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La giornata della memoria e le sue controversie

La giornata della memoria e le sue controversie

Nei giorni scorsi, si è celebrata, come ogni anno, la giornata della memoria legata alla tragedia di Auschwitz, tragedia che, come è noto, ha riguardato, oltre agli ebrei, comunisti e omosessuali, rom e dissidenti. Liliana Segre, senatrice a vita e a suo tempo vittima delle persecuzioni naziste, ha asserito che, di questo passo, in futuro il ricordo della Shoah sarà cancellato.

A mio giudizio, corriamo un rischio forse anche maggiore, se mai è possibile: quello dell’utilizzo della memoria in chiave ideologica per giustificare le contraddizioni del presente. Basti ricordare il fatto che la Russia, anche quest'anno, è stata vergognosamente esclusa dalle celebrazioni ufficiali della giornata della memoria: si tratta di un paradosso evidente, che oltretutto si pone come una offesa alla memoria stessa, considerato il fatto che furono proprio i carri armati sovietici a liberare Auschwitz il 27 gennaio del 1945.

Giornata della memoria corta, verrebbe da dire. La propaganda hollywoodiana sta già da tempo cancellando la memoria, riscrivendo e riplasmando orwellianamente la storia a proprio uso e consumo e, naturalmente, celebrando i soli americani come liberatori dell'Europa.

L'obiettivo di Washington oltretutto non è soltanto quello di estromettere la Russia dal ricordo della liberazione ma di impiegare il ricordo stesso della liberazione per giustificare la propria permanenza eterna sul territorio europeo in qualità di dominatori. Come a dire "noi americani vi abbiamo liberati e ora abbiamo il diritto di occupare in eterno con le nostre basi il vostro territorio".

Non sfugga poi che nei discorsi ufficiali tenuti in Italia nei giorni scorsi, come ad esempio in quello della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, non si è fatto cenno nemmeno per sbaglio al genocidio in atto a Gaza. Eppure a Gaza si sta verificando quello che non possiamo definire altrimenti se non genocidio, e ci scuserà la senatrice Segre, che in più occasioni si è peritata di precisare che il termine non può essere applicato in relazione a ciò che sta accadendo a Gaza.

Non saprei davvero trovare un sinonimo o un termine egualmente appropriato. Non dovrebbe la memoria storica anzitutto educarci a non ripetere le tragedie del passato e, se si ripetono, a condannarle e ad agire per fermarle il prima possibile? Era questa la funzione che giustamente assegnava alla memoria Theodor Adorno, il quale si avventurava a dire che, dopo Auschwitz, tutta la cultura è spazzatura: tesi esagerata, indubbiamente, che rimodulerei sostenendo che è spazzatura tutta la cultura che usa la memoria del passato per giustificare le atrocità del presente.

Aveva ragione Gramsci, allorché sosteneva che la storia insegna, ma non ha scolari, e proprio per questo siamo condannati a ripeterla con tutti i suoi supplizi e con tutte le sue atrocità. In occasione della recente celebrazione della giornata della memoria, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spiegato solennemente, senza peraltro fare un solo cenno a quel che sta accadendo a Gaza, che il nazifascismo è una "tentazione che torna".

Abbiamo ancora una volta l'epifania del logoro ritornello dell'antifascismo in assenza di fascismo; ritornello funzionale alla tenuta dell'ordine neoliberale. L'abbiamo ripetuto più volte e lo sottolineiamo anche ora: l'antifascismo in presenza di fascismo, come fu quello di Gramsci, era doveroso ed eroico. Ma qual è la funzione dell'odierno antifascismo in assenza di fascismo, del tutto inaccostabile al nobile antifascismo di Gramsci?

A mio giudizio, l'antifascismo in assenza di fascismo figura oggi come una patetica fiction volta sostanzialmente a puntellare ideologicamente e a santificare la società della violenza economica dei mercati. Svolge una parte sostanzialmente apotropaica, dacché dirotta lo sguardo rispetto alla contraddizione principale del market system, lasciando intendere che la società così com'è sia in sé giusta e buona, da difendere rispetto al ritorno del fascismo, a sua volta identificato propagandisticamente con ogni anelito di trasformazione della società realmente data.

Inutile sottolineare che oggi la violenza subita da giovani e lavoratori non sia più quella del manganello fascista, per fortuna morto e sepolto da diversi decenni, ma quella del libero mercato concorrenziale e della competitività planetaria, che va riducendo ogni giorno le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, esercitando su di esse una violenza inaudita.

L'unico senso che potrebbe avere oggi l'antifascismo sarebbe quello di determinarsi come anti-capitalismo, ma è esattamente quello che non avviene, dato che, in maniera contraria, l'antifascismo viene utilizzato come alibi per giustificare il capitalismo stesso nella sua forma finanziaria e precarizzante.

Proprio così, l'antifascismo in assenza di fascismo permette alla massima parte delle forze politiche di non dover essere anti-capitaliste in presenza di capitalismo e anzi di farsi paladine del capitalismo stesso, mutato ideologicamente in società democratica che deve essere difesa appunto dal ritorno del fascismo per fortuna completamente estinto.

Il paradosso oltretutto sta nel fatto che viene santificata come progressista e democratica la posizione di chi difende la società della asimmetria capitalistica, celebrata come non plus ultra della democrazia, e viene viceversa demonizzata come fascista la posizione di chiunque aspiri a superare il capitalismo (gli stessi Marx e Lenin, se tornassero in vita, sarebbero oggi additati come fascisti dall'ordine discorsivo dominante).

Il capitalismo, che un tempo si servì del fascismo, oggi non ne ha più alcun bisogno e può utilizzarne la memoria come clava ideologica per giustificare se stesso nella sua nuova fase deregolamentata e finanziaria, anarchica e postmoderna. Giusto ricordare il passato e le sue atrocità: ma la memoria deve anzitutto educare a non riprodurre e a non giustificare le atrocità che tornano a realizzarsi.

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