Alla scoperta delle realtà maceratesi
Da Sefro a leader della troticoltura Europea con 22 stabilimenti: la storia dell'Erede Rossi Silvio (FOTO)
Un’azienda che in soli settant’anni si è trasformata da pioniera della troticoltura italiana a leader di settore in Europa. L’Erede Rossi Silvio è oggi considerata una realtà maceratese di prestigio e affidabile non solo a livello locale ma anche estero. Abbiamo incontrato Roberto Rossi, uno dei titolari dell’azienda a conduzione familiare che da Sefro ha raggiunto traguardi internazionali. “L’Azienda nasce nel 1947 da mio nonno Silvio che iniziò l’attività proprio qui a Sefro, dove oggi c’è lo stabilimento principale – ci spiega Roberto -. Lui morì giovanissimo, ad appena 40 anni; mio padre quindi, a 16 anni, prese in mano le redini della nostra realtà e la portò avanti, finché non siamo subentrati io e miei fratelli, Rodolfo e Silvio. In questi anni siamo riusciti ad affermare il nostro nome eliminando la concorrenza e acquisendo le aziende di troticoltura in Italia: a oggi, contiamo 22 impianti distribuiti tra Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio, Molise, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Belgio. A questi si aggiungono due mangimifici che ci permettono di portare avanti una produzione interna prettamente autonoma, dall’uovo, al mangime (completamente naturale) fino alla trota confezionata.” “I nostri allevamenti di trote nascono in sorgente e quindi abbiamo delle temperature costanti delle acque per tutto l’anno che variano dagli 8 ai 12 gradi: proprio da qui, dall’habitat naturale, siamo riusciti a sviluppare la nostra idea, portando avanti l’intero ciclo di produzione senza antibiotici – ha proseguito Roberto -. L’Azienda Erede Rossi Silvio produce circa il 40% delle trote che si produce in Italia e siamo il gruppo più grande d’Europa. Da quattro anni ci siamo anche spostati a mare, in Albania, dove abbiamo allevamenti di orate e branzini.” 200 dipendenti, 110 mila quintali di produzione di trota e 40 mila quintali di orata. Il 50% della produzione viene esportata in Svizzera, Germania, Grecia, Polonia, Romania e Francia, mentre il 70% di tutta la produzione raggiunge, sul territorio nazionale, la grande distribuzione. Sono solo alcuni dei numeri dell’Azienda Erede Rossi Silvio. Unica azienda al mondo ad allevare senza l’uso dell’antibiotico: non solo per le trote ma anche per i branzini e le orate di mare. Il tutto in un habitat naturale incontaminato e in acque limpide e abbondanti, senza mai dimenticare il pieno rispetto della natura e il costante controllo durante l’intero ciclo evolutivo della trota. Ma nel dettaglio come si alleva una trota? “Il primo passaggio importante è quello della scelta delle acque. Le uova embrionate stanno negli incubatori per 20 giorni prima della schiusa e poi nasce l’avannotto – ha continuato Roberto -. Tutto questo procedimento avviene nell'acqua, deviata appositamente dal fiume con impianti idonei, in un’ambiente naturale che tutela il pesce da malattie e infezioni esterne. Un procedimento che si sviluppa in circa 14 mesi per una trota bianca e in 16/18 mesi per la trota salmonata. Durante l’accrescimento vengono poi fatte delle selezioni e le trote vengono divise in vasche eterogenee e omogenee in base alla loro grandezza: la trota bianca è molto più piccola rispetto a quella salmonata che ha una pezzatura più grande. Entrambe vengono poi lavorate fino al prodotto finito: filetto, eviscerato oppure viene venduta intera.” Lavorazioni che avvengono completamente in azienda, che si tratti di prodotto fresco, congelato, carpaccio, surgelato o confezionato. “Le consegne, che coprono l’intero territorio nazionale e non solo, avvengono ogni giorno: l’ultimo carico parte intorno a mezzogiorno e, la mattina successiva, si trova sul banco del pesce del supermercato – ha continuato Roberto -. Una logistica organizzata che, nonostante il territorio montano, funziona a 360 gradi, sia per il prodotto morto che per il vivo. Per quest’ultimo facciamo solo ed esclusivamente trasporti con i nostri mezzi dato che siamo gli unici ad avere un brevetto apposito: invece di trasportare 50 quintali ne riusciamo a trasportare 120. Ciò ci permette di avere costi più bassi e, dal punto di vista ambientale, consumi di carburanti a basso impatto.” L’Azienda Erede Rossi Silvio è certificata MSC (Certificazione Pesce Sostenibile), Friend of the Sea, la GLOBALG.A.P.: riconoscimenti volontari sul prodotto e sulla sostenibilità ambientale che conferiscono pregio a una realtà maceratese leader sul territorio nazionale. “La trota ha inoltre proprietà che non hanno nulla da invidiare a quelle di molti altri pesci – ha concluso Roberto -. Rispetto al salmone è infatti meno grassa (circa 3%), ha un contenuto altissimo di omega 3 e proprio per quest’ultimo stiamo prendendo la certificazione. Infine ha il 20% di proteine: può dirsi un pasto completo a tutti gli effetti.” Naturalezza, impegno nel ricercare strutture moderne e tecnologicamente all’avanguardia nel confezionamento senza dimenticare l’habitat naturale di nascita e crescita del prodotto principale: la trota. Elementi che hanno reso l’Azienda Eredi Rossi Silvio sinonimo di qualità.
L'intuito di Oliviero Pigini e il suo amore per la musica e la chitarra: la storia della Eko Music Group (FOTO)
Una storia lunga 60 anni che ha attraversato (e attraversa tutt’oggi) cinque continenti, partendo da Recanati. Una storia fatta di passione, sacrificio e di un grandissimo amore, quello per la musica e per ogni suo genere. Abbiamo incontrato Stelvio Lorenzetti, Amministratore Delegato della Eko Music Group, che ci ha raccontato la storia dell’azienda e del suo fondatore, Oliviero Pigini: un viaggio sulle note del rock and roll e dei live dei mitici anni ’70, ’80, ’90 fino ad arrivare ai giorni nostri. “La Eko nasce nel 1959 grazie all’intuito del fondatore Oliviero Pigini, originario di Castelfidardo – ci ha raccontato Stelvio Lorenzetti -. Oliviero non conosceva la chitarra. Vendeva principalmente fisarmoniche insieme allo zio, Marino Pigini, che lo mandò in America proprio per vendere lo strumento musicale che produceva da oltre 40 anni. Oliviero, di ritorno dal lunghissimo viaggio e affascinato dal mondo d’oltreoceano, spiegò allo zio che ormai la fisarmonica era ‘morta' e stava partendo una nuova tendenza, quella del rock and roll e della chitarra. Marino era scettico e decise di continuare a produrre fisarmoniche. Oliviero decise quindi di lasciare l’azienda dello zio e si mise in proprio, iniziando a vendere chitarre, importandole dalla Jugoslavia. Chiamò questi nuovi strumenti GMI (giocattoli musicali italiani), ma ben presto si accorse che erano brutti e rozzi e non poteva continuare vendendo dei pezzi di bassa qualità. È qui che scatta la scintilla: insieme ai fratelli Paladino, Oliviero, nel 1959, fonda la Eko e inizia produrre chitarre. Ma la sua intuizione geniale non si fermò qui: iniziò a investire anche nell’insegnamento della chitarra, uno strumento allora sconosciuto ai più, creando delle scuole di musica e "convertendo" i fisarmonicisti, con l’aiuto di un grande chitarrista classico di Frosinone, Mario Gangi. A quel punto, richiesta e offerta si incontrarono e la chitarra iniziò a essere venduta in tutto il mondo”. “Tutto inizia a Recanati, la madre Eko nasce lì, dove oggi c’è anche un busto di Oliviero – ha continuato Lorenzetti -. Nel 2008 ci siamo poi spostati nella sede attuale qui a Montelupone. La produzione delle chitarre Eko inizia con la classica, la western e l’elettrica: quella che attecchiva di più era la western, il cosiddetto modello ‘Ranger’, che invase tutto il mondo, dall’America, passando per il Giappone e raggiungendo l’intera Europa. Per le elettriche c’era sempre la Fender americana che dominava il mercato, mentre la chitarra classica era riconosciuta come un prodotto della cultura spagnola. La velleità degli strumenti Eko era una: conquistare il mercato mondiale di tutti i tipi di chitarra. E così è stato e, a oggi, vendiamo in tutti e 5 i continenti.” “La nostra produzione oggi si sviluppa però in Cina dove abbiamo stabilito delle collaborazioni con cinque fabbriche e, da lì, esportiamo in tutto il mondo anche se stiamo, piano piano, cercando di riportare una parte della produzione in Italia – ha spiegato l’Amministratore Delegato -. Il 70% del valore della chitarra infatti è dato dalla manodopera e il 30% dalla materia prima; quest’ultima ha sempre lo stesso costo in ogni parte del mondo perché il legno, le corde e le meccaniche sono sempre gli stessi. C’è un approccio diverso però nell’acquisto dello strumento: oggi la gente cerca chitarre che non costino una fortuna perché solo in pochi si possono permettere strumenti da 3mila euro. La Eko parte da una qualità media e arriva a una qualità alta che viene venduta al pubblico con una cifra contenuta: lì noi ci fermiamo perché il nostro target è quello.” La produzione della Eko si aggira sulle 100mila chitarre l’anno e vanta oltre 100 modelli. Solidità, ottimo suono, giusto prezzo e il classico gusto italiano con l’attenzione ai dettagli e alla colorazione: sono queste le caratteristiche che rendono il marchio recanatese grande in tutto il mondo. “Una serie di qualità che il mercato ama, accetta e recepisce” ha commentato Lorenzetti. “Tutti i più grandi artisti italiani sono nostri amici e vengono spesso a trovarci e noi siamo felici di offrire loro strumenti di prima qualità: Jovanotti, Renato Zero, Claudio Baglioni, Ron, Negramaro, Edoardo Bennato, Biagio Antonacci, Negrita, Saturnino, Luca Colombo, Massimo Varini e tantissimi altri artisti famosi – ha continuato Lorenzetti -. Avere la possibilità di “usare” la loro immagine per promuovere il nostro marchio ci fa piacere: in questo modo Eko sale sopra a tutti i palchi italiani e non solo. Collaboriamo anche con moltissimi artisti