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Marche, ha senso una campagna vaccinale partita in ritardo?

Marche, ha senso una campagna vaccinale partita in ritardo?

Ci voleva la quarta ondata e l’entrata in scena della variante Omicron. Almeno per ridimensionare la politica vaccinale, nella Regione Marche come in altre zone dell’Italia. L’ultima iniziativa lanciata nel weekend dalla giunta Acquaroli con la campagna “Parliamone Insieme” (di cui è stata rimandata la realizzazione presso le piazze di Ancona e Fermo, causa maltempo) giunge nel periodo più delicato dell’anno. Quello delle feste natalizie, dove abitualmente si assiste a un’invasione massiccia delle strade e dei negozi da parte di chi va in cerca dell’acquisto migliore o semplicemente della consueta serenità che il periodo dovrebbe recare con sé.

E, purtroppo, giunge in ritardo soprattutto rispetto al via libera del Governo Draghi sulla terza dose di vaccini e alla necessità di ricorrere ad ulteriori restrizioni atte a persuadere chi ancora mostra preoccupazione, paura, incertezza o scetticismo nei confronti della manovra sanitaria messa in moto nell’ultimo anno per contrastare in maniera decisa la diffusione dei contagi da Covid-19. Nel frattempo, secondo i dati rilevati negli ultimi 15 giorni – dal 24 novembre al 8 dicembre – l’incidenza dei casi postivi è salito nelle Marche a 376 (ogni 100 mila abitanti), e la percentuale di terapie intensive ha superato la soglia critica (12,8%), facendo raggiungere alla regione il 5° posto per incidenza. Ufficialmente, le Marche sarebbero già in zona gialla.

Inoltre, il trend delle rianimazioni e delle vaccinazioni continua a fare in conti con un’organizzazione sanitaria generale che mostra ancora molte criticità. Già nelle settimane precedenti, seguendo soprattutto lo sviluppo della terza dose  - arrivate al 18% - presso alcune delle hub principali del territorio marchigiano (leggi qui), è stato possibile riscontrare diverse difficoltà da parte dei responsabili sanitari e dei volontari nel gestire la forte affluenza di utenti (specie over 80), sintomo di una carente capacità comunicativa che dal Ministero della Sanità dovrebbe muovere le direttive verso i presidi locali sparsi – in generale - su tutto lo Stivale. A questo, va ad aggiungersi la grande crisi del personale medico, che ad oggi deve ancora fare i conti con la mancanza di un ricambio generazionale adeguato. Pochi investimenti, bandi e incentivi per i giovani camici bianchi, costretti per forza di cose a puntare nella sanità privata, con conseguenze che si ripercuotono sulla cittadinanza, destinata sempre più a fare i conti con prenotazioni (di varia natura) e attese infinite presso le strutture pubbliche, oltre che con spese proibitive.

Basti pensare che nel 2017 il Ministero della Salute conteggiava a livello nazionale circa 105 mila medici assunti a tempo indeterminato nel servizio sanitario nazionale fra Asl, aziende ospedaliere ed universitarie, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, Ares (Agenzia regionale sanitaria) ed Estav. In altri termini, si parla di 1,7 medici ogni 1000 abitanti, con un calo di 3.401 camici bianchi rispetto ai dati del 2012. Nel 2018, poi, l’Anaao aveva registrato una carenza di circa 6.200 medici e 2 mila dirigenti sanitari rispetto al 2009, l’anno di maggiore dotazione del servizio sanitario nazionale. Con la crisi pandemica ancora in atto e l’aumento nel frattempo del personale anziano rispetto a quello più giovane (parliamo del 56% del totale, per lo più over 55), non solo è stato evidenziato il forte squilibrio fra pensionamenti (32.501) e nuove assunzioni (appena 22.328), ma anche un progressivo deficit che nel 2023 potrebbe portare alla mancanza di ben 24mila medici.

Sono dati che aiutano ulteriormente a comprendere come la Regione Marche sia giunta negli ultimi 14 giorni (24 novembre-7 dicembre) ad un’incidenza di 376 casi positivi per 100.000 abitanti. Numeri che, come anticipato, fanno da eco ad una campagna vaccinale partita in ritardo, e che continua a fare i conti soprattutto con chi prosegue nella propria lotta alla dittatura sanitaria. L’informazione, in questo senso, ha giocato un ruolo decisivo nell’ultimo anno, alimentando paure, incertezze e intolleranze sociali. A riprova di ciò, giunge quello che forse può essere considerato l’unico dato “positivo” rispetto a chi finora si è vaccinato o si è convinto a fare ricorso alla terza dose, ovvero quello di un’incidenza dell’infezione da Coronavirus quasi tripla sui soggetti non immunizzati. Sul totale dei positivi, il 51% risulta non vaccinato, evidenziando un’incidenza di 71,50. A questo si legano, di conseguenza, i dati rispetto alle ospedalizzazioni: su 100mila abitanti il tasso di immunizzati in terapia intensiva è pari 0,64, a fronte di un 5,21 riferito ai non vaccinati, e in area medica il rapporto è di 3,18 per i primi e 11,91 per i secondi.

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