In questi giorni, leggiamo su diverse testate (ad esempio su “Fanpage”) che, secondo una ricerca scientifica recentissima, il cromosoma Y starebbe sparendo, con il rischio della scomparsa definitiva del genere maschile. Si tratta naturalmente di una notizia ampiamente allarmante, di cui tuttavia non debbono essere trascurati i possibili risvolti ideologici.
Vorrei formularli nel modo che segue: la sparizione del genere maschile corrisponde a una asettica descrizione scientifica della realtà o a un desideratum del nostro Zeitgeist e del blocco oligarchico neoliberale?
Mi spiego meglio: come ho cercato di chiarire nel mio studio "Il nuovo ordine erotico", la società del turbocapitalismo sans frontières e della deregolamentazione integrale ha già da tempo preso di mira la figura del maschio e, segnatamente, quella del padre, utilizzando la logora categoria della lotta contro il patriarcato per giustificare tale aggressione al maschio in quanto tale.
La civiltà dei consumi, infatti, si basa sull'abbattimento di ogni regola e di ogni tabù, dunque sulla decostruzione della figura del padre in quanto simbolo della legge: nell'accezione di Lacan, il padre è la figura che pone in essere la legge, dal padre eterno al padre biologico.
L'impero del tecnocapitale con deregulation integrale si fonda sull'abbattimento della legge come ostacolo per l'illimitata circolazione della merce e per l'infinita autovalorizzazione del capitale.
La stessa lotta contro il patriarcato non ha di mira realmente il patriarcato, che in Europa non esiste più da almeno 70 anni, avendo invece come obiettivo critico la figura del padre in quanto tale. La nostra società sempre più viene configurandosi come la società dal padre evaporato, senza padre biologico e senza padre eterno: una società edipica, che letteralmente uccide ogni possibile determinazione del padre.
La donna ha, per molti versi, cessato di essere un sesso. È divenuta un ideale universale prescrittivo, con annesso imperativo della svirilizzazione integrale della società sfociante nella sempre iterata accusa al maschio come figura autoritaria e aggressiva, quando non "superata" dalla storia.
È, ad esempio, quanto apertis verbis sostenuto da Telmo Pievani in un programmatico testo dal titolo Il maschio è inutile (2014), nel quale la terminologia scientifica darwiniana occulta una lampante vocazione ideologica e politica, che conduce l’autore a disinvolte esternazioni come la seguente: "In natura il sesso debole è quello maschile, non c’è più dubbio. Il futuro evolutivo è donna".
Siffatte tesi, nelle quali si coagula lo spirito del tempo, sono largamente diffuse. Basti, ancora, rammentare a mo’ di exemplum il testo di Aldo Cazzullo, dall’inequivocabile titolo Le donne erediteranno la terra (2016): nelle cui pagine, in riferimento all’evo flessibile, si tematizza senza pudore "il secolo del sorpasso della femmina sul maschio".
Si tratta, a rigore, di tesi dalla forte valenza discriminatoria, che de facto applicano al genere ciò che a suo tempo De Gobineau, non meno sciaguratamente, riferì alle razze nel suo Essai sur l’inégalité des races humaines, ritenendo di aver individuato una nuova razza superiore.
Si può, allora, interpretare secondo questa chiave ermeneutica il risultato dello studio scientifico di cui si diceva in apertura? Si tratta forse, nemmeno troppo obliquamente, dell'ennesimo attacco ideologico alla figura del maschio e del padre, in coerenza con l'assetto della società della Tecnica e del turbocapitalismo?
È una possibilità che non possiamo in alcun caso escludere, anche considerato il fatto che la scienza non è mai uno sguardo "da nessun luogo", ma è sempre incorporata nei rapporti di produzione e dunque nel diagramma dei nessi di forza.
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