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Cabernardi, alla riscoperta della miniera di zolfo più estesa d'Europa: una storia marchigiana

Cabernardi, alla riscoperta della miniera di zolfo più estesa d'Europa: una storia marchigiana

"Siamo nella più profonda ed estesa miniera di zolfo di Europa. Qui si viene a cercare la materia prima dell’acido solforico, prodotto base dell’industria chimica. Qui la Montecatini viene a cercare l’oro che lo zolfo ricorda anche nel colore, sebbene con un tono più livido".

Queste sono le parole con cui il poeta Gianni Rodari, nel reportage del 1952 "Viaggio sulla terra dei sepolti vivi", descrive la Miniera di Cabernardi, in provincia di Ancona.

Non tutti sanno che oggi in questa frazione di Sassoferrato è possibile inoltrarsi in una passeggiata tra quelli che sono diventati i resti, le ossature di un’archeologia mineraria e industriale che, per circa settant’anni, ha ridefinito il paesaggio fisico e sociale di quest’area. Qui, la suggestione estetica data dalle architetture superstiti si unisce a una presa di coscienza rispetto a un passato economico imperniato sull’attività di estrazione mineraria (zolfo, oro, ferro, carbone) che ha segnato profondamente - e anche drammaticamente - la storia di tutta l’Italia.

Una volta giunti a Cabernardi, la segnaletica annuncia immediatamente la sua identità fondante con la scritta “Benvenuti nel paese dello Zolfo” su uno sfondo giallo che ricorda appunto quello del cosiddetto "oro dei folli". Proseguendo a piedi, l’assetto urbanistico parla, tuttora, di una trascorsa vita sociale e famigliare scandita dal lavoro nel distretto minerario: un piccolo paese fatto di case, ognuna col suo lotto di terra, costruite lungo la strada principale che unisce la miniera di Cabernardi al nucleo antico del paese. Sempre lungo questa via, all’interno delle vecchie scuole elementari, che erano destinate ai figli e alle figlie dei minatori, oggi c’è la sede del "Museo della miniera di zolfo di Cabernardi".

Qui, è possibile acquistare il biglietto per il sito archeo minerario e per l’esposizione permanente, allestita all’interno del museo, con le sue preziose testimonianze fatte di documenti fotografici, articoli di giornale, oggetti del lavoro e di un originale percorso audiovisivo volto a restituire un’idea di quella che poteva essere la vita dei lavoratori.

Venendo alla storia della Miniera di Cabernardi, la scoperta del giacimento di zolfo avvenne verso la fine dell’Ottocento, quando ci si accorse che le giovenche della zona non si abbeveravano più dal corso d’acqua il quale si era tinto di un colore giallognolo ed emanava un forte odore. Dopodiché, intorno al 1870, iniziarono i primi sondaggi e nel 1886 venne ufficialmente aperta la miniera di Cabernardi. Successivamente fu acquistata dalla ditta Trezza-Albani; un passaggio di proprietà che implicò anche un aumento dei lavoratori i quali dai 200 iniziali arrivarono a ben 300.

Una svolta decisiva avvenne con l’acquisto da parte della Montecatini nel 1917 che impresse un’importante innovazione sia in termini di modalità estrattive, sia per quanto concerneva l’organizzazione del lavoro e le condizioni di vita dei lavoratori, non ultimo il paesaggio circostante.

A tal riguardo il percorso attuale all’interno del sito archeo minerario offre la possibilità di osservare da vicino proprio le strutture che testimoniano queste innovazioni. Si può vedere il pozzo "Donegani", dove i minatori scendevano nelle profondità della terra, a oltre 460 mt., per raggiungere le ampie gallerie che si snodavano sotto la superficie.

Si può tuttora osservare la centrale termica e i "calcaroni", dei forni caratterizzati da grandi vasche dove si depositava il materiale grezzo estratto dalle miniere. Qui, grazie a un processo di combustione, lo zolfo veniva separato e raccolto in forma liquida. Si possono inoltre ammirare i cosiddetti forni "Gill", delle strutture in muratura più moderne dei calcaroni, che svolgevano la stessa funzione con una tecnologia più avanzata. Inoltre, si può percorrere una galleria che collega i forni e i calcaroni.

Attraverso uno slancio immaginativo e i documenti fotografici, consultabili grazie al lavoro di archivio che gli addetti al museo hanno compiuto nel corso degli anni, è possibile conoscere la conformazione del paesaggio all’epoca: uno scenario lunare, a tratti avernale, tra una coltre di fumo densa e mefitica e continui rumori metallici di sottofondo. 

