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EDITORIALE - La cipria e la fiamma tricolore: la doppia morale degli eredi di Aldo Moro

EDITORIALE - La cipria e la fiamma tricolore: la doppia morale degli eredi di Aldo Moro

Il Letta che non ti aspetti, lo spilungone che passa con leggerezza dallo stile british al 'misogino per caso'. La Meloni che si dichiara pronta a governare ma chiede il lasciapassare agli scettici d’Oltralpe, a quegli euro-raccomandati che sobbalzano sulle loro poltrone ad ogni ombra di novità all’orizzonte.

Campagna elettorale italiana che facciamo fatica a capire noi italiani, figuriamoci gli altri. Eppure qualche vecchio vizio italico emerge e non dovrebbe stupirci. Partiamo da Letta.

Alzi la mano chi tra gli ex Dc e gli ex Pci s’identifica con la linea politica di questo eccellente “maestro d’accordi”, come possono testimoniare il Renzi dell’Enricostaisereno prima e Calenda sbaciucchione voltagabbana poi.

Inutili e ridicoli i suoi atteggiamenti belligeranti, consumati troppo presto nello scomposto “Meloni si sta incipriando”, che non appartengono al suo stile passivo, remissivo e accomodante, ma ad un rozzo appassionato di battute da bar sport con a fianco una cariatide cambia-giacchetta come Emma Bonino.

Le donne di sinistra, Bonino in primis, non hanno pensato nemmeno un istante a scendere in piazza contro una scivolata misogina di uno che dovrebbe essere leader progressista, ma che ambisce a collezionare sconfitte e figuracce dal peggior conservatore che si possa immaginare.

Eppure a parti invertite, anzi a morali invertite, avremmo assistito a ben altro che a qualche timido botta e risposta su giornali e tv. Nelle Marche, chi, come il PD, vorrebbe candidare a Roma un ex pugile-Sindaco, tale Valerio Lucciarini di Offida, che prese a schiaffi una donna durante una manifestazione pubblica, non può ostentare, a piacimento e fedele alla doppia morale di cui sopra, la sempre più esile foglia di fico della parità di genere o della lotta contro la violenza sulle donne.

Dalla cipria alla fiamma la musica non cambia.I 'soloni' della sinistra chiedono l’inginocchiamento simbolico della probabile futura premier Giorgia Meloni, invitandola a cancellare dal simbolo del suo partito la Fiamma di "destronze" memorie. Siamo nella patologia politica più seria che si possa pensare.

Già il leader carismatico Almirante decise di sostituire gli scomodi simboli fascisti con la fiamma, per garantire quella discontinuità con il passato recentissimo, ma che ancora alla DC di allora faceva molto comodo nel pieno delle Guerra Fredda. Poi qualcuno gli fece notare che il trapezio alla base della fiamma poteva rappresentare la bara di Mussolini e far intendere che il Duce fosse immortale, come appunto la fiamma ardente.

Adesso c’è chi, come l’intoccabile senatrice a vita Segre, chiede di disfarsi della fiamma, quasi fosse un’esperta di simbologia politica, salvo poi accoppiarsi con la signorina del 'www' Chiara Ferragni per chissà quale sciatta operazione di marketing populista e straccione. Di questo passo si chiederà di disfarsi anche della Meloni?

Un segno evidente del degrado che imperversa sul dibattito politico tra perdenti di successo (Pd e loro macchiette di contorno) e vincenti dell’ultima ora (della serie “scusate se ho vinto per merito vostro, ma devo governare una Nazione in ginocchio”).

Questa doppia morale targata Pd infastidisce e grida vendetta, ma il centro destra non può cadere nella trappola dell’inginocchiamento ad oltranza. Chi attacca l’avversario politico utilizzando, ingenuamente o no, frasi misogine.

Chi attacca l’avversario elevandosi a professore con la cattedra di etica, chiedendo non solo l’abiura ma anche la cancellazione di simboli "equivoci". Chi s’appella ancora all’assenza di verginità morale, nonostante avesse fino a pochi anni fa l’impronta della falce e martello sulla pelle, e sulla coscienza 22 milioni di morti che, brandendo quella sinistra simbologia, il loro mito Stalin causò nel più completo silenzio dei benpensanti, oggi panciuti professionisti che vivono in appartamenti ai Parioli e dintorni.

Chi è tutto (o parte) di questo, non può continuare a fare la morale a chi è già proiettato verso una dimensione post-ideologica, quel centro-destra che è l’anima e il cuore pulsante dell’Italia progressista che vuole ridurre le diseguaglianze sociali, tifa per il merito, lotta per il futuro dei giovani e il benessere di quelle classi medio basse che la sinistra di Prodi e compagni ha indebolito e reso schiava di banche e debiti verso uno Stato che tutela solo privilegi e protetti.

Per questo centro destra sarà più facile vincere il 25 settembre che vincere l’eterna sfida contro i falsi progressisti, contro quelli che ancora credono alla taumaturgia dei simboli, alle alleanze spartitorie da primissima Repubblica, ai vitalizi dopo qualche annetto passato a schiacciare pulsanti in Parlamento. Quelli che credono molto meno all’Italia e al futuro degli italiani, soprattutto di quelli che ancora s’illudono di rappresentare ma che li hanno abbandonato da tempo immemore.

Converrebbe spegnere i riflettori su tutto ciò. Perché, si sa, come dicevano gli antichi poeti "sublata lucerna nullum discrimen inter mulieres", tradotto "a luce spenta tutte le donne sono uguali". Ma i politici?

 

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