Riforma delle BCC: ricucito lo strappo nel Pd e distrutto un sistema che operava da oltre 130 anni
Il credito cooperativo, costituito da 1.230.000 soci, va verso l’estinzione. La principale responsabilità è di coloro che sono ai vertici del sistema da oltre 30 anni, col contributo politico del PD. La BCC di Civitanova Marche e Montecosaro farà valere i propri diritti in ogni sede ed ha già conferito apposito incarico legale: così in una nota i vertici della Bcc civitanovese.
"Gli emendamenti e le modifiche introdotte nel corso dell’esame in sede referente stanno riportando il decreto legge n. 18/2016 alla struttura inizialmente proposta: Renzi e Padoan escono sconfitti, mentre Federcasse e Bankitalia appaiono come i vincitori. A parere di chi scrive, la riforma non conserva né i principi mutualistici e cooperativi né quelli di solidarietà e autonomia nel rapporto con i territori. Chi sconterà maggiormente le modifiche apportate in sede referente, saranno le BCC di piccola e media dimensione che hanno sempre operato correttamente ed onestamente a vantaggio dei propri territori, nonché dei propri soci, clienti e dipendenti. Come si fa a parlare di mutualismo, cooperazione e solidarietà quando, per una cooperativa bancaria, si impone l’obbligo di essere assoggettata a direzione e coordinamento di una società per azioni, probabilmente governata dai medesimi soggetti che hanno avuto il demerito di portare il sistema al collasso, destinatari di provvedimenti sanzionatori da parte della Banca di Italia e come unico scopo quello di assicurarsi il proprio potere?In un Paese normale ciò non succederebbe, in Italia invece è la regola.
Un mostro giuridico che sarà presentato al parlamento per l’approvazione.Da un punto di vista tecnico-giuridico, il DL n. 18/2016 approvato dal Consiglio dei Ministri, seppur fortemente criticabile sotto diversi aspetti, era riuscito quanto meno a rispettare i principi di libera iniziativa economica sanciti dall’art. 41 della Carta Costituzionale ed a mitigare i rischi di incostituzionalità di cui all’art. 45, rischi, che risultano invece accentuati nel progetto di riforma proposto da Federcasse in condivisione con Bankitalia. Il premier Renzi e il ministro Padoan, nonostante avessero messo in discussione il principio della indivisibilità delle riserve attraverso il pagamento di un’imposta straordinaria comunque elevata per l’affrancamento delle riserve, concedendo 18 mesi di tempo alle BCC per decidere se entrare nel gruppo unico o trasformarsi in società per azioni (anche aggregandosi con altre), obbligavano, di fatto, le candidate capogruppo ad essere “appetibili” e a produrre un piano industriale serio, efficiente e nell’esclusivo interesse delle BCC e del Paese.
Le modifiche apportate dalla commissione in sede referente, invece, oltre a calpestare gli articoli 41 e 45 della Carta Costituzionale, obbliga tutte le BCC a decidere, in appena 60 giorni dalla conversione in legge del DL, sull’eventuale esercizio della way out senza conoscere:
- a) chi sarà la capogruppo o le capogruppo,
- b) gli statuti, i piani industriali e la governance di queste,
- c) il contenuto minimo del contratto di coesione, la cui redazione è ora demandata alla Banca d’Italia.
A parte quelle BCC per le quali la way out era stata pensata e introdotta appositamente nel DL (n. 14 aventi un patrimonio superiore a 200 milioni), tutte le altre (n. 350 bcc) di fatto non hanno più alcuna possibilità di scelta dal momento che, entro 60 giorni dalla conversione in legge del decreto, dovrebbero chiedere all’Organo di vigilanza di poter conferire l’intera azienda bancaria in una società per azioni che già rispetta i requisiti patrimoniali, che, si assicurerà la maggioranza dei voti della nuova s.p.a. bancaria, anche dopo il conferimento della piccola BCC. In altri termini, mentre per la costituzione della capogruppo si concedono 18 mesi di tempo dall’entrata in vigore delle norme attuative del MEF, a tutte le BCC che al 31 dicembre 2015 non possiedono un patrimonio netto di almeno 200 milioni di euro, a prescindere dalla propria solidità patrimoniale, viene chiesto di scegliere, probabilmente senza nemmeno avere il tempo di consultare i propri soci, tra morire nella sconosciuta capogruppo società per azioni o scomparire all’interno di una nuova società per azioni della quale nulla viene richiesto in termini di solidità patrimoniale e/o di efficienza e trasparenza. La way out, così come concepita, finirebbe per favorire solo quelle BCC con un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro, che sperano di assorbire quelle piccole e virtuose che intenderanno accodarsi. Quella che risulta attualmente, più che una possibilità di uscita dalla capogruppo società per azioni sembra un obbligo ad aderire ad una sconosciuta capogruppo, tanto più se si considera che occorrerà pagare addirittura un’imposta pari al 20% del patrimonio netto. E’ di tutta evidenza che si intende favorire l’autocandidatura di ICCREA Holding S.p.A. proclamata a Roma il 4 marzo scorso in occasione dell’assemblea straordinaria dei soci, ossia di quella società già costituita per razionalizzare la fornitura di servizi alle BCC e spesso criticata proprio per l’inefficienza di alcune sue società, oltre che per la scarsa trasparenza adottata nella gestione.
