28/29 Settembre 2025: le Marche tornano al voto. E con esse, puntuale come un orologio svizzero rotto, arriva il festival dell’orrore comunicativo che accompagna ogni campagna elettorale italiana. Un carnevale di cattivo gusto dove aspiranti candidati si presentano con la stessa cura estetica di un selfie alle 6 del mattino dopo una notte brava.
L'ESTETICA DEL DISASTRO
Facciamo un gioco: chiudete gli occhi e immaginate un candidato politico del 2025. Ora apriteli e guardate i manifesti che tappezzeranno le nostre città. Sorpresi? No, delusi. Foto pixelate che sembrano estratte da una fototessera degli anni ’80, scontorni fatti con Paint da un nipote di buona volontà, slogan scontati e ripetitivi.
"Vi candidate, ma vi presentate male" non è solo un ossimoro: è la fotografia impietosa di una classe politica che ha scambiato l'autenticità con l’approssimazione, la spontaneità con l’improvvisazione, tanto con i social si può fare tutto!
IL MITO DEL "TANTO CHI SE NE ACCORGE"
Ecco il primo grande errore: pensare che l'estetica sia superflua. Che un manifesto mal fatto, un video girato alla meno peggio e una foto usata 15 anni fa non influiscano sulla percezione del candidato.
Sbagliato. Clamorosamente sbagliato.
Nel 2025, quando ogni teenager sa usare filtri più sofisticati di un fotografo professionale degli anni ’90, presentarsi con materiali scadenti equivale a dire ai propri elettori: "Non ho investito abbastanza in questa campagna da renderla decente. Perché dovrei investire di più nella vostra Regione?".
L’AUTOGOL DELLA DIALETTALITÀ
Poi c’è il capitolo video. Ah, i video elettorali! Quell'universo parallelo dove la regia è un optional e il suono sembra registrato dentro una lavatrice in centrifuga. E quando il candidato parla? Ecco che emerge la cadenza dialettale, usata non come elemento di autenticità, ma come scudo per nascondere l’incapacità di articolare un discorso fluido in italiano standard. Eh però i video funzionano e quindi vanno fatti!
Non fraintendete: il dialetto è patrimonio culturale. Ma usarlo in un messaggio politico del 2025 per sembrare “più vicini al popolo” è come presentarsi a un colloquio di lavoro in giacca e cravatta… con le ciabatte ai piedi.
LA SINDROME DEL "FAI DA TE"
Il problema di fondo è la sindrome del “tanto lo facciamo in casa”. Grafiche delegate al cugino “che se ne intende”, video girati dal figlio “che ha studiato comunicazione”, social media gestiti dalla segretaria “che è brava con Facebook”.
Il risultato? Un’armata Brancaleone digitale che si presenta agli elettori con la credibilità estetica di una pubblicità di materassi in una TV locale.
L'EQUAZIONE MORTALE
Comunicazione approssimativa = Competenza approssimativa. È matematica spicciola, ma evidentemente non così scontata per chi si candida a governare una Regione di un milione e mezzo di abitanti.
Quando un elettore vede un manifesto mal fatto, non pensa “che simpatico, è genuino”. Pensa: “Se non riesce nemmeno a curare la sua immagine, come farà a curare i nostri interessi?”
IL PARADOSSO DELLE RISORSE
“Non abbiamo budget per la comunicazione”, è la scusa più gettonata. Ma allora come si spiega che gli stessi partiti spendano migliaia di euro in gazebo, palloncini e gadget vari, ma non investano 500 euro per una foto decente del candidato fatta da un fotografo professionista?
È una questione di priorities: si privilegia la quantità sulla qualità, la presenza fisica sulla presenza digitale, dimenticando che nel 2025 la prima impressione avviene online, non in piazza.
LA MORALE DELLA FAVOLA
Cari candidati delle Marche 2025, vi do un consiglio da chi mastica campagne elettorali da sempre: investite in comunicazione. Non è vanità, è rispetto. Verso voi stessi e verso chi vi dovrebbe votare.
Perché alla fine, se ti presenti male, parti male. E se parti male, finisci peggio.
La dignità comunicativa non è un lusso: è il biglietto da visita minimo per chiedere la fiducia di un milione e mezzo di marchigiani.
Non deludeteci. Di nuovo.
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