ho sul Conero, in isolamento". 

Il sacrificio che il dottor Rossi compie - lontano dagli affetti - è quotidiano. Un sacrificio che affronta, consapevole delle responsabilità che derivano dal suo ruolo così come dei rischi. 

"Se mi fossi sottratto alle mie funzioni, avrei dimostrato di essere un pessimo dirigente. Ho preferito essere io ad andare in prima linea in area Covid e lasciare un pò più dietro i miei collaboratori - sottolinea -. Questo perchè, chi ha ruolo dirigenziale, deve dare l'esempio. Mentirei se dicessi di non avere paura. Ho avuto molta paura e ne ho tuttora".

Nell'affermarlo il dottor Rossi cita anche Sant'Agostino ('I fatti danno credibilità alle parole'). 

"Non sono il solo a fare questo - ci tiene, però, a sottolineare -. Il mio ringraziamento personale va al dottor Michele Salvatori - che non dorme più a casa sua da 40 giorni come me - e al dottor Mauro Giustozzi, che tornando ogni giorno dalla sua famiglia è costretto ad attenersi a scrupolose misure di distanziamento. Loro, come me, non hanno preso un giorno di pausa dall'inizio dell'emergenza e sono stati in prima linea quotidianamente". 

Un ulteriore ringraziamento il dottor Rossi lo rivolge al direttore dell'Area Vasta 3, Alessandro Maccioni. "Ci ha dato carta bianca - dice -, mettendo a  disposizione tutto ciò che avevamo chiesto, ribadendo che il cittadino della provincia maceratese dovesse essere tutelato nel miglior modo possibile. Non ci è stato posto alcun limite finanziario".

"Anche per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuale - aggiunge - non abbiamo mai avuto problematiche di reperimento, grazie all'intervento in prima persona del direttore Maccioni. Non si è mai tirato indietro nei suoi compiti. In un mondo in cui tutti la faccia la levano, qualcuno che ce la mette va ringraziato pubblicamente". 

Dottor Rossi, come avete riorganizzato il pronto soccorso di Macerata per far fronte all'emergenza coronavirus? 

"Abbiamo adottato un doppio binario a cui afferiscono due triage. Un percorso porta alla cosiddetta zona "sporca", cioè alla zona dove accedono i pazienti con febbre e dispnea (respirazione difficoltosa, ndr). Questi pazienti, ad alto e medio rischio Covid, vengono indirizzati nei moduli di degenza esterna, volgarmente detti container, in cui vengono adottate tutte le massime norme igieniche di contenimento dell'infezione.

I container presenti al pronto soccorso di Macerata sono due: uno per i pazienti ad alto rischio e uno per quelli a medio/basso rischio. Al loro interno i pazienti vengono sottoposti a tampone e vi rimangono sino a quando non abbiamo l'esito dello stesso (circa 24 ore). Una volta arrivati i risultati, il paziente può essere dimesso - qualora sia in condizioni accettabili - o smistato, a seconda dei casi, nei reparti Covid o non-Covid. 

Un secondo binario porta, invece, al cosiddetto pronto soccorso "pulito". Qui i pazienti vengono valutati con metodiche tradizionali, non accusando sintomatologia riferibile a tosse, febbre e dispnea. 

È capitato che pazienti condotti inizialmente nel percorso "pulito", abbiano poi manifestato sintomi sospetti? 

La suddivisione tra percorso "sporco" e "pulito", purtroppo, non è mai nettissima. Per quanto ci sforziamo di tenere separati i due percorsi e attuare tutte le misure preventive, i rischi non saranno mai zero.

Non possiamo bloccare i pazienti ancor prima dell'ingresso al pronto soccorso, quindi può capitare la situazione in cui una persona che vi acceda, ad esempio, per una banale distorsione alla caviglia e venga quindi condotta nel percorso "pulito", manifesti poi stati febbrili al momento della misurazione della temperatura. Una misurazione che viene effettuata a tutti coloro che accedono al nostro pronto soccorso.  

A questo punto, il paziente in questione viene condotto nell'area "sporca", in quanto considerato ad "alto rischio". Ribadisco, quindi, di rivolgersi al pronto soccorso esclusivamente in caso di reale necessità clinica. 

Proprio in ragione dell'impossibilità di garantire un rischio zero, ci sono stati casi di positività al virus fra i vostri collaboratori?

Sì, sono stati contagiati una dottoressa e un infermiere. Ora stanno bene. Hanno verosimilmente contratto il virus nei primi 15 giorni del mese di marzo, quando ancora non conoscevamo l'enorme facilità di contagio. E non avevamo, quindi, adottato le giuste misure di contenimento, come abbiamo fatto soltanto dopo il 12-13 marzo.

Il vero dramma è stato non aver compreso la portata del fenomeno prima di questa data. All'inizio nessuno ne ha avuto ben contezza. Eravamo obiettivamente degli ignoranti, me compreso. 

Questo ci ha messo in difficoltà. Abbiamo pensato: "Ecco, non ci hanno contagiato i pazienti, ma ci siamo contagiati tra colleghi". 

Com'è, ad oggi, la situazione? 

Da 3-4 giorni registriamo una diminuzione dei casi di febbre che accedono al pronto soccorso. Questo ci ha consentito di lavorare con maggiore tranquillità e in maggiore sicurezza rispetto alle giornate terribili del week-end tra il 20 e il 22 marzo. Numeri minori, che però non ci devono far abbassare la guardia.

Ci sono ancora dei focolai sparsi nella provincia, prevalentemente registrati in qualche lungo-degenza o casa di riposo. Questi focolai vanno assolutamente individuati e spenti, attraverso il tracciamento dei possibili contagi. 

Quando si arriverà a spegnere anche i focolai residuali e non avere più nuovi contagi? Quali sono, secondo lei, le tempistiche?

Penso che il controllo dell'epidemia richiederà ancora due settimane. Dopidiché bisognerà ripartire. Per la fine di aprile dovremmo avere sporadici focolai che dovranno essere identificati e isolati in maniera estremamente precoce, in modo da avere - ad inizio maggio - una situazione relativamente sotto controllo. A quel punto, però, bisognerà evitare che i focolai residui possano riattivarsi. 

Quindi, come evitare che i focolai epidemici si riaccendano? 

Bisognerà continuare a tenere per tutto il mese di maggio il distanziamento sociale e continuare a indossare la mascherina ogniqualvolta ci si reca in luoghi affollati, come supermercati o farmacie.

Se si giungerà al riavvio della filiera produttiva, sicuramente, si dovrà misurare la temperatura del personale all'ingresso e all'uscita del turno di lavoro e, anche in questo caso, mantenere la distanza di almeno un metro oltre che l'adozione della mascherina.

Laddove esista la possibilità di lavarsi frequentemente la mani, non vi è la necessità di indossare guanti. In caso contrario, anche l'utilizzo dei guanti monouso aumenta lo standard igienico del luogo di lavoro. 

 

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