americani, inglesi, australiani, spagnoli e sudamericani.” “Quando Oliviero iniziò, si rese conto che stava partendo anche il rock and roll pesante – ha proseguito Lorenzetti -: quello dei concerti dal vivo e quindi della chitarra elettrica che, da sola, non suona. Decise quindi di iniziare a commercializzare anche gli amplificatori per chitarra e nacque “l’amplificazione Eko”. All’inizio acquistava gli amplificatori da terzisti, la FBT nacque grazie alla Eko. Poi, col tempo, la produzione degli amplificatori fu fatta internamente. In questo modo la Eko diede il via a tutto il reparto elettronico locale: i produttori si resero conto che con l’elettronica era possibile fare molte cose. Nacque poi la moda degli organi elettronici e se ne vendevano moltissimi ai tempi: Oliviero, insieme alla Thomas americana e alla Vox inglese diede vita alla EME, Elettronica Musicale Europea, a Sambucheto, per la costruzione appunto di organi elettronici." “Nel 1967 Oliviero morì e alla Eko venne a mancare il condottiero – ha proseguito Lorenzetti -. I due soci che rimasero, Pierdominici e Vignoni, i quali si occupavano più di produzione e non avevano le stesse qualità imprenditoriali del fondatore e, nel 1985, arrivò anche la grande crisi, la Eko venne spazzata via e i sindacati la fecero fallire. Nel 1987, Don Lamberto Pigini, fratello di Oliviero, decise di ricomprare il marchio e, l’anno dopo, mi chiamò. Ci mettemmo in società e rifondammo l’azienda, decidendo di rimanere sempre qui perché Recanati è la patria della Eko e la Eko deve rimanere qui, continuando a essere un’eccellenza del nostro territorio. Oggi stiamo cercando di riportare la produzione in Italia, con il lancio di due nuove chitarre: “Infinito”, in onore dei 200 anni dalla prima stesura della poesia e la “Ranger Futura”, in onore del nostro modello storico. Due chitarre che verranno prodotte interamente in Italia.” Sull’elettronica, che al giorno d’oggi sta prendendo sempre più piede, Lorenzetti ha espresso il suo punto di vista. “Prima c’erano le sale di registrazione e di incisione invece oggi i vari componenti delle band registrano il loro pezzo singolarmente, magari trovandosi anche in diverse parti del mondo, e poi l’elettronica e la tecnologia pensano al resto: la cosiddetta home recording. Fortunatamente però per la chitarra è diverso: i chitarristi hanno una determinata forma mentis e hanno determinate richieste. Il mercato della chitarra è sempre molto forte e fortunatamente ci sono sempre i live: lì l’elettronica non può dare gli stessi risultati.” “Quanto tempo ci vuole per fare una chitarra? Il tempo che ci vuole per fare una chitarra – ci spiega sorridendo il liutaio Roberto Fontanot, uno dei più importanti e famosi in Italia -. Creare una chitarra è un lavoro di grande pazienza per dare vita a uno strumento raffinato e delicato: un lavoro fatto principalmente dalla scelta delle materie prime. Per produrre chitarre Eko siamo noi stessi a creare il design tramite il pc, poi la macchina del controllo numerico, con la quale riusciamo a produrre con precisione ciò che vogliamo, pensa al resto. Dopo l’assemblaggio si passa poi alla verniciatura a led (studiata appositamente insieme alla ICA di Civitanova Marche) che non appesantisce il legno. Ci vogliono circa 200 step di produzione per fare una chitarra senza considerare la parte iniziale, quella di selezione degli alberi, che vengono scelti e abbattuti insieme ai Carabinieri Forestali.” Un lavoro lungo e meticoloso, come ci ha mostrato Roberto, fatto di amore e passione e che conferisce allo strumento quelle qualità uniche e necessarie per chi, della musica, non può farne a meno.
L'unione e la sinergia che fanno la forza: l'ascesa e il successo della RemaTarlazzi (FOTO E VIDEO)
Abbiamo incontrato Franco Cossiri, della Tarlazzi, e Mauro Mancigotti, della Rema, per farci raccontare una storia di unione e di coesione non solo tra imprese ma soprattutto tra famiglie. La RemaTarlazzi offre soluzioni efficaci e prodotti a professionisti, installatori e aziende che necessitano della fornitura di materiale elettrico, prodotti per l’illuminazione, componenti per l’automazione industriale, impianti domotici, sistemi per la produzione di energie rinnovabili, sistemi di videosorveglianza e antintrusione, articoli per la climatizzazione e utensili e attrezzature da lavoro. “La Tarlazzi viene fondata nel 1925 da Amedeo Tarlazzi, il mio bisnonno – ci racconta Franco – e aveva sede nel centro storico di Macerata. Poi l’azienda passa nelle mani di mia nonna Virgilia, che sposò mio nonno, Mario Cossiri. Quando fu il momento, le redini vengono poi prese da mio padre Virgilio. Nel 1994 lui si ammala e, nel giro di un anno, viene a mancare. Noi quattro fratelli, giovanissimi, ci trovammo con in mano un’azienda che scoprimmo, non aver avuto, fino a quel momento, una strada sempre rosea a felice.” “Nel 1995 mi sono così trovato, a 30 anni, a dover gestire un’azienda da zero dato che fino a quel momento mi ero occupato di impiantistica – ci spiega Franco -. Nostro padre inoltre aveva un carattere molto forte, era difficile per noi figli ricavarci un ruolo vicino alla sua figura da dirigente. Le persone che erano vicino a nostro padre, dopo la sua morte, si allontanarono dalla Tarlazzi ma fortunatamente, con tanti sacrifici, le banche ci diedero fiducia e noi riuscimmo a risollevare la situazione e a ripartire alla grande, anche grazie all’aiuto del commercialista Loris Tartuferi e all’Amministratore Delegato Dino Azzanesi. Le alternative erano due: o mettersi in gioco e farsi da parte. Abbiamo scelto la prima strada e oggi possiamo dire di avercela fatta e i numeri, ci danno ragione.” Nel 2000 infatti entriamo a far parte del gruppo Comet, nato nel 1967, con sede a Bologna, che oggi conta 2280 dipendenti complessivi; il primo gruppo in Italia nella distribuzione di materiale elettrico, illuminazione e automazione industriale – prosegue Franco -. Prima di noi entrarono la Rema di Pesaro e la SimeVignuda di Verona e dopo di noi la Marini Pandolfi e la General Com. Si formò quindi questo gruppo, di cinque aziende e altrettante famiglie. Qualche anno dopo Comet, per consolidare tutti i bilanci in un unico bilancio doveva avere la maggioranza di tutte le società e quindi cedemmo la percentuale mancante al 51% e diventammo così azionisti Comet.” Ma non finisce qui. “Il gruppo bolognese, nelle Marche, aveva infatti due aziende importanti, la Rema, fondata nel 1974 a Pesaro, e la nostra. Nel 2007 abbiamo deciso di dare vita a un’unica realtà, che a oggi conta 540 dipendenti, creando la RemaTarlzzi s.p.a. – ci racconta Franco -. Un’Azienda ‘allargata’, formata da cinque famiglie: Cossiri, Mancigotti, Azzanesi, Barbaccia e Renzoni, tutte persone meravigliose. Tra soci siamo infatti riusciti benissimo a dividerci i compiti, dando vita a un’azienda leader nel settore che oggi conta 30 punti vendita tra Marche, Abruzzo, Umbria, Lazio e Molise e che attende l’apertura, a settembre, della prima filiale nella Capitale”. Un bilancio 2018, quello della RemaTarlazzi s.p.a., più che positivo: “abbiamo chiuso l’anno con 152 milioni di euro di fatturato” osserva Franco. Qual è la formula segreta di questo successo e soprattutto di questa armonia tra vari attori? “Per noi è fondamentale formare il personale tecnico e garantire al cliente un servizio che va oltre all’acquisto del prodotto, perché da sempre diamo quel valore aggiunto che, in un settore come il nostro, fa la differenza. Poi abbiamo deciso di non avvalerci mai di dirigenti o dei cosiddetti ‘grandi capi’: è così che il rapporto tra noi soci e, di riflesso, con il personale, è familiare e sereno sempre e tutti siamo indirizzati, con un grande lavoro di squadra, al bene dell’azienda.” Un’attenzione al cliente che va di pari passo con i cambiamenti. “Dal punto di vista dei sistemi informativi facciamo tutto interamente noi e abbiamo sviluppato anche un’App, usata già da un terzo della nostra clientela, che consente di accedere in tempo reale a tutte le offerte di magazzino, con prezzi aggiornati, storico dell’ordine, preventivo, situazione contabile finanziaria, fatture e tutto il resto: un’operazione che mostra la trasparenza del nostro operato che, in stile Amazon, consegna il prodotto il giorno seguente se ordinato prima delle ore 19:00 – a spiegarci nel dettaglio la logistica è l’Ingegner Mauro Mancigotti -. Tutto avviene in tempo reale e il cliente può accedere direttamente agli oltre 50 mila prodotti disponibili in pronta consegna. A questo si aggiunge l’assistenza continua dei nostri tecnici, formati e aggiornati costantemente, che stabiliscono sempre un rapporto diretto con il cliente.” “Secondo me è difficile dire come un’azienda ha avuto successo, posso dire cosa abbiamo fatto noi fino a oggi per arrivare dove siamo. Abbiamo sempre lavorato in maniera seria, corretta, trasparente e senza furbizie – ci spiega Mauro -, cercando di capire cosa ci richiede il cliente. Partendo da questo, abbiamo soddisfatto le richieste, avvalendoci di uno staff di persone competenti, che si sento parte di una famiglia e che viene coinvolto quotidianamente proponendo idee, consigli, suggerimenti, migliorie. Noi soci abbiamo sempre proseguito il nostro percorso con umiltà, credendo che anche l’ultimo dipendente arrivato, nel suo settore, ci avrebbe potuto dare un valore in più e quindi doveva essere ascoltato; è in questo modo ognuno porta dentro l’azienda il proprio pezzettino di sé. La ricetta quindi penso sia quella di non essere superbi ma umili, riconoscere i propri limiti e farsi aiutare a colmarli da chiunque perché noi coordiniamo solo i vari strumenti, poi la musica la facciamo tutti insieme.” La RemaTarlazzi è proiettata al futuro e tra qualche mese partirà il progetto per la costruzione del nuovo magazzino logistico, di circa 20mila metri quadri coperti, a Corridonia: un’opera che vedrà la luce entro il 2021.
