Autore: Gt001
Ci sono fatti criminosi che toccano con assoluta cupa pesantezza il nostro quotidiano, me ne sono accorto qualche giorno fa quando ho tentato di esprime qualche concetto sulla morte di Alika Ogorchukwu.
Ho cercato di farlo in maniera “asettica” il più possibile libero da condizionamenti politici, ma mi sono reso conto che il solo avvicinarsi ad alcuni di questi argomenti per molti significa comunque dargli questo connotato.
Ci riprovo oggi cercando un parallelismo tra la morte di Alika e quella di Rachid Amri il clandestino trentenne accoltellato ed ucciso qualche giorno fa da un suo parente, sui cui motivi sono in corso ancora le indagini che sembrano indirizzarsi nel mondo del degrado e delle tossicodipendenze.
Ecco appunto il degrado.. quel degrado che è figlio dell’incapacità politica di produrre norme che non siano solamente la semplificazione elettorale di un qualsiasi problema sociale, ma soprattutto che siano applicabili per gli operatori di Polizia e garantiscano nel loro iter la certezza del diritto da tutelare.
Provate a pronunciare davanti ad un rappresentante delle forze dell’ordine, il termine “rimpatrio”: probabilmente già la mimica facciale da sola potrebbe essere illuminante sulla reale portata dello strumento normativo, sulla sua deterrenza e sulla sua capacità applicativa in relazione al problema della clandestinità.
Oggi che ci stiamo rendendo conto che la gestione del problema "clandestinità" limitata all’interno dei nostri confini nazionali è praticamente impossibile, si è arrivati a concepire l’idea di interventi preventivi extranazionali o addirittura nelle acque territoriali di un altro Paese sovrano.
Fatte salve tutte le ipotetiche violazioni al diritto internazionale, per operare nelle acque territoriali di un altro Paese occorre il consenso dello stesso, perché in alternativa si tratterebbe di un atto ostile equiparabile ad un’aggressione militare.
Il Paese che ha la maggiore esposizione in ordine alle partenze di migranti è la Libia, dove fanno fortuna decine di organizzazioni dedite alla tratta degli esseri umani e che ha più della metà del suo territorio senza un reale governo.
E qui sarebbe utile capire come ci siamo arrivati e qual è stato il nostro contributo alla totale destabilizzazione della Libia, che poteva essere l’unico interlocutore di rilevanza per compiere quella necessaria operazione di filtro in relazione alle migrazioni.
Basta semplicemente ricordarsi che alla vigilia del marzo del 2011, l’intero nostro parlamento praticamente bipartisan votò per l’intervento militare che avrebbe contribuito a ridurre la Libia allo stato attuale, con l’aggravante per noi della prevedibilità degli eventi successivi.
Volendo fare una considerazione, la più apolitica possibile, devo dire che quello che più mi spaventa è il fatto che, alla prossima tornata elettorale, saremo chiamati a votare per risolvere anche questi problemi per una discreta percentuale di politici che ne sono indubbiamente gli artefici.
Gt001
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