La politica italiana al tempo di Tik Tok. Ovvero, leader a caccia di voti tra i giovani (prendendoli in giro)
Carlo Calenda, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi. Sono i tre nomi che hanno segnato il corso di quest’ultima settimana, quella che di fatto ha aperto ai 30 giorni finali prima delle elezioni del 25 settembre. Tre nomi per tre persone con altrettante storie diverse, il cui comun denomitore dal 29 agosto è uno solo: Tik Tok.
La piattaforma ByteDance è diventato improvvisamente il social network più ambito di questa campagna elettorale, forse perché a maggio 2022 il numero di italiani registrati è stato di circa 16 mln (il 76% in più rispetto all’anno precedente). Una cifra importante, se si considera che quasi 1/3 è costituito dai giovani, solitamente avezzi all’uso di Tik Tok per condividere contenuti, dai più leggeri (balletti, tutorial) ai più impegnati (idee, consigli, riflessioni).
Si potrebbe riassumere questa sorta di nuova declinazione della politica nostrana con la ben nota massima - spesso erroneamente attribuita a Niccolò Macchiavelli - per cui “il fine giustifica i mezzi”. Ma qual è esattamente questo fine? Coinvolgere i giovani come se da loro dipendesse il futuro dell’Italia? Rispolverare la facciata di una politica vecchia e stantia? Non è chiaro.
C’è da dire che, in anticipo sugli altri, il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle erano già approdati nelle scorse settimane sulla nota piattaforma digitale: ma il lato grottesco dell’intera faccenda è che, mentre questi ultimi hanno preferito insistere con una comunicazione più dal taglio istituzionale e fissata sugli argomenti pregnanti del loro programma (Alessandro Zan che parla dei diritti civili o Giuseppe Conte della legge Salvamare), i nuovi arrivati sono sembrati più preoccupati di tener fede alla loro maschera carnevalesca di cera.
Ecco allora un Berlusconi ricorrere al vecchio espediente delle barzellette in posa da televendita e al proprio sorriso smagliante "copyright 1994"; un Matteo Salvini che da 'solerte genitore' bacchetta i ragazzi sull’uso delle droghe ("la cannabis è merda, la droga è morte”) o un Renzi che snocciola il proprio curriculum - da capo clan boyscout a presidente del Consiglio nel 2014 - con simpatia e fresca verve giocando fra il suo pseudo inglese e il corsivo di Elisa Esposito, rispetto a un Calenda più impacciato e in cerca di credibilità con un “non so ballare, sembro un orso ubriaco”. Di fronte a questa sostanziale deriva, è quasi inevitabile non lasciar trasparire dai cellulari una generale presa per i fondelli nei confronti di quei 5 mln di giovani iscritti di cui sopra.
Del resto, anche Enrico Letta lo aveva asserito nelle ultime ore - “Tik Tok è una cosa seria” - facendo quasi da èco a una Giorgia Meloni che nel suo sostenuto esordio telematico si era affidata all'evergreen “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana”. Questo prima di deviare su temi che finora hanno spaziato dagli animali domestici allo sport come soluzione alle devianze giovanili (bypassando completamente i punti più controversi del programma di Fratelli d'Italia: scuola, lavoro, legge 194).
Un vero e proprio esodo, dunque, quello dei partiti e dei loro leader, che però non sembra tener conto del pensiero reale dei ragazzi: e cioè che dei politici, a loro, non gliene frega proprio nulla. Li vedono e "skippano". Al massimo, si divertono a definirli cringe, boomer, o a prenderli in giro come fanno già gli adulti. Forse, allora, la chiave della credibilità oggi si nasconde dietro la megalomania di questi neo influencer: quella di lasciare che i giovani esprimano le loro idee rispetto alla politica nostrana, raccontino delle loro aspettative e desideri, o di ciò che li spaventa maggiormente. Insomma, meno video e più attenzione all’ascolto: a quel punto, qualcosa è possibile che cambi anche per noi.
(foto: ANSA)
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