Grande successo per i primi tre mesi della nostra rubrica "Alla scoperta delle realtà maceratesi"
Era il 4 febbraio quando Picchio News ha lanciato la nuova rubrica "Alla scoperta delle realtà maceratesi". In ogni domenica di questi tre mesi, vi abbiamo raccontato la storia, la passione e l'amore per il territorio di tredici realtà maceratesi. Un bilancio eccellente, con migliaia di visualizzazioni e di riscontri sempre positivi (anche dall'estero), per le tantissime storie che vi abbiamo raccontato fino a ora e che vi (e ci) hanno portato a viaggiare settimanalmente alla scoperta di aziende e realtà del territorio, spesso sconosciute ai più. È stata un'esplorazione continua dei piccoli e grandi gioielli della nostra Provincia che hanno qualcosa da raccontare e, perché no, da far “gustare” ai nostri lettori. Di piccole o grandi dimensioni, a conduzione familiare e chi più ne ha più ne metta: ogni settimana vi abbiamo fatto scoprire (se non la conoscevate già) un'azienda della Provincia. Abbiamo iniziato con il raccontarvi la storia della Cantina Volverino di Mogliano insieme a Maja e Anna per farvi poi scorpire la passione del Salumificio Monterotti di Sarnano che, tra meno di un anno, spegnerà le 50 candeline. Insieme a Francesco, Andrea e Ubaldo vi abbiamo poi fatto scoprire una delle realtà più longeve del territorio, incastonata nelle bellissime colline di Cingoli, Il Mulino Bravi e i suoi 454 anni di storia. Mauro Quacquarini ci ha poi raccontato il lungo cammino dell'Azienda che prende il nome di suo padre Alberto Quacquarini e della Vernaccia di Serrapetrona, un'eccellenza "DOC" del nostro territorio. Insieme a Giuseppe Giustozzi vi abbiamo raccontato l'ascesa di un uomo che nel campo della ristorazione (e dell'imprenditoria) non conosce segreti. Siamo poi partiti in direzione dell'interno per farvi toccare con mano tutte le fasi della lavorazione e della produzione de La Pasta di Camerino, un'eccellenza del territorio che rinuncia mai a materie 100% italiane. Un valore, quello del Made In Italy, che non dimentica mai nemmeno Stefano Affede, titolare della pelletteria Stephen di Pollenza. Da Montecassiano vi abbiamo poi fatto conoscere, con i giovanissimi Riccardo ed Edoardo, una delle aziende leader, in tutta Italia, nel settore dei lavelli da cucina in quarzo e granito: la Plados. Maurizio Marinangeli ci ha poi raccontato la storia della Technogroup International di Corridonia, realtà che da trentanni è leader nell'istallazione di sistemi di sicurezza. Insieme a Marta e Maria Rita ci siamo poi catapultati nelle bellissime montagne di Sefro per assaporare le prelibatezze a base di trota del Ristorante "Da Faustina". Siamo poi tornati nel capoluogo, più precisamente nel cuore di Macerata, per dare voce alla passione dei giovanissimi Aldo e Julia e dei loro tre fantastici locali di ristorazione: il Caffe Centrale, il Centrale.eat e il Centrale.plus. Siamo poi andati a Sarnano, ospiti di uno dei fiori all'occhiello dell'intera Regione, le rinomate Terme San Giacomo e, insieme al Direttore Sanitario Paolo Del Giudice, vi abbiamo raccontato una storia di resistenza post-sisma molto forte. Infine domenica scorsa, tornati nel centro storico di Macerata, vi abbiamo fatto scoprire il giovane successo di Vere Italie e del turismo esperienziale dell'imprenditore Stefano Parcaroli. Non vi resta ora che aspettare domenica prossima per conoscere quale sarà la realtà maceratese a cui daremo voce e di cui vi racconteremo la storia, una storia fatta sempre di amore e passione per il proprio lavoro e per il territorio.
Turismo enogastronomico ed esperienziale grazie ai prodotti del territorio: il (giovane) successo di Vere Italie
Cucina a vista, materie 100% regionali e italiane, produttori locali e a km 0 e una visione esperienziale della ristorazione. Sono alcuni degli elementi del (giovane) successo del Ristorante Vere Italie di via Crescimbeni a Macerata. “Tutto nasce da un’idea, balenatami in mente nel gennaio del 2018 – ci racconta Stefano Parcaroli, il giovanissimo titolare del locale maceratese -. Volevo fare qualcosa per il turismo della nostra provincia e della nostra Regione già da tempo e quindi ho decido di intraprendere questa strada e regalare un’esperienza ai clienti, inaugurando Vere Italie nel dicembre del 2018.” Stefano viene da un mondo molto lontano da quello della ristorazione ma la chiave della sua passione sta nel mondo del retail e dell’attenzione al cliente, che “per me è un utente dei nostri servizi al quale dare un’offerta non solo nel prodotto, ma aggiungendo qualcosa in più, un’esperienza appunto – ci spiega Stefano -. Abbiamo voluto creare e dare vita a un locale dove poter far vivere un momento esperienziale al cliente, che viene accolto in un’atmosfera familiare, accogliente e ben studiata e dove può gustare i piatti della tradizione rielaborati e preparati con materie prime del territorio.” Un menu molto ricercato che però non dimentica mai i sapori del nostra terra. “I vini, abbiamo 130 etichette, sono tutti della provincia di Macerata o, al più, della Regione, mentre i superalcolici sono tutti esclusivamente italiani – ci spiega il titolare -. Una delle prime persone che ho assunto infatti è stata la gastronoma, una figura che va alla ricerca dei prodotti e dei produttori delle nostre terre secondo standard qualitativi che ci siamo posti e creando con loro un forte legame.” “Il nostro menù, studiato appositamente dalla Chef Entiana Osminzeza, specializzata nell’avvio dei ristoranti e come formatrice di uno staff completo e autonomo, varia in base alla stagionalità delle materie prime e siamo già arrivati al terzo rinnovo – ci spiega Stefano -. Il nostro desiderio è quello di far mangiare i clienti come mangiavano i nostri nonni, con una chiave rivisitata: la ‘sfida’ sta anche nel mantenere forti e saldi i contatti con i produttori del territorio, siano essi grandi o piccoli.” Alcuni dei prodotti, appositamente selezionati, vengono venduti anche direttamente nel Ristorante, che ha lanciato anche dei co-brand per alcuni alimenti, studiati insieme a esperti del settore. Vere Italie, in pochissimo tempo, ha raggiunto traguardi molto importanti: è stato il catering per l’ultima edizione del Festival di Sanremo a febbraio, mentre a settembre curerà quello del Festival del Cinema di Venezia, facendo conoscere i prodotti locali in tutta Italia e nel mondo. Il riscontro in Città è stato altrettanto positivo. “Abbiamo sempre cercare di proporre qualcosa di originale, diverso e innovativo – ci spiega Stefano -: è così che attiriamo i clienti. Uno dei nostri format è quello del brunch della domenica, un appuntamento nuovo in Città che ha avuto molto successo, nonostante per noi all’inizio fosse una vera e propria scommessa. Ora con l’arrivo dell’estate, la vera sperimentazione ci sarà la settimana prossima con gli aperitivi europei, apriremo anche la veranda nell’ampio cortile esterno che si presta molto bene a feste, aperitivi, pranzi e cene con la sua splendida cornice.” Un locale molto suggestivo appunto, protetto dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali, che è stato completamente ristrutturato con uno tocco “moderno ma con uno stile intramontabile” come ama definirlo Stefano. Luci a batteria sui tavoli rifiniti in ottone, grandi specchi che conferiscono ampiezza al ristorante, la cucina a vista: freschezza e modernità legati in modo perfetto alla storicità delle mura. Uno staff fisso, quello del Ristorante Vere Italie, che lavora di frequente con l’Istituto Alberghiero di Cingoli. “Con gli studenti si crea un rapporto davvero molto bello e ci piace questa collaborazione con le scuole che potrebbe diventare anche un investimento per il futuro, sia nostro che dei ragazzi, ed è anche un valore aggiunto che dimostra l’attenzione al territorio e ai giovani.” Un grande amore per il territorio, per i prodotti maceratesi e per la Città al quale Stefano, tornato da poco dalla Cina, sta già aggiungendo un ulteriore valore con uno sguardo all’internazionalizzazione. “Con i nuovi voli che, a settembre, arriveranno ad Ancona dall’Oriente, sto cercando già di mettere le basi per un rapporto di collaborazione con la Cina. Avendo una cultura molto diversa dalla nostra, credo sia importante, oltre che far conoscere loro le bellezze culturali che Macerata offre, portare i turisti a vivere la quotidianità di un maceratese. Da qui nasce quindi l’esperienza, all’interno di un turismo che diventa anche enogastronomico. A questo proposito, stiamo già programmando, per il prossimo mese, dei corsi all’interno del locale per insegnare, a chi vorrà, come si fanno le olive all’ascolana piuttosto che la pasta fatta in casa e altre eccellenze del nostro territorio” “Vogliamo rendere Vere Italie un polo turistico della Città – ha concluso Stefano -. Ovviamente ci vogliono entusiasmo, voglia di fare e una visione imprenditoriale a lungo termine che mi auguro di riuscire a trasmettere ai tanti che vorranno arricchire Macerata e farla conoscere al mondo grazie alle sue particolarità e alle sue eccellenze.”