Le reali finalità della riforma
L’articolato e dettagliato quadro normativo proposto dai rappresentanti di Federcasse al governo lo scorso mese di ottobre non è mai stato condiviso con le BCC, quanto meno con quelle marchigiane. L’ulteriore prova della deliberata eterogenesi dei fini è rappresentata dall’introduzione della particolare norma, attraverso la creazione di un fondo temporaneo promosso da Federcasse, che amplifica ulteriormente i vizi di legittimità di una riforma che rischia di distruggere un sistema che opera da oltre 130 anni e che raggruppa 1.230.000 soci. Viene introdotto in sede referente l’articolo 2-bis, intitolato Fondo temporaneo delle banche di credito cooperativo, che dovrebbe “coadiuvare il processo di adeguamento alle riforme” introdotte con la conversione in legge; così si esprime lo stesso documento Dossier (http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/D16018B.Pdf), dal quale sembrerebbe doversi desumere l’obbligo di adesione per tutte le BCC che non esercitano la way out al buio.
In altri termini, sembrerebbe, ma il condizionale è d’obbligo perché la norma sembra scritta appositamente per non far comprendere, che nella fase transitoria, in vista della costituzione della o delle capogruppo, Federcasse possa gestire un fondo temporaneo al quale le BCC dovrebbero obbligatoriamente aderire, e dunque contribuire in termini economici e finanziari, per realizzare le finalità che successivamente si raggiungerebbero con l’appartenenza ad una capogruppo: sostenere le BCC in difficoltà e favorire processi di consolidamento e concentrazione delle BCC (processi, questi ultimi, che con la nuova way out vengono invece scoraggiati). Infine, si prevede che l’adesione al Fondo debba avvenire entro 30 giorni dalla data di approvazione del relativo statuto; da chi debba essere approvato lo statuto non è chiarito dalle norme che saranno sottoposte all’Aula di Montecitorio..
Appare fin troppo logico ed evidente concludere che lo scopo della riforma sembrerebbe quello di imbrigliare le BCC piccole e virtuose, che sono la stragrande maggioranza, mantenendo il potere in mano a coloro che siedono ai vertici della cooperazione da oltre 30 anni e che spesso hanno mal gestito le loro banche!
Le altre modifiche introdotte in sede referente.
Ecco le altre modifiche emendative introdotte nel DL che, molto probabilmente, consentiranno la conversione in legge in tempi rapidi:
è stata re-inserita la possibilità di costituire eventuali sottogruppi territoriali (ad es. Federazioni locali), facenti capo a una banca costituita in forma di società per azioni sottoposta a direzione e coordinamento della capogruppo;
è stata introdotta la possibilità per le banche di credito cooperativo aventi sede legale nelle province autonome di Trento e Bolzano di costituire autonomi gruppi bancari cooperativi composti solo da banche aventi sede e operanti esclusivamente nella medesima provincia autonoma;
non è più prevista la facoltà della capogruppo di nominare, di opporsi alla nomina o di revocare uno o più componenti, fino a concorrenza della maggioranza, degli organi di amministrazione e controllo delle società aderenti al gruppo, in casi eccezionali e motivati, ma diventa un’ordinaria facoltà della capogruppo che dovrà semplicemente motivare l’esercizio di tale potere. Anche questa modifica mal si concilia con i principi di cooperazione e mutualismo e, soprattutto, con l’autonomia nel rapporto con i territori;
viene inserita la possibilità per la BCC di recedere dal gruppo, non contemplata invece per i soci delle BCC che non dovessero deliberare le modifiche dei propri statuti in adeguamento all’assoggettamento a direzione e coordinamento della capogruppo. Oltre alla Provincia di Bolzano (che potrà costituire un apposito gruppo), qualora nel resto d’Italia non si riuscisse a costituire almeno due gruppi l’unica alternativa, in caso di recesso, di fatto, resterebbe la liquidazione della BCC;
è stato assegnato alla Banca d’Italia il compito di dettare disposizioni relative ai requisiti minimi organizzativi ed operativi della capogruppo, al contenuto minimo del contratto di coesione, alle caratteristiche della garanzia in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle altre banche aderenti, al procedimento per la costituzione del gruppo e all’adesione al medesimo, oltre ai requisiti per la costituzione della capogruppo delle Raiffeisen.
