L’Italia s’è destra, ma la sinistra faccia la sinistra e non segua le sirene degli "ismi" e degli "anti"
Non sono medico, altrimenti sarei stato reclutato in qualche Pronto Soccorso per riempire buchi che recenti Governi distratti hanno provocato nella Sanità pubblica (esse maiuscola) e Regioni virtuose, come le Marche, stanno ponendo rimedio con grande competenza e celerità. Prendo in prestito, però, la matrice della parola “medico” per traslarla in quella più riflessiva della “meditazione”, termine di cartesiana memoria.
Allora medito su ciò che accade in "un’estate al male", un male atavico che s’impadronisce ogni volta che nelle elezioni i sondaggi danno la destra in vantaggio, non una novità ma neanche una consuetudine se non degli ultimi periodi. Siamo agli inizi, si parla di nomi, aspiranti candidati, chi ce la può fare e chi no, di sondaggi e di cosa succederà se si vince o si perde.
Ma non si parla di una cosa fondamentale, soprattutto se si pensi che andrà a votare solo un italiano su due: di strategia e del suo fascino di attrarre gli elettori a partecipare alla competizione elettorale e scegliere chi li dovrà rappresentare a Roma.
Il Partito Democratico, sempre per restare nella metafora medica, è afflitto da un disturbo ossessivo compulsivo che, come recitano i manuali, è caratterizzato da pensieri, immagini o impulsi ricorrenti che innescano ansia e disgusto, obbligano ad attuare azioni ripetitive materiali o mentali per tranquillizzarsi. E il pensiero ricorrente e ripetitivo è lo spauracchio degli “-ismi”: fascismi, sovranismi, populismi.
La chiamata alle armi di Letta & C. è quella contro i fantasmi di un passato che non passa, ma solo nella testa di chi su questo passato ha costruito fortune, carriere e rendite di posizione negli apparati pubblici dello Stato e nelle amministrazioni locali, e teme di perdere privilegi e diritti acquisiti.
Mi riferisco a quella sinistra dei salotti romani e degli uffici d’acciaio milanesi, impegnata quotidianamente tra uno spritz e uno shottino, in una linea retta immaginaria tra il quartiere Parioli e la city del capoluogo lombardo, passando per le redazioni (ancora e sempre prone) dei grandi gruppi editoriali romano-milanesi.
Tutti luoghi ben lontani da quelli che dovrebbero essere frequentati da una sinistra che sia autenticamente “di popolo”, ma non la brutta copia di una Giovanna d’Arco dei poteri forti. Lo ammetto, “poteri forti” è una definizione ultragenerica, ma ho voluto riproporla perché tutti la citano a vanvera ed è per questo che lo faccio volutamente anch’io anche se non so chi siano questi poteri, dove vivano e di cosa vivano.
So solo, però, che non fanno i miei interessi, né quelli del Paese (Nazione). E questo basti. Degno rappresentante di questa accozzaglia di elementi tossici per la democrazia è, a titolo esemplificativo, un tale Berizzi, dispensatore d’inchiostro sul quotidiano La Repubblica, una penna che, dopo lo sciagurato raid di Luca Traini, disegnò Macerata “Laboratorio del terrore”, guadagnandosi immeritatamente una prima pagina che, per tutti i maceratesi di buon senso e perbene, griderebbe da sola vendetta, a sostegno di chi ha vissuto (prima) la tragedia di Pamela Mastropietro.
Questi umili servitori di un conservatorismo che più puro non c’è, abilissimi a spacciarsi per difensori di un neoprogressismo del Terzo Millennio, salvo poi fare fortune con la vendita di libri -anti, hanno iniziato a scatenare quella macchina del fango contro una destra quasi involontariamente maggioritaria nel Paese (anzi, nella Nazione).
Una reazione che evidenzia la povertà di argomenti a supporto di un progressismo a parole (vuote), a sostegno dei più deboli, delle famiglie in difficoltà, dei giovani costretti ad emigrare, dei lavoratori ultracinquantenni che rischiano di uscire dal mondo del lavoro senza la possibilità di rientrarvi, delle aziende a rischio fallimento, dei pensionati da compensi a fame.
Una reazione che evidenzia l’inadeguatezza della sinistra che non c’è, stile isola di Peter Pan, incapace di affrontare i grandi temi internazionali, dall’inflazione alla guerra, dalla crisi energetica a quella ambientale, dall’immigrazione selvaggia al calo demografico fino allo spopolamento dei comuni dei territori interni.
Una sinistra allo stremo, prigioniera del suo voler essere sempre protagonista anche se in film di seconda fascia alla Alvaro Vitali, incapace di sollevare fierezza nei suoi militanti più fedeli ed autentici, quelli che mangiavano pane e progressismo ogni giorno, anziani e donne che si rimboccano ancora le maniche ad ogni Festival dell’Unità e sono sempre meno convinti che prima o poi “Adda veni Baffone”.
Per battere le “maledette” destre c’è bisogno di ben altro che reclutare 100mila giovani sul territorio (genialata demenziale di Letta & C.), una sorta di levata alle armi che se fosse stata promossa da qualcun altro (immaginate chi) avrebbe suonato come un’adunata fascista di figli della lupa e neo balilla, proprio nel centenario della marcia su Roma.
Il nostro Paese (Nazione) non merita questa sinistra allo stremo, prigioniera degli "–ismi" e sempre "–anti" qualcuno e qualcosa, una sinistra finalista nel campionato mondiale di arrampicamento sugli specchi, incapace di rigenerarsi e muovere il sentimento profondo dei veri progressisti, di coloro che credono ancora nella giustizia sociale, nella creazione di pari opportunità per tutti, nella meritocrazia, in quell’ascensore sociale che da tempo si è bloccato ai piani inferiori, quando ci dicevano che il successo era figlio del male e che bisognava affibbiare un “6 politico” a tutta la nostra vita.
La destra che verrà, verrà perché ha saputo interpretare al meglio queste aspirazioni, è stato destra di popolo e fedele agli ideali democratici e liberali, azzarderei anche agli ideali socialisti, nel significato più autentico del termine.
L’augurio, che però non esorcizza il timore, è che in questa campagna elettorale estiva la sinistra sia all’altezza delle sue tradizioni e dei suoi valori fondativi, sia forte e ferma nelle sue idee e non divenga succube di una strategia "-anti" a tutti i costi, che avrebbe come risultato il rafforzamento dell’avversario, senza poter produrre effetti concreti sul benessere e la vita di tutti noi. Si perda, ma almeno non si rinneghi ciò che si è, si è stati e si lavori per essere ancora in futuro.
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