Salute e benessere, un viaggio tra passato, presente e futuro alla scoperta delle Terme San Giacomo di Sarnano (FOTO)
Una storia lunga quasi 100 anni quella delle Terme San Giacomo di Sarnano, un fiore all’occhiello non solo del territorio provinciale ma di tutta la Regione Marche. Abbiamo incontrato il Direttore Sanitario, il Dottor Paolo Del Giudice, specializzato in cultura termale, per farci raccontare la storia, non sempre rosea, delle Terme di Sarnano. “Era il 1933 quando vennero aperte le Terme San Giacomo: uno stabilimento antico con un ingresso e un tempietto in fondo al viale, dove si dava la cura idropinica, cioè l’acqua da bere – ci racconta il Dottor Del Giudice -. L’acqua venne scoperta durante i lavori del ponte sulla strada provinciale tra Sarnano e Gualdo. In quel periodo infatti, gli operai che erano lì, bevevano dalla sorgente e riconobbero subito le proprietà benefiche dell’acqua. Il Dottor Silvestro Baglioni, un fisiologo dell’Università “La Sapienza” di Roma, si trovava a Sarnano per una visita turistica e decise di analizzare le acque scoprendo che le stesse erano migliori di quelle che conosceva lui. Da quel momento si diede il via al primo imbottigliamento in vetro e a una diffusione capillare in tutta Italia dell’acqua delle Terme di Sarnano. Dal 1984 si sono iniziate a cercare volutamente altre sorgenti, di altro tipo, perché conoscevamo bene il territorio e Sarnano è una città piena di sorgenti, sia per la vicinanza alla montagna sia per il tipo di terreno che era fondo del mare. Dal 1987 lo stabilimento si è poi arricchito di nuovi reparti: cure inalatorie, sordità rinogena, balneoterapia e cure ginecologiche – ha proseguito il Dottore -. Come completamento dell’offerta terapeutico termale, si è attivato poi un ambulatorio di terapia fisica e riabilitazione che ha un’importanza enorme.” “La storia delle Terme San Giacomo è sempre proseguita a gonfie vele, finché non arriva la mattina del 30 ottobre del 2016 – ci racconta il Dottor Del Giudice -. Il sisma ha causato un disastro totale e ha lesionato in maniera irreparabile sia l’ingresso sia la struttura; oltre al fatto che non potevamo entrare per recuperare le attrezzature che erano rimaste dentro.” Un momento di grande crisi e di difficoltà che però non ha spento la passione dei dipendenti e dei responsabili di portare avanti un’eccellenza così rinomata del territorio marchigiano. “Nel febbraio del 2017 abbiamo contattato il curatore fallimentare di questa struttura che prima era un centro benessere – ha continuato il Direttore Sanitario –. L’abbiamo acquistata e da lì è iniziato tutto il processo di riassestamento: abbiamo riconvogliato tutte le acque delle tre sorgenti usando delle canalizzazioni che c’erano in precedenza e riaggiuntandole nell’ultimo tratto. È stata una fortuna che abbiamo trovato delle tubature che non si sono rovinate negli anni: queste infatti venivano utilizzate da un acquedotto comunale e sono quindi sempre rimaste pulite e giovani. Abbiamo poi modificato gli impianti con l’adduzione di acqua diretta che, in questo modo, esplica tutte le sue proprietà terapeutiche. Ad agosto del 2017 abbiamo inaugurato i nuovi locali alla presenza del Presidente Ceriscioli e di Errani. Quest’ultimo parlò di una ‘struttura, quella delle nuove Terme San Giacomo di Sarnano, che rappresenta il risultato migliore che siamo riusciti a ottenere dal terremoto de L’Aquila, in termini di ricostruzione’.” Gli uomini e le donne del personale delle Terme San Giacomo, tutti terremotati, per mesi hanno fatto molti sacrifici per dare una mano alla struttura e poter acquistare le nuove attrezzature. Un grande aiuto è arrivato anche dall’Amministrazione Comunale e, ovviamente, dai fondi della ricostruzione della Regione Marche. La struttura inoltre, concepita per accogliere 30 persone al giorno, a oggi, nei periodi estivi, riesce a soddisfare le esigenze di 700 utenti al giorno. “La delocalizzazione delle Terme San Giacomo ha portato dietro di sé molti pro ma anche alcuni contro – ci racconta il Dottore -. Parliamo di una struttura nuova, elegante, moderna e all’avanguardia, che ci ha fornito anche la piscina idrolife, dove facciamo anche terapia termale; ma una delle più grandi perdite è stata il parco di tre ettari e mezzo che era nella vecchia sistemazione: cercheremo di fare in modo di recuperare anche questa bellezza naturale il prima possibile.” Ma il progetto della Sarnano Terzo Millennio, la società che gestisce le Terme e il Residence, non si ferma qui e guarda al futuro e a un ampliamento ‘con i fiocchi’. “La nostra idea prevede, nel piano sotto, la ridefinizione dell’attuale centro benessere con l’aggiunta della sauna e la sistemazione della piscina che, con il tempo, è stata rovinata - ci ha spiegato il Dottor Del Giudice -: ciò che manca in questo momento sono i fondi per il restyling completo di tutto il piano sottostante.” Le acque che vengono utilizzate dalle Terme di Sarnano, anche su pazienti con patologie acute, sono tre: la San Giacomo, la Tre Santi e la Terro. “La prima viene utilizzata nelle cure idropiniche per problemi di tipo renale e digestivi in quanto favorisce il lavaggio delle vie urinarie. La Tre Santi ha le caratteristiche tipiche dell’acqua bicarbonato calcica e ha quindi un effetto miorilassante sulla muscolatura e risolve patologie come artrosi o problemi di circolazione. Il tutto a corredo delle attività delle fisioterapiste, eseguite con attrezzature all’avanguardia utilizzate anche dal Rizzoli di Bologna. L’acqua sulfurea Terro è invece quella utilizzata per le cure inalatorie: ha proprietà terapeutiche anti infiammatorie e mucolitiche. Viene utilizzata anche a livello cutaneo e ginecologico – ha osservato nel dettaglio il Dottore -. Il nostro obiettivo è quello di far ammalare il paziente sempre meno in quanto ciò rallenta automaticamente l’evoluzione della patologia cronica: prima si fa sanità, poi si fanno i numeri.” Tutto il ciclo delle terapie termali, che ha una durata di 12 giorni, è mutuabile e convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale. Un’offerta a 360 gradi quella delle Terme San Giacomo di Sarnano che, con le sue terapie mediche, rappresenta un’eccellenza del nostro territorio: dalle inalazioni, all’aerosol, passando per l’humage e le docce nasali micronizzate. Le Terme sono dotate di una piscina interna con vari tipi di idromassaggio: verticale, sul lettino, lombare e per la zona gambe, a cascata e quindi per la cervicale e infine il camminamento in acqua tiepida. Le Terme offrono inoltre la possibilità di eseguire balneoterapia per vasculopatia periferica con una pressione alta del getto dell’acqua che riattiva il muscolo o ancora la fangoterapia con l’argilla della sorgente sulfurea che viene polverizzata, aggiunta alla paraffina, e fatta seccare sul corpo del paziente.” Mentre nelle Terme vengono eseguite delle terapie, nel centro benessere operano estetisti e massaggiatori per trattamenti specifici per il corpo. Insieme ad Andre Montanari abbiamo visitato la spa, dotata di ogni confort, moderna e bellissima. “Nel centro benessere vengono eseguiti tutti quei trattamenti volti alla cura del corpo dei nostri clienti: dalla pedicure e manicure ai trattamenti viso e corpo, passando per i massaggi e l’area relax, senza dimenticare il bagno turco, il bagno romano, i fanghi estetici e le docce emozionali. L’offerta delle cure convenzionate con il Sistema Sanitario Nazionale si arricchisce quindi dei trattamenti delle linee wellness e beauty con un’equipe in grado di prendersi cura dei clienti e in grado di offrire soluzioni personalizzate per il raggiungimento del benessere personale e per la valorizzazione della propria bellezza." Per concludere l’offerta, nell’agosto del 2017 è stato anche inaugurato il nuovo Residence con 18 appartamenti nuovi, moderni e dotati di ogni confort. “Vanno da un minimo di 55 a un massimo di 75 metri quadri – ci ha spiegato Montanari -. Sono appartamenti molto luminosi e con una meravigliosa vista panoramica che possono offrire ospitalità a un minimo di due fino a un massimo di sei persone. Tutti i 18 appartamenti sono dotati di camere da letto, soggiorno ampio, cucina, termo-autonomia, aria condizionata, frigorifero e ovviamente l’accesso libero alla piscina termale esterna con tutti i suoi effetti terapeutici.”
