Crisi ristorazione, la parola ai dipendenti: "Voglia di lavorare? Orari assurdi e salari in nero"
Il clamore scaturito dalla notizia sulla carenza di personale di un noto chalet presso Civitanova, ha provocato la reazione e suscitato l'attenzione di alcuni lettori di Picchio news, che inaspriti dall’ennesimo scarica-barile sui giovani e la loro presunta “poca voglia di lavorare”, hanno deciso di condividere la loro testimonianza, raccontando il proprio punto di vista.
Vere e proprie denunce che scoperchiano un vaso di Pandora tutt’altro che segreto, evidenziando come i contratti stagionali vengano raramente onorati così come sono proposti: non di rado, ai dipendenti vengono richiesti turni di lavoro ben più lunghi del previsto, e retribuiti nel più dei casi in nero. Un modus operandi che ha fatto scuola anche nel settore della ristorazione, e finendo col rappresentare spesso e volentieri la norma per i lavoratori stagionali.
Naturalmente, e per fortuna, esistono le eccezioni: locali e datori di lavoro che garantiscono ancora contratti trasparenti e remunerazioni oneste e regolari, ma qui l'intento è di denunciare una tendenza oramai inconciliabile con le condizioni perseguite dai lavoratori oggi.
"Sono stato impiegato per anni presso varie realtà di Civitanova durante le stagioni estive e, nell’ormai lontano 2011, ho lavorato nello chalet in questione", racconta Enrico, impegato navigato nel settore, in una lettera inviata alla redazione. "Per quanto riguarda il rispetto nei confronti del dipendente, la voglia di trasmettere e, in generale, la bontà dell'ambiente di lavoro, nulla da eccepire. Tuttavia, le condizioni contrattuali non sono - o sarebbe meglio dire ‘non erano’ - quelle descritte".
"In primo luogo - spiega - nonostante il contratto di lavoro fosse stato regolarmente stipulato, va evidenziato come non ci fosse reale corrispondenza tra ore 'effettive' e ore 'dichiarate'. Basti pensare che nel mio estratto conto previdenziale INPS, per il periodo 27-02-2011/31-08-2011, la retribuzione totale ammontava a 228 euro. In secondo luogo, i doppi turni (pranzo e cena) diventavano una necessità durante l'alta stagione, pur rimanendo debitamente retribuiti. In ultimo, devo dire che il compenso al tempo era inferiore a quello dichiarato, ma su questo possono aver influito parecchi fattori e non mi sento di accusare nessuno".
Ciò detto - continua Enrico - la mia non è una critica diretta al ristoratore, ma piuttosto al sistema ristorazione e, in particolare, al periodo delle stagioni estive. Forse la mancanza di personale non è dovuta al reddito di cittadinanza, misura che in modo assoluto non condivido e vorrei fosse abolita. Ma se ci fosse più rispetto delle regole, degli obblighi contributivi e, in generale, di tutti i diritti che la legislazione prevede per il lavoratore, la ‘voglia di lavorare’ tornerebbe".
Si sta parlando qui nello specifico di attività che per loro stessa natura navigano in un mare torbido a livello normativo: stando al rapporto rilasciato dalla Corte dei Conti a fine 2021, la separazione tra le competenze degli enti locali nel rilascio delle concessioni e la diretta attribuzione delle risorse che ne derivano, riservata allo Stato, sarebbe alla base delle criticità relative all’efficace gestione degli stabilimenti, delle entrate e del loro controllo. Basti pensare che l'indagine qui presa in esame tiene considerazione circa 12mila stabilimenti registrati, contro i 30mila stimati in tutto il paese.
Le concessioni balneari in Italia si discostano inoltre dalle disposizioni volute dall’Unione Europea - delineate nella famigerata “Direttiva Bolkenstein” - arrivando a costare allo Stato milioni di euro ogni anno: da un punto di vista prettamente numerico, per quanto riguarda il periodo compreso fra il 2016 e il 2020, “la media dei versamenti totali rilevata, pari a 101,7 milioni di euro, risulta inferiore a quella delle previsioni definitive di competenza pari a 111 milioni di euro”.
Se si considera poi che l’Italia è fanalino di coda in Europa per la crescita di stipendi medi negli ultimi 30 anni (Dati OCSE), registrando l'unico dato in calo fra i paesi UE, ecco che il quadro comincia a prendere forma e a delineare una situazione ben più complessa del semplicistico “i giovani d'oggi non hanno voglia di fare niente".
“Non solo capita spesso che le ore previste dal contratto vengano ampiamente sforate, ma è diventata proprio la norma", racconta Leonardo, cuoco maceratese di 25 anni impiegato in un ristorante stellato in Trentino Alto Adige. "Le poche eccezioni sono quei locali dove i proprietari sono particolarmente noti e/o benestanti, come per i grandi marchi di moda: in quel caso possono permettersi una doppia brigata che si dà il cambio fra mattina e pomeriggio, evitando il turno unico. Al momento del contratto è quasi un tacito accordo fra dipendente e datore di lavoro: se l'accordo prevede una singola brigata e 8 ore di lavoro, è chiaro che quelle ore non potranno essere rispettate, non è proprio possibile".
"A livello di paga ormai - prosegue - è difficile trovare qualcuno che non rispetti gli accordi contrattuali, a patto che siano persone serie. Può capitare che parte dello stipendio venga percepita in nero, ma in questi casi solitamente anche il contratto prevede meno di otto ore e ci si basa più su un patto verbale e una remunerazione a giornata. Certo, è necessario che il datore di lavoro mantenga rapporti seri, altrimenti lo sfruttamento è dietro l'angolo".
"Per quanto possa risultare veritiero che la mentalità del “tutto e subito” rappresenti una caratteristica tipicamente giovanile, non ha senso fare di tutta l’erba un fascio", aggiunge Leonardo. "Magari all’inizio si fa fatica ad abituarcisi, specialmente in un lavoro come il mio dove si sta tantissime ore in piedi con pochi momenti di pausa, ma non sono l’unico ragazzo che con passione si impegna per realizzare il suo sogno. Ce ne sono tanti come me.
Devo essere onesto nel dire che invece dall’altra parte manca spesso una retribuzione seria e un atteggiamento più rispettoso del lavoratore: è la consuetudine che ammazza questo mestiere. Sono anni che nella ristorazione si va avanti in questo modo e ormai la gente si è abituata ad aspettarsi quel trattamento. Prima magari c’era più offerta di lavoro, ora le persone non sono più così disposte a questo tipo di situazioni lavorative e preferiscono, magari, contratti completamente regolari, con ore di lavoro più dignitose e paghe più alte.
Anche la pandemia ha aiutato a risvegliare un po’ le coscienze dei lavoratori: perché lavorare ai tavoli per 14 ore venendo pagato poco e in nero, quando posso avere una paga altrettanto decente, regolare e magari esercitando da casa in smart working? Qualità della vita, tempo libero e orari flessibili sono elementi che oggigiorno occupano posizioni di rilievo nelle priorità di chi si affaccia al mondo del lavoro".
"Leggendo di questi imprenditori che lamentano carenza di personale - conclude Leonardo - mi viene sempre da storcere il naso, poi quando si parla di stagioni estive è ancora peggio: molti non fanno nemmeno la giornata di pausa e si trovano a lavorare per mesi interi 13/14 ore al giorno, senza mai fermarsi. Si aggiunga che spesso la retribuzione non è adeguata a quel tipo di orari ed ecco che la passione non basta più a sostenere questa situazione. La passione, tanto decantata da chi lamenta vuoti nell’effettivo, non ti permette di superare la stanchezza".
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