Intervista a Marco Bindelli: "Si va verso il secondo gruppo con Cassa Centrale Banca"
Dottor Bindelli, cosa sta succedendo con la riforma del credito cooperativo? Da una parte il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, su radiocor sembra chiudere la porta in faccia all’ipotesi di una seconda capogruppo, caldeggiata da un gruppo di BCC definite “ribelli” e delle quali fa parte anche la BCC di Civitanova Marche e Montecosaro, che guarda alla trentina Cassa Centrale Banca (CCB), dall’altra, per contro, il comunicato stampa della stessa CCB con il quale si dice che non è possibile l’integrazione in unico gruppo perché i tentativi fatti per cercare un accordo con Iccrea non sono andati a buon fine e che, quindi, sta accelerando per la costituzione del proprio gruppo bancario.
Da una parte abbiamo il vecchio sistema che, nonostante i vari annunci di dimissioni, ancora non intende rinunciare al proprio potere e, soprattutto, non intende prendere consapevolezza degli enormi cambiamenti che hanno interessato l’economia del nostro paese e il sistema bancario europeo ed italiano in particolare. La stessa definizione di “ribelli” attribuita dal presidente Azzi ad un gruppo di 15 BCC che hanno ben gestito le proprie banche e che hanno il coraggio di far sentire la propria voce, denota la completa incapacità ed inadeguatezza a gestire e rappresentare il cambiamento in un momento così importante e cruciale per il credito cooperativo. A lei sembra normale che chi non ha saputo gestire la propria azienda intenda imporre le proprie soluzioni organizzative e intenda gestire anche quelle di coloro che hanno ben amministrato? Dall’altra parte c’è invece chi, come CCB, ha sempre dimostrato efficienza e qualità nei prodotti e servizi offerti alle banche tramite le società del gruppo ed ha elaborato, sin dal gennaio del 2015, un proprio progetto, serio e trasparente, teso alla creazione di una propria capogruppo, che è stato presentato al CdA di Federcasse il 17 aprile 2015 e, successivamente a fine luglio, presso la Borsa valori di Milano ed al meeting di Bologna del 19 settembre 2015.
Cosa risponde al presidente Azzi quando sostiene che due sono le ragioni per le quali bisogna creare un solo gruppo: perché alla capogruppo vengono chiesti ingenti investimenti per fronteggiare la concorrenza dei gruppi tradizionali e perché si aprirebbe una competizione all’interno della categoria che lui, in rappresentanza dell’intero movimento, non può permettersi.
A parte che andrebbe verificato se i rappresentanti nazionali e regionali del credito cooperativo rappresentano ancora le BCC, partendo da quest’ultima considerazione, mi sembrerebbe paradossale immaginare che una situazione di monopolio, a prescindere da eventuali problematiche legate all’Autorità antitrust che si è già espressa sul tema, possa produrre maggiori benefici in termini di efficienza e competitività rispetto ad una situazione di concorrenza. Invece, relativamente alla prima ragione, Azzi sa bene che gli ingenti investimenti sono richiesti principalmente per fronteggiare situazioni di difficoltà che interessano diverse BCC e che vanno correttamente risolte nell’interesse dell’intero sistema. In ogni modo, pensare di competere con i grandi gruppi tradizionali utilizzando le loro stesse leve e strategie significherebbe aver abdicato ad un sistema, quello del credito cooperativo, che in molti altri paesi europei, come Germania, Austria, Olanda, ecc., sta dimostrando di essere ancora efficace e fondamentale per il paese e, in particolare, per i territori, le famiglie e le piccole e medie imprese, ma soprattutto significherebbe aver perso in partenza.
Quindi secondo lei il secondo gruppo con CCB si farà?
CCB, con le proprie società di riferimento, rappresenta un network di riferimento per oltre il 50% delle BCC italiane e per circa 160 BCC è il partner di riferimento per i servizi informatici e di consulenza direzionale. Io penso che, correttamente, CCB abbia tentato di imporre concetti aziendali e industriali su concetti “politici” ed abbia dovuto prendere atto della impossibilità di costituire un gruppo unico in assenza di una concreta volontà di rifondare un sistema obsoleto che non intende dare alcun segno di discontinuità.
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