Un'offerta turistica a 360 gradi nel centro storico di Macerata: la storia di Aldo e Julia e del Centrale (FOTO)
Aldo è di Ascoli Piceno mentre Julia è di Fermo. Oltre a essere marito e moglie (in dolce attesa) hanno anche un grande amore in comune: quello per Macerata. “Ho frequentato l’Università qui e poi ho lavorato in una discoteca della città. Tredici anni fa, lavoravo dove oggi c'è il Caffè Centrale come dipendente e mi è balenata in testa l’idea di fare una proposta al proprietario per aprire io stesso un bar nel centro storico: lui ha accettate, l'ho comprato e da lì è iniziato tutto – ci racconta Aldo -. Possiamo dire che ho intrapreso questo progetto ‘per gioco’ ma poi mi sono appassionato al mestiere e ho cercato sempre più di migliorarmi e di migliorare l’offerta ai clienti. Nel 2015 ho quindi deciso di ampliare l’offerta con un bistrot, diventato poi ristorante, che è il Centrale.eat. Abbiamo fatto dei lavori, ripulito la grotta e dato vita al secondo locale.” “Ho conosciuto Aldo sei anni fa e lui mi ha assecondato nella mia voglia di organizzare eventi e insieme abbiamo pensato e studiato nei minimi dettagli il Centrale.eat – ha aggiunto Julia -. Quando poi si è presentata l’opportunità di poter prendere i locali dell’Albergo Italia non ce la siamo lasciata scappare e abbiamo continuato a migliorare la nostra offerta.” Sabato scorso è stata proprio la volta del Centrale.plus. Collocato in cima alle scalette e di fianco la Torre Civica, il nuovo locale è ospitato nelle bellissime sale dell’ex Albergo Italia e racchiude gli oltre 500 anni di storia nella sua suggestiva location che fu sede, in passato, di organismi militari, banche, Camera di Commercio e cinema. Ma la sfida imprenditoriale di Aldo e Julia non si ferma qui. “Subito dopo aver aperto il Centrale.eat infatti, abbiamo pensato di completare l’offerta turistica anche con un albergo e, proprio nel palazzo adiacente al Centrale.plus, abbiamo ristrutturato e ammodernato le vecchie residenze d’epoca creando 6 camere, con 16 posti letto per tutti coloro che, durante l’anno, vengono a Macerata e vi soggiornano – ci spiega Aldo -. L’idea era quella di aprire in contemporanea con il nuovo locale ma, a causa di un discorso legato al sisma, dovremmo aspettare per l’inaugurazione che è comunque prevista per l’estate del 2020.” “Con il Centrale.plus, puntiamo ad attrarre una fascia di clientela come può essere quella legata alle grandi cerimonie e ai grandi eventi, un discorso che non ci era possibile fare con il Centrale.eat per questioni di spazio – ha proseguito Aldo -. Siamo in Piazza della Libertà e l’idea è quella di attrarre i visitatori offrendo sempre prodotti di qualità e del territorio, che facciano splendere il nome di Macerata e la sua bellezza.” Il Centrale.plus sarà riservato infatti ad allestimenti, confettate, preparazioni ed eventi molto più curati, degni della location storica che li ospita. “Qui si svolgeranno anche sfilate di moda, eventi culturali e non solo – ci ha spiegato Julia -. Proporremo degustazioni più ricercare, percorsi gustativi differenziati e curati secondo le esigenze dei clienti che, nel caso di matrimoni, battesimi o altre cerimonie, verranno seguito dai biglietti delle partecipazioni fino alla torta.” Un’attenzione particolare che sarà destinata anche al prezzo. “Non vogliamo classificarci come una fascia alta di ristorazione, vogliamo rimanere nel target e nella tipologia del Centrale.eat, con degli arricchimenti, senza dubbio, ma senza dimenticare le esigenze del cliente, puntando a un'offerta a 360 gradi con materie di altissima qualità e un buon rapporto qualità/prezzo” – ha aggiunto Aldo, svelandoci la new entry del Centrale: una macchina che fungerà da navetta per aiutare i visitatori con gli spostamenti dal centro storico verso l'esterno della Città. Aldo e Julia sono concordi sul loro amore per Macerata e sul voler attrarre più visitatori possibili nel cuore della Città. “La gente ha voglia di tornare in centro e di viverlo e questo è ciò che noi vogliamo offrire, assecondando al meglio le esigenze della nostra clientela”.
Sicurezza, assistenza e centrale operativa 24 ore su 24: il successo della Technogroup International di Corridonia (FOTO)
Trenta anni di esperienza nell’installazione di sistemi di sicurezza e una pluriennale e continua ricerca di tecnologie innovative: questa la forza della Technogourp International Srl di Corridonia di Maurizio Marinangeli. “L’assistenza è sempre al centro del nostro lavoro – ci racconta il titolare – e, sin dalle prime valutazioni per la realizzazione degli impianti, poniamo una meticolosa e particolare attenzione ai futuri aspetti di pronto intervento. Proprio grazie alla nostra centrale operativa di controllo tecnico dei sistemi installati e a una strutturata organizzazione interna, gestiamo la manutenzione e il pronto intervento degli impianti 24 ore su 24.” Sono oltre 4000 i clienti che si affidano alla Technogourp International Srl, che realizza, in base alle varie necessità, diversificati sistemi rapportati alle esigenze aziendali e di settore: dai gruppi del lusso al privato, dall’azienda all’ente pubblico. La progettazione, la produzione e il supporto avvengono principalmente con la collaborazione di ditte italiane ma, in alcuni casi, si creano delle relazioni anche con realtà europee che forniscono il materiale e che andrà poi a essere installato dai tecnici esperti della Technogourp International Srl. “La nostra azienda offre anche la formazione del personale; il customer service e la customer satisfaction oltre alla manutenzione e alla gestione dei dati archiviati tramite un data base che può inviare report periodici ai clienti tramite telefono, e-mail e SMS – spiega Marinangeli -. Ogni impianto di videosorveglianza e di allarme inoltre, viene progettato insieme al cliente dopo vari sopralluoghi in loco da parte dell’ufficio tecnico, che servono a stabilire tutte le necessità e le esigenze del sito da "proteggere”: un’attenzione quindi eslusivamente dedicata alle diversificate situazioni che ci si possono presentare.” “Inoltre, il nostro saper fare e la continua formazione e ricerca, ci hanno permesso di ottenere importanti riconoscimenti e il rilascio delle relative certificazioni di conformità per le nostre installazioni: la UNI ES ISO e le certificazioni SOA OS5 e OS30 – ci racconta il titolare -. Un lavoro, il nostro, che richiede corsi di aggiornamento continui, soprattutto visto il veloce progresso tecnologico che ogni giorno compie passi da gigante.” La Technogourp International Srl produce, in base alle esigenze dei vari clienti, impianti antifurto; antintrusione e antiscasso da interno e da esterno; sistemi antirapina e antitaccheggio; impianti di rilevazione fumi, antincendio e relativi sistemi di spegnimento automatico; impianti TVCC e di videosorveglianza; infrastrutture in fibra o su rete wireless; sicurezza delle reti informatiche e troubleshooting; sistemi di centralizzazione allarmi e creazione di centrali operative; sistemi di controllo accessi integrati; sistemi conta persone; gestione integrata delle segnalazioni mediante software cartografici e sistemi di difesa passiva. Il tutto volto sempre alla sicurezza del cliente.
A Montecassiano l'azienda leader nel settore dei lavelli da cucina in quarzo e granito: la storia della Plados (FOTO)
Sono sei i produttori al mondo di lavelli da cucina in materiale composito in dispersione acrilica e tra questi troviamo una delle eccellenze maceratesi, con sede a Montecassiano, la Plados dell’Ingegner Bertini e dell’Ingegner Bugiolacchio. Creata nel 1991 dai due soci, rispettivamente ex Teuco Guzzini ed ex Telma Guzzini, l’Azienda è leader nel settore di lavelli da cucina in quarzo e granito, con un mercato che si estende per oltre il 50% all’estero, dall’Europa, all’America, fino a raggiungere l’Australia. “A Montecassiano abbiamo la produzione vera e propria mentre a Montelupone c’è l’impianto per la produzione delle materie prime e il laboratorio di ricerca e sviluppo di nuovi materiali – ci spiegano Riccardo ed Edoardo, i giovanissimi figli di uno dei due proprietari della Plados, Sandrino Bertini -. Noi acquistiamo le cariche minerali da selezionati fornitori mondiali, poi il segreto del prodotto d’eccellenza lo fa la ricetta.” “Il quarzo e il granito – proseguono – vengono legati insieme dalla resina acrilica e questo procedimento avviene a Montelupone, negli stabilimenti della Delta, azienda facente parte del gruppo Plados. Il prodotto, che in principio è liquido, viene poi trasferito a Montecassiano e, tramite un sofisticato sistema, viene iniettato negli stampi, che sono circa 120, i quali danno la forma e le dimensioni ai vari lavelli. Una volta stampato, il lavello viene poi trasferito agli altri reparti, che provvedono alle successive lavorazioni, quali sbordatura, foratura, finitura e packaging del prodotto.” “La rubinetteria, gli elettrodomestici e una vasta gamma di accessori, acquistati su nostre richieste specifiche di design e indicazioni progettuali, vengono poi da noi commercializzati e ciò serve per completare la nostra offerta commerciale” – continuano Riccardo ed Edoardo. Una produzione annua che arriva fino a 160mila lavelli e che viene esportata in circa 50 paesi al mondo. L’Azienda, che si sviluppa su 20 mila metri quadri, conta 110 dipendenti e include anche una sede all’estero, in Serbia, è certificata come PMI innovativa. Sulla crisi del settore edilizio e, contestualmente, dell’arredo della casa, Riccardo ed Edoardo ci spiegano che “dal 2010 il numero di fabbricanti di cucine componibili è dimezzato e quindi sono rimasti i cosiddetti ‘grandi’ produttori. Diciamo che crescendo loro cresciamo anche noi, soprattutto grazie ai partner più importanti come possono essere Lube e Scavolini.” Ma qual è la differenza tra un lavello fatto in materiale composito e un prodotto in acciaio inox o ceramica o piuttosto in resina poliestere? “Il prodotto è molto facile da pulire, è resistente agli impatti, antigraffio, antimacchia, antibatterico e igienico. La Plados vanta inoltre il brevetto internazionale “ARIAPURA”: parliamo di quei lavelli provvisti di nanoparticelle di biossido di titanio che, in presenza di luce naturale o artificiale, attivano il fenomeno della fotocatalisi, processo simile alla fotosintesi clorofilliana degli alberi, il quale distrugge i cattivi odori e trasforma le sostanze inquinanti presenti nell’ambiente cucina in innocui sali minerali. Il lavello proposto al mercato con i marchi Plados e Telma è quindi antinquinante, antibatterico e autopulente.” L’Azienda è inoltre beneficiaria dei finanziamenti del Fondo Europeo a sostegno dei processi di innovazione aziendale e utilizzo di nuove tecnologie e ha ricevuto la visita del Presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli e di una delegazione della Commissione Europea pochi giorni fa. L’impresa Delta di Montelupone ha infatti elaborato un programma di investimento focalizzato sullo sviluppo di nuovi materiali compositi per lavelli da cucina e finalizzato all’applicazione dei risultati della ricerca, per i quali l’impresa è titolare di brevetti internazionali.
