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Macerata, il nuovo city brand divide e indigna: 'Un insulto alla bellezza, il Comune lo ritiri"

Macerata, il nuovo city brand divide e indigna: 'Un insulto alla bellezza, il Comune lo ritiri"

La prima impressione è: “Ma che roba è?”. Passati indenni il primo shock: “Ma come si può?”. Per chi arriva incolume al terzo stadio: “Una vergogna”. È la sintesi del processo mentale che si attiva di fronte alla vista del City Brand di Macerata, una cosa che difficilmente si può raccontare, figuriamoci se la si può dimenticare (in negativo).

Un gatto spiaccicato in tangenziale o un bisognino di cane incautamente calpestato? Ognuno attivi la sua forma più spiccata di fantasia. Ma, per quanto sia possibile azzardare, questo scarabocchio tutto può evocare meno che la bellezza della nostra città di Macerata ed il desiderio, da parte di turisti e visitatori, di conoscerla.

Nota bene: parliamo di promozione. È questo lo scopo di un City Brand, vero? E’ una domanda rivolta a chi lo ha commissionato e anche a chi lo ha realizzato. Davvero una vergogna. Anzi un vilipendio per chi ha conosciuto la bellezza delle opere del Maestro Tulli (emme maiuscola), a cui gli autori hanno detto di ispirarsi.

Un brand è storia, racconto, fascino. Cos’ha di tutto questo – anche solo in parte – lo scarabocchio opera del “professorone di stirpe” di turno, quello che addirittura si spinge a sfottere i maceratesi che confondono la “c” con la “g”.

Davvero una vergogna. Un brand è molto più serio di un gioco di parole, colori e forme. ˆÈ la nostra identità, che va rispettata e non vilipesa con tentativi per dimostrare una superiorità professionale che non ha bisogno di misurarsi qui, in una città nobile, dove le cose belle le sappiamo fare da secoli.

Negli occhi di chi lo osserva, un brand deve riportare subito, istintivamente, con decisione e senza equivoci ciò che vuole rappresentare. Ora ditemi: dov’è la Macerata che conosciamo in quel scarabocchio?

E non mi si spieghi i colori con i mattoncini dei palazzi e il colore di quelli dello Sferisterio. Una penosa giustificazione di una cosa indecifrabile. E non mi si dica che sono le forme grafiche che ci proiettano nel futuro, quelle che vanno di moda, che sono in linea con i trend attuali. Quale futuro per un brand che potrebbe essere tranquillamente associato ad un marchio di giocattoli, di cibi per cani o gatti, di pennarelli o zainetti per ragazzi?

Ispirarsi allo Sferisterio anche no?

Quanti soldi si spendono per promuovere il simbolo orgoglio di Macerata? Perché avventurarsi in queste sperimentazioni da “addetti ai lavori”, quasi come fosse il prezzo da pagare per la sudditanza psicologica verso pseudo-esperti di settore, notoriamente non residenti nelle Marche.

Se quello scarabocchio fosse frutto del genio di Andy Warhol, allora ci sarebbe da inginocchiarsi di fronte al risultato. Perché basterebbe promuovere l’autore del brand al posto del brand. Ma qui di Warhol c’è ben poco, anzi nulla.

E, come era solito dire il maestro della pop art di fronte ad un disegno di un suo allievo: “Beautiful! Fantastic! It’s ok … do it again”.  Ecco: provaci ancora.

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