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Due anni dopo i primi venti: riflessioni al netto dell'emotività

Due anni dopo i primi venti: riflessioni al netto dell'emotività

Dopo due anni sarebbe stato bello poter dire che la pagina era stata voltata. Invece le ferite del terremoto hanno bisogno di molto tempo per rimarginarsi. Almeno quelle materiali. In Umbria ce ne sono voluti 20 di anni, dopo la grande paura del 1997.

Ancora andavo al liceo, ci nascondemmo sotto ai banchi quando la seconda grande scossa arrivo, portandosi poi via un pezzo della Basilica di Assisi. Un pomeriggio salimmo in macchina per arrivare a Valtopina e consegnare al sindaco la piccola raccolta di solidarietà che avevamo messo in piedi. Passando lungo quelle strade che hanno segnato per anni il viaggio verso le Marche. Per venti anni tra i bandoni arancioni dei cantieri che poi sono scomparsi, uno dopo l'altro. Riconsegnando la nuova normalità che oggi vivono da Colfiorito a Foligno e Spoleto, ad Assisi a Gualdo.

In Valnerina no, perché due anni fa, come nelle Marche con cui si dividono i Sibillini, si è tornati al punto di partenza, con paesi e città da rifondare o poco meno. E con la consapevolezza che non sarebbe stato domani e neanche dopodomani. Sapendo che l'emergenza sarebbe diventata la normalità. Zone rosse, macerie da rimuovere, il nastro dei vigili del fuoco che delimita aree e quartieri, i ricordi che sono rimasti seppelliti per sempre. Si torna indietro velocemente al 1997, in fondo a quella salita da scalare passo dopo passo, con il dolore di questa gente che si può solo immaginare. In queste condizioni, due anni allora diventano troppi, è troppo un giorno. Eppure è quello con cui queste terre si trovano a fare i conti quotidianamente.

In attesa che i Governi che si alternano mantengano gli impegni, che le amministrazioni locali si adoperino al meglio. Per dare un tetto a tutti, prima di tutto. E poi per mettere le basi per ripartire. Un'impresa titanica, da far tremare i polsi. Eppure l'impegno è costante e convinto, anche se le risorse e le forze sono quelle che sono, se i tempi e la burocrazia sfiancherebbero chiunque. E i risultati? Be' i risultati, quelli che si possono vedere senza inoltrarsi in sofismi e scartoffie, lasciano un po' di sconforto. Di motivazioni plausibili ce ne sono tante, nessuno discute. Ma sono le risposte quello di cui le persone hanno bisogno. Perché dopo i danni del sisma, quello che sta uccidendo questi paesi è l'impossibilità di essere ancora comunità. Un patrimonio che non ci si può permettere di sperperare. 

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