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Che mangino brioches...

Che mangino brioches...

A meno di improbabili colpi di scena dell’ultimo minuto, cala definitivamente la tela sul cementificio di Castelraimondo. Tra qualche giorno settantuno dipendenti non avranno più un lavoro, né un reddito per campare le loro famiglie. Un’altra realtà produttiva e fonte di sostentamento per molti che chiude e lascia il territorio montano sempre più povero e spoglio.

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Eppure si tratta di un epilogo previsto in tempo utile per potervi porre, eventualmente rimedio. Un finale annunciato probabilmente ad orecchi sordi o che, come minimo, non hanno prestato ascolto alle numerose grida di allarme che si levavano da ogni parte. Un caso di lassismo e di trascuratezza da manuale. Ciò nonostante le condizioni per approfondire il dossier c’erano tutte. Le informazioni frammentarie e parziali che trapelavano, avrebbero richiesto un contatto serrato con la proprietà. Con le diverse proprietà che nel corso di questo ultimo anno si sono avvicendate. Le organizzazioni sindacali, con i rappresentanti locali dei lavoratori, in verità, lo hanno richiesto - inascoltati - sin da subito. Ma il loro unico interlocutore istituzionale, ossia la giunta regionale ha fatto orecchi da mercante. Il presidente Ceriscioli ha scelto di non metterci la faccia. Negli ultimi due incontri era altrove. Impegni inderogabili. Mentre gli uomini della Cementir di Caltagirone negavano ai sindacalisti sbalorditi, ogni possibile, ragionevole apertura, lui non c’era. Deliberatamente sceglieva di non stare accanto alle maestranze che in quell’attimo perdevano lavoro e salario.  Al suo posto inviava la sua assessora ed un funzionario regionale. Sono sicuro che lui, uomo di sinistra (almeno a parole), che disertava tutti i tavoli di confronto, non deve aver fatto una buona impressione ai lavoratori.

Per la verità, lo avevamo visto decisamente più a suo agio alle prese con olive e aperitivi nel party estivo organizzato dalla figlia di quello stesso Caltagirone, Azzurra. Allora la razza padrona chiudeva, tra gli applausi ed i complimenti degli astanti, una testata giornalistica e la signora in questione ebbe a dire che quelli che venivano licenziati non erano giornalisti. Che, casomai, l’impertinente intervistatrice si informasse meglio. Ceriscioli lì, quel giorno c’era, eccome! Sorrideva soddisfatto alle telecamere, tra uno Spritz ed un Martini e la sua unica preoccupazione era come togliersi un fastidiosissimo pezzetto di prezzemolo tra i denti.

Della disperazione rabbiosa dei lavoratori, quindi il governatore Ceriscioli non sa. Come non sa del profondo senso di impotenza e frustrazione che pervade quel corpo intermedio che si chiama sindacato, che tante volte ha assorbito anche pesanti conflitti. Non sa nemmeno che oltre al lavoro, questi disoccupati qui hanno perso ogni residuo di fiducia nelle istituzioni. Che si sono sentiti carne da macello. Merce di scambio di quart’ordine. Infatti non ci vuole uno scienziato per capire che uno non compra uno stabilimento perché progetta di non riaprirlo mai. Casomai lo compra per cambiargli destinazione d’uso. E se lo fa è solo perché qualcuno gli ha dato delle solide ed affidabili garanzie. Il tutto sulla pelle di settantuno, ignare famiglie.

In realtà le colpe vanno distribuite equamente e non tutte addossate al presidente della giunta regionale. Il locale Partito Democratico, mentre i lavoratori sfilavano in piazza, sotto gli occhi tra l’annoiato ed il rassegnato dei presenti, si guardava compiaciuto e soddisfatto l’ombelico. Il loro dibattito verteva tra il post- Pettinari ed il referendum costituzionale. Incontri a tal proposito si susseguivano incessanti e partecipati. Dentro i salottini, sotto i neon e al fresco dell’aria condizionata si dibatteva dei massimi sistemi. Fuori, per le strade montava la rabbia di quelli che tra pochi giorni non avranno più soldi nemmeno per mangiare. Credo che la distanza tra una classe dirigente ed i suoi concittadini si misuri tutta, qui ed oggi, in questa desolante, ma veritiera rappresentazione. Dopodiché si arriva all’ormai famoso “mangino brioches” di Maria Antonietta, preludio alla rivoluzione.

Se è vero che “si muore soprattutto quando in nome della salvezza dell’economia si giustificano scelte che calpestano la dignità delle persone e si negano a queste diritti fondamentali,” come ha saggiamente scritto Mons. Nunzio Galantino, allora noi siamo già morti da tempo e non ce ne siamo nemmeno accorti. Tanto eravamo presi a discutere d’altro…

Fabrizio Cambriani
Opinionista e polemista, scrive solo per passione. In caso di guerre e/o calamità naturali diventa anche reporter e narratore. Politicamente ormai apolide, è sempre incuriosito e attratto dalle dinamiche relative alle continue trasformazioni sociali. Ama la buona tavola, l'ottima musica e le donne (anche contemporaneamente)...

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