In sede referente, né la maggioranza né la minoranza hanno pensato ai rischi di legittimità costituzionale o a modifiche che prevedessero l’introduzione di banali concetti di meritocrazia per la governance della capogruppo. Tuttavia, di tutti gli atti parlamentari rinvenibili sul sito della Camera dei Deputati, bisogna riconoscere che l’unico ad aver centrato i rischi ed i vizi della riforma che sarà discussa questa settimana in parlamento è quello del relatore Angelo Busin, il quale ha predisposto un’interessante relazione (http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0039710.pdf).
Le ultime flebili speranze
Nella giungla giuridica di un complesso e farraginoso articolato normativo che non riforma le strutture che dovrebbero essere rifondate, appare comunque uno spiraglio nella norma con la quale si impone che la maggioranza del capitale della capogruppo deve essere detenuto dalle BCC. Tale spiraglio sembra uscito indenne dai numerosi emendamenti apportati dalla commissione in sede referente, tanto che, al momento, sembra non essere stata accolta la richiesta di Bankitalia, con la quale si prevedeva la possibilità per le autorità (MEF su proposta della Banca d’Italia) di autorizzare, per ragioni di stabilità, le BCC a scendere sotto la soglia della maggioranza del capitale della capogruppo nei casi di rilevanza tale da mettere a rischio la stabilità del gruppo o di sue componenti rilevanti. L’auspicio, a parere di chi scrive, è che nel credito cooperativo possano trovare accoglienza i principi contenuti nel progetto industriale che Cassa Centrale Banca ha presentato lo scorso luglio alla borsa valori di Milano e per il quale ha riscosso notevole successo durante il meeting di Bologna (https://www.cassacentrale.it/wcupload/cc/2015/meeting_bologna/MB_Comunicato_Stampa.pdf). La speranza di tante BCC serie, oneste e disposte a sacrificarsi per le consorelle in difficoltà (a condizione che vengano salvaguardati i principi di meritocrazia, mutualismo e autonomia nel rapporto con i territori) risiede quindi nella forza e nella convinzione che il board di Cassa Centrale Banca saprà mostrare nelle prossime settimane nel tentativo di imporre il proprio progetto industriale di capogruppo. Progetto che, al momento, resta ancora l’unico ad essere stato presentato alle BCC e a potersi vantare di innovatività, efficacia, serietà e trasparenza, e che presuppone anche la riforma dei soggetti esistenti (ad es. Iccrea Holding e Federcasse), come dichiarato dal presidente di Cassa Centrale Banca, Giorgio Fracalossi (http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/economia/2016/03/17/news/cassa-centrale-riforma-ora-o-facciamo-da-soli-1.13147342).
Cosa ha deciso la BCC di Civitanova Marche e Montecosaro
In attesa della imminente conversione in legge del DL emendato (in peggio) e nella speranza che Cassa Centrale Banca riesca a soccorrere l’intero sistema del credito cooperativo, il Consiglio di amministrazione della BCC di Civitanova Marche e Montecosaro, oltre a restare in contatto con numerose BCC e a tutela e a salvaguardia dei diritti dei propri soci, clienti e dipendenti e del proprio territorio, ha deliberato il conferimento dell’incarico professionale all’avv. Gerardo Pizzirusso del foro di Macerata, affinché siano accertate eventuali responsabilità nel processo di riforma del credito cooperativo, portato avanti da circa un anno da Federcasse con l’ausilio delle federazioni regionali, e siano valutate eventuali azioni tese a risarcire i danni subiti dalla BCC e dai propri soci, a seguito della conversione in legge del decreto".
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