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Cultura Macerata

Macbeth, un applauso lungo quanto l’attesa: le bandiere palestinesi chiudono il sipario

Macbeth, un applauso lungo quanto l’attesa: le bandiere palestinesi chiudono il sipario

È racchiuso tra l’inno di Mameli e le bandiere della Palestina il debutto del Macbeth al Macerata Opera Festival di ieri sera. Sotto un cielo stellato che voleva farsi perdonare l’esordio mancato di sabato scorso, prima ritardato dalla pioggia battente, poi annullato a causa di un guasto tecnico e infine affogato in un mare di sterili (e perlopiù ridicole) polemiche, il capolavoro verdiano versione Emma Dante è andato in scena finalmente senza intoppi, ma con un epilogo che ha spaccato il pubblico: al termine degli applausi, gli artisti sul palco hanno srotolato alcune bandiere della Palestina, che sono così entrate a far parte del quadro finale, Il tutto sotto gli occhi (e probabilmente ad uso e consumo) del vicepresidente del Consiglio dei ministri Matteo Salvini, ospite d’onore della serata sul palco centrale.

Coloro che avevano provato a gridare “bu” all’annuncio dell’esecuzione dell’inno nazionale (poi messi a tacere dall’applauso generale dello Sferisterio), probabilmente sono stati gli stessi a gridare “bravi” all’esibizione delle bandiere, mentre altri spettatori si alzavano in tutta fretta e se ne andavano indignati. Ma non è questo lo spazio riservato alle considerazioni politiche: fatta la doverosa cronaca di quanto accaduto, si torna a parlare solo di arte, di musica e di teatro, affidando semmai a sedi diverse commenti di altro genere.

Lo spettacolo, una coproduzione dell’Associazione Arena Sferisterio con il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro Regio di Torino (che tra l’altro, giova dirlo, ha vinto nel 2017 il prestigioso Angel Herald Award al Festival di Edimburgo), torna dopo il successo nella stagione 2019 e conferma anche quest’anno, con la sua immutata forza immaginifica, l’indimenticabile ricordo che portava con sé.

La regista Emma Dante costruisce un racconto in cui la sua cifra stilistica raffinata e riconoscibilissima si riscontra in ogni dettaglio e in ogni istante, ma che al contempo rende omaggio senza mai dimenticarli, anzi esaltandoli, sia a William Shakespeare che a Giuseppe Verdi. Questo Macbeth sanguigno e visionario è tutto da vedere, perché tutto diventa protagonista, non solo i cantanti, il coro e i danzatori con i loro incessanti movimenti coreografici o la loro iconica fissità, ma le luci, i costumi, ogni colore, ogni gesto, ogni frammento della scenografia.

Tutti gli elementi si fondono in un sincronismo perfetto nel dramma che diventa esso stesso, con le sue mille sfaccettature, protagonista unico e indiscusso. La contemporaneità si integra per magia con la Scozia dell’anno Mille, e nessuno potrebbe mettere in dubbio di essere lì, in quell’epoca, fra le mura spartane di quei castelli, in quei boschi freddi e desolati. E questo grazie non a facili didascalie ma a simboli potenti e universali. Gli otto ventagli di lance dorate che disegnano ricami d’ombra sul muro dello Sferisterio, le siepi di fichi d’India che si animano diventando il bosco di Birnam che sconfiggerà sotto il comando di Malcolm e Macduff il traditore assassino Macbeth.

L’elegante total white o il rigoroso total black dei costumi dei coristi, gli abiti di velluto rosso sangue di Mabeth, salito al trono del re Duncan dopo averlo ucciso, e della sua sposa che porta in giro il lungo strascico come una scia di sangue che incide il palcoscenico. Il doppio di Macbeth, la sua ombra, che pugnala per tre volte il re Duncan prima del vero omicidio, i letti chiazzati di sangue che danzano intorno a Lady Macbeth ormai in preda alla follia dopo l’omicidio. La figurina del vecchio re morto che diventa Gesù Cristo, il cui corpo viene lavato dalle donne e portato in braccio come se pendesse dalla croce. Lo scheletro di cavallo che trasporta Macbeth e che assomiglia tanto a quei pupi siciliani semoventi della terra di Emma Dante.

Le streghe invasate che predicono il futuro attorno a calderoni fumanti dai quali escono inquietanti neonati, i morti in battaglia stesi in terra che vengono ricoperti di teli bianchi e trascinati via sul pavimento, le bianche visioni del fantasma di Banco assassinato. Sono talmente tante le immagini memorabili da annotare che se ne potrebbe perdere il conto. Ma la regia di un’opera lirica, non va dimenticato, non vive mai di vita propria, è sempre al servizio del canto, della musica, e ieri sera la musica, il canto e l’inconfondibile pathos di Verdi hanno contribuito in larga parte alla riuscita della serata, grazie alla direzione del maestro Fabrizio Maria Carminati e a un cast complessivamente di buon livello.

Il giovane baritono coreano Leon Kim da programma doveva alternarsi nel ruolo di Macbeth con Franco Vassallo, ma si è trovato a cantare da “titolare” in questa seconda recita che di fatto è diventata la prima. E non se l’è cavata affatto male, portando a casa una esecuzione più che dignitosa, anche se forse è mancata una certa gravità dolente e cupa, sia nella resa vocale che nell’intenzione interpretativa che poteva essere più incisiva.

La personalità invece non manca alla vera regina del Macbeth, il soprano Marta Torbidoni, marchigiana doc di Montemarciano, che torna al MOF dopo il successo del 2024 in Norma, ruolo che ha debuttato neanche un mese fa alla Scala, dove non veniva messo in scena da ben 48 anni. Per il suo debutto assoluto come Lady Macbeth – che come aveva dichiarato giorni fa sarebbe stata una Lady tra il demoniaco e l’animalesco – dunque Marta Torbidoni ha scelto Macerata, che l’ha ripagata con lunghi applausi scroscianti già sin dalla prima aria e l’ha consacrata definitivamente come una delle cantanti con maggior personalità e talento nell’ambito del panorama lirico odierno. Bella la voce, sicura l’interpretazione, negli acuti, nei passaggi di agilità, ma anche nelle note basse ha dato sfoggio delle sue doti vocali, sorrette da una chiara tecnica. Successo personale anche per il Banco del basso-baritono spagnolo Simón Orfila, per il Macduff del giovane tenore Antonio Poli, anch’egli nel cast dell’ultima Norma scaligera insieme a Marta Torbidoni diretta da Fabio Luisi nel ruolo di Pollione, e qui una piacevole scoperta con la sua voce dal bel timbro e ben spiegata. Buona prova anche per il tenore Oronzo D’Urso nel ruolo di Malcolm, per Federica Sardella (la Dama di Lady Macbeth), Luca Park (il medico), Stefano Gennari (il domestico, l’araldo e il sicario), Andrea Pistolesi (la prima apparizione) e Lucia Spreca (la seconda e terza apparizione).

 

Convinti applausi per la direzione di Fabrizio Maria Carminati, prestigiosa bacchetta internazionale dalla carriera ormai trentennale e direttore artistico del Teatro Bellini di Catania, alla guida dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana, per il Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” diretto da Christian Starinieri e per Federico Gagliardi che ha ripreso la regia, avvalendosi del prezioso contributo delle scene di Carmine Maringola, dei costumi di Vanessa Sannino, delle luci di Christian Zucaro e delle coreografie di Manuela Lo Sicco.

Repliche il 7 e 10 agosto alle ore 21, con Franco Vassallo nel ruolo di Macbeth.

 

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