Resistenza e valore del Made In Italy con lo sguardo all'Oriente: la storia della pelletteria Stephen di Pollenza (FOTO)
La storia di Stefano Affede e della sua pelletteria Stephen New Line inizia nel 1978, oltre quarant’anni fa, quando decide di intraprendere questa nuova avventura, dopo essere stato per molto tempo un rappresentante Levis per Marche e Abruzzo, con la sua socia, che esce però dall’Azienda nel 2006. “Dal 1978 abbiamo sempre lavorato nel nostro laboratorio a Villa Lauri, dando vita a creazioni originali e completamente Made In Italy che sono diventate un vero e proprio marchio in tutto il mondo – ci racconta Stefano -. Le pelli, che acquistiamo a Santacroce (Firenze) o Arzignano (Vicenza) in base all’esigenza, vengono lavorate interamente nel laboratorio che, dal febbraio del 2017, a causa dei danni causati dal sisma, si trova a Pollenza, insieme al nuovissimo outlet. Produciamo principalmente borse, cinture e portafogli e il 90% della nostra produzione è indirizzata alla donna. Io stesso creo il modello e penso al design, il modellista poi traspone tutto sul cartone e sempre io assemblo i vari pezzi.” Un mercato difficile quello della pelletteria nella nostra Penisola ma che, al contrario, riscuote un grandissimo successo all’estero, soprattutto in Oriente. “Fino a 10 anni fa lavoravo con l’Italia ma ora il mercato è diventato troppo complesso, come in generale quello europeo – ci racconta Stefano -. Dove invece ci sono le maggiori soddisfazioni, in termini di serietà, è in Giappone. Ho iniziato a lavorare con l’Oriente nel 1983, principalmente con grossisti, grandi magazzini e boutique, e parliamo di un mercato che ha standard diversi, che pretende qualità, sicurezza e serietà. Per intenderci, se un capo si scuce, non viene gettato ma il cliente lo riporta in negozio e noi lo ripariamo: c’è un’attenzione diversa alla merce e alla sua qualità. In Giappone il cliente vuole la vera pelle e non l’accessorio: si ricerca il prodotto esclusivo e di classe che deve essere Made in Italy al 100% e frutto del lavoro di operai rigorosamente italiani”. Stephen, L'impronta 03 e Stefano Affede sono tutti marchi certificati Made In Italy. Quella di Stefano però non è sempre stata una storia rosea e felice. “Nel febbraio del 2017, come vi aveva annunciato, il laboratorio a Villa Lauri viene dichiarato inagibile a causa del sisma e quindi ho deciso di comprare questo capannone a Pollenza da ristrutturare e rendere operativo per portare avanti l'Azienda – ci spiega Stefano -. Ma non pensavo che sarebbe stato così difficile. Ho dovuto aprire più di un mutuo per sistemarlo e rifare tutto partendo da zero, perché qui non c’era nulla; ma ciò che mi ha abbattuto maggioramente è qualcos'altro." “I miei sei dipendenti, dopo il terremoto, sono andati in cassa integrazione per sei mesi – ci spiega il titolare -. Dopo questo periodo sarebbero però rimasti a casa ma io non potevo lasciare in mezzo alla strada la mia “famiglia”, le persone con cui ho condiviso oltre 35 anni di attività. Sono stati due anni terribili, non lo nego. Più volte ho pensato di mollare tutto, ma non potevo farlo né a me né a loro. Ho quindi deciso di far fare loro i lavori di sistemazione del capannone invece che farli fare a una ditta esterna, in modo da poter dare loro uno stipendio. Solo che ora, l’Ufficio Ricostruzione, mi ha detto che il denaro che ho investito per i lavori nel nuovo stabilimento non mi può essere rimborsato perché non è stata una ditta esterna ad eseguire tutti i lavori." Insomma oltre il danno la beffa anche se Stefano, sicuramente con meno soldi in tasca, può dirsi orgoglioso dell’uomo che è e dell'esempio di solidarietà e umanità che ha dato a tutti noi.
La Pasta di Camerino, Materie 100% italiane, risorse umane e tradizione: ecco gli ingredienti del successo (FOTO)
Basta entrare nei locali di produzione de La Pasta di Camerino, o aprire una confezione della pasta Hammurabi, la grande novità del 2018 della nota azienda maceratese, per sentire gli odori della pasta fatta con ingredienti italiani. Abbiamo incontrato Federico Maccari, il direttore dell’Azienda che, a 27 anni, ha preso in mano ciò che suo padre Gaetano e sua mamma Mara Mogliani hanno costruito nel 2002 partendo da una piccola impastatrice. Papà Gaetano è il tipico grande lavoratore marchigiano di poche parole: un vero mastro pastaio che ogni mattina alle quattro accende i macchinari dell’Azienda dando il buon esempio alla sua “famiglia”. “La lavorazione de La Pasta di Camerino avviene a basse temperature, sempre inferiori ai 100 gradi, per far sì che non si perdano i veri sapori – eccoci svelato uno dei segreti del successo dal giovanissimo Federico -. La nostra volontà è quella di rimanere sempre fedeli al prodotto dando ai nostri clienti il massimo della qualità: non devono esserci compromessi, bisogna sempre seguire la tradizione.” Un’azienda relativamente giovane, che porta avanti i valori della famiglia, del territorio, della passione e della tradizione e che produce 180 diversi tipi di pasta. “Siamo arrivati oggi al quarto ampliamento – ci spiega Federico – dopo un’ascesa rapida e ricca di soddisfazioni: il nostro pastificio è il terzo più grande d’Italia con la sua superficie di 10 mila metri quadri e i suoi 68 dipendenti. L’Azienda è sempre stata pensata con il suo nome attuale perché la volontà di mio padre è sempre stata quella di dare importanza al territorio, un territorio che spesso ci penalizza ma che è anche uno dei valori aggiunti del nostro successo.” Tutti i dipendenti dell’Azienda sono del posto, anche se Federico non ci nasconde che “questa peculiarità, soprattutto due anni fa, è stata un “problema”. 36 dei nostri dipendenti il 30 ottobre del 2016 sono rimasti senza casa e si sono dovuti spostare lungo la costa – ci racconta Federico -. La struttura, che è antisismica, non ha subito danni, come hanno confermato i tre ingegneri che il 30 ottobre l’hanno visionata, ma abbiamo avuto dei “danni indiretti” come ad esempio la difficoltà per i nostri dipendenti di raggiungere il luogo di lavoro ogni giorno partendo dalla costa. Un momento di criticità che però ha rafforzato ancora di più la nostra famiglia: nessuno ha infatti fatto mancare il sostegno all’altro.” Proprio le risorse umane sono un altro degli ingredienti del successo de La Pasta di Camerino. “Il nostro intento è quello di far crescere e formare i nostri dipendenti che dimostrano di avere voglia di imparare – ci spiega Federico -. Sei persone sono alla produzione, sei al confezionamento e poi c’è lo stoccaggio.” La Pasta di Camerino rappresenta ciò che potremmo definire l’artigianato marchigiano e seleziona esclusivamente le delicate mani delle donne per trattare con cura i nidi della pasta all’uovo destinati al confezionamento. Una produzione giornaliera che si aggira sui 400 quintali e uno stabilimento capace di produrne 500. Uno dei principali vanti de La Pasta di Camerino è di utilizzare ingredienti 100% italiani e certificati. “La proporzione è di otto uova per ogni chilo di semola – spiega nel dettaglio Federico -. Dopo l’impasto, il tutto viene posizionato nella trafila di bronzo che determina il taglio della pasta e il tutto esce dalla parte in bronzo e in acciaio. I nostri macchinari inoltre si distinguono da quelli che ci sono normalmente in circolazione perché sono ideati e progettati da mio padre: chi meglio di lui sa cosa serve per fare un vero prodotto di qualità” sorride Federico. “Per quanto riguarda la pasta all’uovo invece, le uova e la semola vengono impastate per circa trenta minuti e poi una vite le spinge dall’impastatrice fino alla trafila in bronzo. La pasta qui viene poi assottigliata, grazie a un macchinario, e posizionata sui nidi (telai in legno) per poi essere messa in essiccazione che, in base ai formati, può durare dalle 28 alle 52 ore. Dopo l’essiccazione i macchinari prelevano i telai e li portano alle operatrici che procedono con il confezionamento.” Lo scorso anno la famiglia Maccari ha lanciato sul mercato anche una novità, la Pasta Hammurabi. “Il grano da cui prende il nome è un grano antico che per molto tempo è rimasto abbandonato – ci racconta Federico -. La sua storia parte dalla lontana Mesopotamia, il grano arriva poi in Sardegna e infine nelle Marche: il nostro è registrato a Taccoli, una piccola frazione di Camerino. Gli agricoltori di Taccoli, ricevono il grano dalla famiglia Maccari e lo seminano, lo raccolgono e lo macinano nei loro mulini: il che permette un controllo chiuso della filiera. Poi c’è la micronizzazione: la crusca viene quindi completamente polverizzata e dopo questo step il grano passa allo stabilimento de La Pasta di Camerino che lo lavora e lo mette sul mercato.” “Un grano per il quale ci sono voluti dieci anni di lavoro per riportarlo alla sua purezza, che ha indubbiamente un costo maggiore per la sua lavorazione ma che tiene conto di moltissime esigenze del mercato odierno – ci spiega Federico -. In primis l’alimentazione corretta e sana, anche visto il grande boom delle intolleranze; è inoltre un grano monococco e quindi ha una storia davvero antica ed è apprezzato, fin dai tempi della Mesopotamia appunto, per le sue proprietà nutrizionali; inoltre la pasta ha una cottura inferiore rispetto ai tempi normali, un’accortezza pensata proprio perché oggi, la vita di tutti i giorni, è sempre più frenetica e veloce.” Passione, materie prime 100% italiane, tradizione, unione, valore alle risorse umane e qualità: sono questi i principali ingredienti che, insieme a grano e uova, rendono La Pasta di Camerino leader in tutto il territorio nazionale (e non solo).
