Puntuale come un orologio elvetico, anche quest'anno vi è il festival della canzone italiana di Sanremo. Come ogni anno, il sottoscritto ha trascorso altrimenti il suo tempo, nella fattispecie leggendo di filosofia. Il festival della canzone di Sanremo rappresenta il non plus ultra della distrazione di massa cara al potere.
La variante postmoderna del panem et circenses dei romani. Divertimento nell'accezione sottolineata da Pascal nei suoi "Pensieri": se devertere, distrarsi rispetto alla realtà e alle sue contraddizioni, ai suoi traumi e ai suoi conflitti.
Per un'intera settimana, gli strateghi del consenso e i padroni del discorso possono tirare il fiato, poiché i problemi reali del mondo contraddittorio di cui siamo abitatori resteranno integralmente fuori dai radar. Perché, si sa, nella civiltà dello spettacolo è ciò che appare. E nulla esiste se non ciò che appare.
Oltre a questa funzione, ve ne è un'altra svolta da Sanremo: la diffusione a tambur battente del pensiero unico di glorificazione dei rapporti di forza della globalizzazione neoliberale.
Una grande ortopedizzazione di massa volta a far sì che gli internati dell'antro platonico amino le proprie catene e si educhino a comprendere la splendente razionalità di ciò che quotidianamente li fa soffrire: celebrazione della globalizzazione e dei suoi stili di vita, dissacrazione del sacro e santificazione dell'eroticamente corretto pansessualista e deregolamentato.
Insomma un poderoso dispositivo di imposizione mediatica delle categorie mentali e psicologiche funzionali allo status quo. Sul palco di Sanremo il musicalmente corretto e il politicamente corretto si intrecciano senza soluzione di continuità. Per un verso, si registra il più mortificante conformismo all'insegna della dissacrazione del sacro e della celebrazione della postura liberal-progressista, a tal punto che si potrebbe ragionevolmente asserire che ormai Sanremo, più che un festival della canzone, figura come un palcoscenico di ostentazione e di propagazione dei moduli del pensiero unico politicamente corretto di completamento del nuovo ordine mondiale turbocapitalistico.
Per un altro verso, domina incontrastato il musicalmente corretto: canzoni per lo più orrende, vacue, coerenti con la civiltà che ha innalzato il nulla a proprio orizzonte. La morte dell'arte è il tratto che caratterizza il festival di Sanremo, con la sua mediocrità elevata a stile, con la sua superficialità innalzata a paradigma.
Quest'anno peraltro ha preso parte alla rassegna anche Bergoglio, che ha inviato un video messaggio da diffondere durante la kermesse culturale. Una volta di più, Bergoglio si conferma a suo agio più nei salotti televisivi che in chiesa, figurando ormai sotto ogni profilo come un caposaldo del pensiero unico politicamente e teologicamente corretto.
Senza mai parlare di Dio e del Sacro, Bergoglio non fa che ribadire i punti salienti del pensiero unico: quella che propone è una fede low cost, tale per cui il buon cristiano è ormai indistinguibile dal buon consumatore. Insomma, Sanremo è davvero il tempio della dominazione simbolica del padronato cosmopolitico.
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