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Il magistrato Gratteri: “Si ho paura della morte, ma cerco di addomesticarla”

Il magistrato Gratteri: “Si ho paura della morte, ma cerco di addomesticarla”

Le conversazioni con un caro amico, uomo di legge che affronta i temi più dibattuti della nostra attualità con grande equilibrio intellettuale, sono diventate per me occasione di arricchimento umano e professionale. “Perchè”, mi sono chiesta, “non condividere questa esperienza con altri?” Da qui l’idea, in accordo con il direttore, di chiedergli di partecipare con qualche intervento alle nostre pagine di Picchionews.

Articolo di Gt001

“Sì, ho paura di morire, ma cerco di addomesticarla...la morte cerco di razionalizzarla e di andare avanti, perché se mi fermo mi sento un vigliacco e per me non ha senso vivere da vigliacco”.

Le parole sono di Nicola Gratteri in una recente intervista: un magistrato in trincea contro la criminalità organizzata, a cui di recente è stata rinforzata la scorta per l’attualità e la concretezza delle minacce ricevute; circostanza per la quale, in questo momento storico, sarebbe più appropriato definirlo “il magistrato”, sostituendo l’articolo indeterminativo “un” con un più qualificativo “il” che racchiude il senso di un incarico pubblico un po’ “appannato” da una crisi che serpeggia nella magistratura da tempo.

Gratteri, spesso critico con gli organismi che influiscono sull’ autogoverno della magistratura, ha sempre testimoniato la sua distanza da tali logiche. Ha scelto di non essere iscritto a nessuna delle correnti politiche a cui la quasi totalità dei suoi colleghi ha aderito, spesso con una militanza ostentata con scarsa sobrietà, che è una delle cause principali dell’erosione della credibilità della stessa magistratura.

Mi sono soffermato su questi aspetti in relazione all’approssimarci al voto referendario che riguarda anche una serie di quesiti fortemente impattanti sulla magistratura. La magistratura è uno dei poteri dello Stato la cui azione riformatrice non sta nascendo in seno alla stessa istituzione (come sarebbe logico riguardo alla sua necessaria autonomia) ma trae origine, in maniera tanto legittima  quanto inopportuna, da un mondo politico che, dopo la stagione di mani pulite, è sempre più parso come suo antagonista più che cooprotagonista nello svolgimento della vita democratica del nostro Paese.

Una sensazione traspare e non poco dalla stesura degli stessi quesiti referendari: l’arroccarsi della magistratura sull’ idea di “nessun cambiamento” sembra  il naturale contrappeso ad un mal celato desiderio vendicativo da parte di un certo mondo politico, che strizza l’occhio sulla possibilità di avere “maggiormente gestiti dall’esecutivo”  quella parte di magistrati che si occupano delle indagini (i Pubblici Ministeri).

In questo contesto, ho trovato gli appunti fatti da Gratteri come quelli più atti a rilevare la debolezza di questa azione riformatrice che dovrebbe avvenire sia attraverso il referendum, che attraverso la proposta di riforma dell’attuale Ministro della Giustizia D.ssa Cartabia; quanto meno perché vengono da qualcuno che sembra non aver vicinanza con nessuno dei due mondi in lotta e che ha dimostrato con i fatti di aver utilizzato lo strumento giuridico indirizzandolo contro il malaffare e la criminalità organizzata.

 

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