Il self-made man del turismo maceratese: dal Parco Hotel al Cosmopolitan, l'ascesa di Giuseppe Giustozzi (FOTO)
Il Gruppo Giustozzi è attivo da oltre quarant’anni nel settore del turismo e della ristorazione ed è diventato un'importante realtà maceratese conosciuta anche fuori dai confini regionali. Dalle cerimonie ai convegni, dalle cresime ai matrimoni, dai compleanni alle feste in generale, il Gruppo Giustozzi è leader nel settore e ha affidato alla meticolosa cura per i dettagli e alla qualità dei servizi il suo successo e la sua unicità. 108 camere, una palestra, una sala convegno, 270 posti auto. Questi sono solo alcuni numeri del Cosmopolitan, uno dei gioielli del Gruppo Giustozzi che, a oggi, conta 62 dipendenti. “Scegliere i nostri servizi – ci spiega Giuseppe, titolare del Gruppo – significa prediligere l’eleganza, la professionalità e la qualità, ma condividere al tempo stesso i valori di una famiglia che da anni offre alla propria clientela un raffinato connubio tra modernità e tradizione, sobrietà e raffinatezza, senza dimenticare il valore del territorio.” Giuseppe Giustozzi si diploma nel 1965 alla scuola alberghiera, dopo aver frequentato l’anno prima a Senigallia per poi spostarsi a Salerno. “Subito ho ricevuto la prima proposta di lavoro per il Grand Hotel Bellavista a Montecatini, dove ho iniziato facendo l’aiuto cucina – ci racconta Giuseppe -. Dopo due anni il mio maestro, lo chef Angelo Palombo, mi chiese se me la sentivo di fare il capo partita dei primi con il suo aiuto. Io accettai subito ma il suo aiuto durò davvero poco perché mi disse che ero molto più bravo da solo.” Dopo questa prima esperienza Giuseppe lavora poi per l’Hotel Cristallo di Cortina. Si susseguono tante stagioni dietro ai fornelli finché non arriva il momento del servizio militare. “Otto giorni dopo aver concluso la leva mi sono sposato e sono partito per il viaggio di nozze: anche in quell’occasione lavorai perché un mio carissimo amico chef mi chiese se potevo dargli una mano per un servizio e non mi tirai indietro” – ci spiega sorridendo Giuseppe. “Quando tornai decisi di avviare qualcosa di mio – spiega -. Nel 1978 chiesi al comune di Pollenza di poter gestire l’Hotel comunale e me lo affidarono per cinque anni, dopo i quali ho deciso di acquistarlo per 860 milioni, facendolo diventare il Parco Hotel. Dopo comprai il Recina Hotel a Montecassiano e infine il Cosmopolitan a Civitanova Marche. È sempre stato un crescendo di successi e di conquiste, dovute principalmente dal sacrificio e della passione." Giuseppe, nella gestione del suo "impero" è fedelmente affiancato dai figli Samuele e Luca e da sua moglie Orietta, che lui stesso definisce “il grande capo”. “Con il nostro catering, negli anni, abbiamo lavorato in ogni parte del mondo e per chiunque: America, Australia, Monaco e l’Italia intera – ci racconta Giuseppe -. Ho avuto l’onore di cucinare anche per il Papa e per vari Presidenti di Repubblica.” Non contento del grandissimo successo raggiunto il patron del Gruppo decide di cimentarsi in una nuova sfida. “Mi è balenata in testa l’idea di produrre le olive all’ascolana e insieme ai miei due soci, Marinangeli e Crocetti, abbiamo dato vita a CGM, una realtà leader nel settore dei fritti. Abbiamo viaggiato in tutto il mondo per far conoscere uno dei prodotti più unici della nostra regione: alcune volte è andata bene altre non proprio come volevamo. Ricordo quando portai una padella per friggere le olive al momento a New York: gli statunitensi hanno una cultura gastronomica diversa dalla nostra e rimasero diffidenti, presi e tornai a casa." “Se dovessi dare un consiglio ai giovani che oggi vogliono intraprendere questo lavoro? Sicuramente direi loro 'benvenuti', ma è importante avere la voglia di lavorare quando tutti gli altri si divertono: il lavoro della ristorazione e quello turistico, implicano molte rinunce e tantissimi sacrifici, ma possono regalare anche grandissime soddisfazioni, quelle che io ho avuto la fortuna di avere nella vita, partendo da zero e guadagnandomi tutto da solo” il consiglio di Giuseppe.
"Mantenere un forte legame con il territorio". La tenacia della Vernaccia di Serrapetrona DOC di Quacquarini (FOTO E VIDEO)
La sua unicità sta proprio nel territorio in cui nasce. Stiamo parlando della Vernaccia di Serrapetrona, il vino spumante rosso DOCG, denominazione di origine controllata e garantita. Un vino autoctono prodotto da uva nera che nasce, cresce e viene prodotto nelle splendide colline di Serrapetrona. Una storia lunga 61 anni quella della Vernaccia di Serrapetrona. A raccontarcela oggi è Mauro che, insieme ai fratelli Monica e Luca, porta avanti l’azienda che, partendo da un piccolo vitigno, è riuscita a raggiungere, con passione e qualità, altissime vette e riconoscimenti a livello internazionale. “La nostra storia nasce nel 1958, quando nostro padre Alberto, appena maggiorenne, decise di dedicare la sua vita alla Vernaccia di Serrapetrona – ci spiega Mauro -. Un vitigno, quello che produce la Vernaccia, che solo in questo territorio può trovare il suo habitat naturale. L’intento di nostro padre è sempre stato quello: valorizzare questa risorsa con convinzione e determinazione, nonostante le tante difficoltà e i tanti sacrifici iniziali che ha dovuto affrontare. Anni di sacrifici e di duro lavoro, fatto però di passione e amore per la nostra terra, proprio perché per lui, come per noi, c’è sempre stato un legame particolare con il luogo in cui siamo nati, un forte senso di appartenenza e di rispetto. Nostro padre e nostra madre ci hanno resi responsabili di questa importante “eredità” e abbiamo l’obbligo morale di averne cura, per loro, per noi e per il nostro territorio.” “Il nostro bisnonno ha aiutato mio padre con l’acquisto dei terreni, successivamente tutti vitati – ci spiega Mauro -. Lunghi anni di lavoro che vengono coronati da un importante traguardo nel 1971, quando la Vernaccia di Serrapetrona ottiene la certificazione DOC. Poi diciamo che è tutto un crescendo: nel 1989 nasce la Dolciaria Quacquarini perché io e i miei fratelli volevamo fare qualcosa di nuovo, di diverso, di nostro. Nel 2003 la Vernaccia ottiene la denominazione di origine controllata e garantita e nel 2011 nasce “La Palombina”, produzione di salumi con l’allevamento a Cessapalombo, in collaborazione con la famiglia Cossiri.” “Dare vita e portare avanti a un’azienda del genere a Serrapetrona, era da pazzi allora ed è da pazzi oggi – ci racconta Mauro -; per la logistica, per la viabilità, per le consegne, soprattutto nei periodi invernali. Ma la nostra famiglia ha sempre voluto mantenere saldo e forte il legame con il territorio di appartenenza: abbiamo voluto legare il nostro cognome a Serrapetrona. Poi c’è stato il sisma del 2016 che ha creato danni ingenti alla nostra Azienda, ma abbiamo saputo reagire e abbiamo deciso di andare avanti affrontando nuove sfide: non vogliamo assolutamente che questi territori vengano spopolati a differenza della volontà della politica regionale.” Nel 2017, Quacquarini, apre anche l’Emporio a Civitanova Marche, il primo punto vendita monomarchio dove è possibile degustare e acquistare tutti i loro prodotti. “La Vernaccia di Serrapetrona è unica nel mondo con le sue tre fermentazioni – ci spiega nel dettaglio Mauro -. Un prodotto fine, brillante, morbido e piacevole. Una produzione che richiede molto impegno, tante attrezzature e che attraversa delle fasi di produzione a rischio. La stessa importanza del riconoscimento DOC, sta nel fatto che è fondamentale seguire un disciplinare ben preciso, delle regole insomma, che conferiscono unicità al nostro prodotto.” L’Azienda Quacquarini infatti, può lavorare un massimo di 100 quintali per ettaro; il 40% della produzione deve rimanere in appassimento e i vitigni devono rimanere tra la vallata del Chienti sud e il Potenza a nord, oltre a non superare l’altitudine di 700 metri sopra al livello del mare. Ma quali sono le varie fasi di produzione della Vernaccia di Serrapetrona? “Si va in vigna, che è tutta certificata bio, e da lì si gestisce tutta la produzione – ci spiega nel dettaglio Mauro -. Si selezionano i migliori grappoli, che poi vanno in appassimento per due o tre mesi. Quella che resta invece, viene pigiata e va in fermentazione. Verso dicembre/gennaio, il mosto si aggiunge all’uva in appassimento e si fa un rigoverno: il vino viene quindi pulito con decantazione naturale e poi va in autoclave, secondo il metodo Martinetti. Poi passano circa sette/nove mesi di spumantizzazione che vanno a definire la Vernaccia brut o dolce: più infatti fermenta e più si riduce il rischio zuccherino.” Dunque la vera e propria preparazione della Vernaccia di Serrapetrona, impiega circa 19 mesi, che si aggiungono all’affinamento in bottiglia. Una produzione, quella dell’Azienda Quacquarini, che si aggira intorno alle 120/140 mila bottiglie all’anno complessivamente, con un export estero del 15%. Un unicum del territorio maceratese che è stato riconosciuto a livello internazionale, essendo stato inserito tra i primi 15 vini al mondo in assoluto nel 2018 dal “Glass of Bubbly”: la Vernaccia di Serrapetrona infatti, seconda solo a uno Champagne francese, si è aggiudicata il secondo gradino del podio.
