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Senza un lavoro dopo la malattia: la storia di Elisabetta

Senza un lavoro dopo la malattia: la storia di Elisabetta

La storia della signora Elisabetta Vecchioli racconta le vicende di tante uomini e donne d’Italia che sono usciti da mondo del lavoro e non riescono a rientrare. Le sue parole vogliono essere la cassa di risonanza per tutte quelle persone che oggi non vengono neanche prese in considerazione per i lavori più umili.

La protagonista della nostra storia ha iniziato a lavorare da Guzzini per poi prendere il volo per una carriera nel mondo del marketing e delle pubbliche relazioni viaggiando per l'Italia e vivendo tra l’Emilia Romagna e la Lombardia, passando da un'azienda e l'altra. Una carriera che era tutta la sua vita, “Mi spostavo di città in città, partivo la mattina e non sapevo a che ora tornavo la sera, racconta Elisabetta, il mio lavoro coincideva con la mia vita. Avevo scelto di lavorare e non di avere una famiglia, una scelta che le donne sono costrette a fare prima o poi.”

Nel 2008 un incidente nella vita privata: frattura una vertebra della schiena rischiando la sedia a rotelle, così, su consiglio dei dottori, si autolicenzia perché incapace di reggere i ritmi lavorativi con quel problema fisico. Da questo momento in poi inizia l’odissea del nuovo posto di lavoro. “Reinserirsi nel mondo del lavoro non è facile, soprattutto con un curriculum come il mio. Per il mio settore sono troppo vecchia, è più facile assumere giovani appena usciti dall’università, non ho esperienza di manualità e quindi i laboratori non sono interessati a me. Mi sono ritrovata a dover nascondere le mie capacità, il mio passato manageriale perché intimorisce.”

Si ritrova così a 47 anni a lavorare per call center, a fare le pulizie per un albergo, a dare assistenza agli anziani, salario quasi impercettibile e umiliazioni costanti, ma per avere due soldi si fa questo e altro. Ha una mamma di 81 anni e vivono grazie alla sua pensione minima più che soldi guadagnati dai piccoli lavori che ogni tanto trova.

Tutto questo è degradante, tutto questo logora la mente delle persone “Avere 24 ore libere, senza far niente ti manda via di testa. Arrivi al punto in cui non hai più neanche la forza di tentare di chiedere lavoro. Diventi pessimista, non vedi luce nel tuo futuro. Non esiste tutela per chi come me si trova in questo limbo”

Alla domanda se lascerebbe l’Italia, la nostra intervistata ci spiega che ha sempre il passaporto pronto, in passato ha anche provato ad inserirsi nel mercato tailandese, ma non aveva soldi da investire come capitale iniziale, ora ha la mamma da accudire e non può lasciarla sola. È incastrata in una situazione in cui le istituzioni non possono aiutarla, in cui il mercato non la vuole e l’essere donna non la aiuta. Le rimane di essere voce, di portare avanti la storia di tanti italiani che non hanno spazio nel mondo del lavoro nonostante il background, le conoscenze e le esperienze arrivati ad una certa età sono più un peso che un valore aggiunto per chi cerca lavoro.

“Non è possibile” è la frase che più ripete durante l’intervista, tra il racconto di una vicenda e l’altra, tra le sventure della vita accorse, ci tiene però sempre a sottolineare: “Non sono la sola”, possibilità di riscatto all’orizzonte ancora non ve ne sono, resta la voglia di diventare portavoce di chi non ha diritto… un diritto sancito nel primo articolo della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.”

 

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