454 anni di storia incastonati nelle colline di Cingoli: la lunga tradizione del Mulino Bravi (FOTO E VIDEO)
Una storia lunga quasi 500 anni, per l’esattezza 454. Una tradizione che si tramanda di padre in figlio da circa dieci generazioni quella del Mulino Bravi che affonda le sue radici nel 1565. Farina buona e di qualità, condizioni che dipendono esclusivamente dall’accurata selezione delle materie prime, rigorosamente biologiche e provenienti dal territorio circostante. Una produzione a impatto ambientale pari allo zero che si sostenta grazie all’instancabile lavoro dell’acqua e alla qualità della macinazione a pietra. La famiglia Bravi ha fatto della preziosità dell’acqua la sua fonte di sostentamento e il suo motore di lavoro. Incastonato tra le montagne di Cingoli, in via Valcarecce, sorge il Mulino, emblema di tradizione, sacrificio e genuinità. Oggi nelle mani dei fratelli Francesco, Andrea e Ubaldo dopo che, dieci anni fa, è venuto a mancare il loro padre. Il Mulino Bravi, soprattutto durante i periodi di guerra, è stato un punto di riferimento per l’intero territorio. “Il Mulino è stato gestito quasi sempre dalla nostra famiglia per tutti i 454 anni – ci racconta Andrea -. Solo tra il 1856 e il 1970 era stato acquistato da un noto industriale dello Stato Pontificio, anche se comunque la gestione era sempre affidata alla mia famiglia. L’acqua che alimenta oggi il Mulino Bravi, in passato dava linfa vitale a molte altre attività: il bacino era in grado di far funzionare anche la vicina segheria, il frantoio e la fabbrica di polveri di sparo, oggi tutti chiusi.” Il Mulino Bravi è composto da tre macine: una per il grano tenero, per il grano duro, per il farro e per l’orzo biologico; la seconda per il mais biologico e la terza per il mais convenzionale. Ogni blocco è composto dal proprio meccanismo manuale: le due pietre all’interno delle macine, quando vengono azionate, si alzano e si abbassano per regolare la granulosità della farina. “L’acqua arriva, in modo naturale, dalle cascatelle di Cingoli – ci spiegano Andrea e Francesco -: a circa un chilometro a monte si collega il canale che arriva direttamente al Mulino con un bacino di raccolta profondo circa 5 metri. Il bacino di carico, quando viene aperto, dà pressione alle pale e le aziona facendole girare. Azionando la paratoia poi, vediamo che la macina mobile inizia a girare e manda giù il prodotto. Le pietre compiono circa 100 giri al minuto e da lì esce la farina che noi definiamo “a tutto corpo” – continuano i due fratelli -. I bassi giri delle macine e la stessa macinazione a pietra, consentono di non surriscaldare la farina e mantenere intatte tutte le proprietà organolettiche del grano, che ci viene fornito da produttori locali certificati biologicamente. Dopo questa operazione la farina passa nell’impianto di setacciatura e qui viene depurata di una piccola parte di crusca, circa il 4 %.” “Questo tipo di lavorazione – continuano Francesco e Andrea -, permette di garantire l’integrità del prodotto stesso, cosa che non avviene nella normale macinazione industriale in quanto, in quel caso, vengono esportate a monte sia il germe sia la crusca. Una differenza qualitativa enorme: la farina macinata a pietra non è assolutamente paragonabile alla farina doppio 0, sia come profumo, sia come qualità." La produzione è variabile in base ai periodo dell’anno, anche se il Mulino è in grado di lavorare un quintale e mezzo di prodotto ogni ora. “Un lavoro fatto di molto sacrificio e impegno ma che, se fatto di passione, diventa il più bello del mondo” sono concordi i fratelli Bravi sull’importanza di una tradizione che si tramanda da 454 anni e che ha raggiunto il mercato italiano ed estero, diventando un unicum a livello nazionale.
Qualità e passione. In attesa di spegnere le 50 candeline Monterotti si racconta (FOTO)
Passione, amore, dedizione e sacrificio. Queste qualità riassumono Fabrizio Monterotti che, nel 1970, ha fondato l’Azienda di Sarnano che prende il suo nome. Un cammino lungo mezzo secolo e Fabrizio, insieme alla sua famiglia, si sta preparando a spegnere le 50 candeline con una grandissima sorpresa per tutti i suoi clienti, una sorpresa che però, per scaramanzia, preferisce ancora non svelare. Un’azienda a conduzione familiare, in cui Fabrizio, sua moglie e le figlie Katia e Genny hanno investito tutto il loro tempo e la loro passione. Il Salumificio Monterotti, sinonimo di garanzia e professionalità, è specializzato da anni nella produzione di salumi derivanti dai suini allevati nelle incontaminate terre dell’entroterra marchigiano, tutti caratterizzati da un’ottima qualità. “Quando ero giovane sono andato in macelleria per imparare il lavoro e da lì è iniziato tutto – ci ha raccontato Fabrizio -. La nostra attività è partita da un furgoncino. La strada è stata lunga e fatta di sacrifici e di duro lavoro: di notte lavoravamo per preparare i prodotti che avremmo portato in giro il giorno dopo. Con il ricavato delle vendite abbiamo poi costruito l’Azienda.” Monterotti conta, a oggi, 18 dipendenti e lavora principalmente con allevatori maceratesi. “Dai piccoli contadini della provincia e dai piccoli allevamenti prendiamo i maiali e poi, tutte le fasi di lavorazione, si svolgono in Azienda – ci spiega Fabrizio -. La macellazione viene fatta al mattatoio di Sarnano poi la carne viene portata qui. Il lunedì si fa il selezionamento, il martedì la rifilatura dei pezzi di carne e poi si procede alla lavorazione. Produciamo all’incirca 2.500 quintali di maiale all’anno. In questo periodo, dopo la grande lavorazione che ci ha impegnato per il periodo natalizio, stiamo lavorando per la distribuzione di Pasqua, finita questa penseremo al Ferragosto: sono questi i tre momenti principali che scandiscono l’anno.” L’Azienda Monterotti serve tutta la Regione. “Da Numana a San Benedetto consegniamo settimanalmente in tutte Marche. Abbiamo poi, oltre ai due punti vendita di Sarnano e al truck, un negozio a Brescia, uno in Toscana e uno nella Città del Vaticano.” “L’obiettivo è quello di fare un prodotto naturale da offrire al mercato cercando sempre di perfezionarlo – continua Fabrizio -. La nostra soddisfazione è di essere riusciti a dare vita a insaccati naturali e bilanciati: è importante che non si senta, in modo “prepotente”, il sapore delle spezie quando si mangia un insaccato. Il cliente vuole sentire il profumo della buona carne, delle materie prime: noi siamo riusciti a raggiungere questo risultato.” Salumi naturali quindi, senza zuccheri, senza additivi, con una stagionatura naturale fatta, come una volta, con il camino a legna. Si va da un mese di stagionatura, necessaria per il ciauscolo, ai circa 19 mesi per il prosciutto. “Perché è il tempo, dettato dalla natura, che fa un buon prodotto e che conferisce quei sapori che la tecnologia non potrà mai avvicinare” – ci spiega il titolare. La stagionatura rimane una delle fasi fondamentali per ottenere un prodotto eccellente e genuino. Monterotti utilizza esclusivamente procedure semplici e artigianali, con l’ausilio del caminetto classico alimentato con legna di essenza di bosco dei Sibillini, selezionata con estrema cura e di cui seguono direttamente l’essiccazione in ambienti asciutti e privi di muffe e odori arieggiati. Porchetta, mortadella, ciauscolo IGP, prosciutto, capocollo, salame lardellato e non e moltissimi altro. Il salumificio Monterotti offre una grandissima varietà di prodotti, prodotti riconosciuti a livello nazionale. “Abbiamo ricevuto un premio del settore gastronomia con il Conad per la nostra porchetta. Nell’edizione 2010 di CremonaFiera il nostro salame artigianale è arrivato primo e l’anno scorso siamo stati premiati al Concorso del Salame Italiano d’Eccellenza come azienda produttrice del miglior salame spalmabile. Il nostro ciauscolo IGP ha infatti trionfato nell’ambito dell’evento “Pepe e sale” svoltosi a novembre a Sovicille, in provincia di Siena.” Avere l’onore di poter assistere alle varie fasi di lavorazione dell’Azienda Monterotti, oltre ad assaporare il buon profumo delle materie prime che si respira nei locali della stagionatura, permette di toccare con mano la passione e la dedizione che Fabrizio e la sua famiglia mettono nel loro lavoro. Una passione che, il prossimo anno, farà spegnere le 50 candeline all’Azienda con una sorpresa che, state certi, vi annunceremo prestissimo in anteprima.