Riprendendo il filo del racconto circa la nascita e l’evoluzione della miniera, poco dopo, la società Montecatini dà inizio ai lavori per la costruzione del primo villaggio dormitorio destinato ai minatori presso la località di Cantarino, un villaggio eretto dal nulla, tutt’oggi abitato e visitabile, costituito da sei piccoli fabbricati ad un solo piano, divisi in quattro unità, ognuna composta da due stanze, con i bagni esterni in comune.

In seguito vennero eretti gli edifici più alti ai lati; l’ultimo ad essere costruito, nel 1929, è il "Palazzo": una casa che domina le piccole case sottostanti. Le tre vie principali (Corso Tomatis, Via Rostan, Via Boschetti) e la piazzetta (Piazza Mezzena) sono intitolate ai dirigenti della Montecatini. Una realtà che vale la pena di visitare, ammantata da un silenzio suggestivo che avvolge i visitatori e li proietta in un'atmosfera sospesa in una sorta di neorealismo atemporale e che, tuttavia, è carica di storia.

Tornando alla "fucina" dello zolfo, durante la Seconda Guerra Mondiale questo minerale, elemento base della polvere da sparo, divenne ricercatissimo e la miniera conobbe dunque un ulteriore incremento. Nei mesi iniziali del 1952 la manodopera occupata era di circa 1.400 operai con una produzione media di 870 tonnellate di minerale. Per avere un’idea effettiva di tutto il funzionamento della Miniera di Cabernardi e della vita dei minatori, si consiglia di vedere questo suggestivo video muto dell'epoca (1924), ideato dalla Montecatini stessa per pubblicizzare la Società. 

Nel dopoguerra, il calo di domanda dello zolfo, la minore disponibilità del minerale della miniera stessa e soprattutto la ricerca di soluzioni più economiche, come l’acquisto diretto dello zolfo dagli Stati Uniti, portarono la Montecatini ad un progressivo calo d’interesse del sito. Infatti, secondo il documento della Società Montecatini del 6 maggio 1952, le risorse minerarie erano in rapida diminuzione e si prevedeva così una netta diminuzione della produzione con la conseguente drastica riduzione del personale.

La scelta dell’azienda provocò grandi proteste da parte dei lavoratori sfociate in scioperi e nell’occupazione della miniera da parte di 337 minatori la sera del 28 maggio del 1952; mentre 176 lavoratori rimasero al 13° livello, 500 metri sottoterra, gli altri 161 vigilavano sulla superficie.

La lotta durò 40 giorni e il 5 luglio i minatori misero fine allo sciopero convinti di aver ottenuto un accordo con la Montecatini. Invece, tornati in superficie, vennero licenziati in tronco. Di lì a pochi anni, la Montecatini chiuse definitivamente i battenti smantellando tutto e calando un pesante sipario sulla vita di tutti gli abitanti, che era fatta sì di sofferenza e miseria ma anche di feste e divertimenti collettivi. Un lottare fino a mettere a repentaglio la propria vita per un lavoro logorante, spesso mortale eppure diventato ragione di vita, d'identità. 

Di quel periodo se ne occuparono i media nazionali e nel museo sono riportate le varie pagine dei giornali che denominarono la protesta “Lo sciopero dei sepolti vivi, dato che molti minatori rimasero per oltre un mese sottoterra, all’interno della miniera.

Non solo la stampa ma anche il cinema se ne occupò; in particolare Gillo Pontecorvo il quale, proprio a Cabernardi, girò il film "Pane e Zolfo" del 1956, che documenta la vita nelle miniere di zolfo delle Marche negli anni Cinquanta e la dura lotta sindacale dei minatori contro la Montecatini. Qui di seguito potete osservarne un frammento:

Dunque passeggiare per questi luoghi significa attraversare il residuale, il resto archeologico che non è l’incompleto ma è la traccia superstite di un vissuto storico ed esistenziale trascorso nel sottosuolo, che chiama la riscoperta. Significa discendere, attraverso uno scarto temporale, nelle viscere della terra, nei meandri rimossi di una coscienza collettiva e privata, per poi uscire a “riveder le stelle”. Visitare Cabernardi è un atto se non dovuto, necessario.

 

(Foto scattate da Girolamo Filippo Colonna / Foto di repertorio e dall'alto concesse dal Museo dello Zolfo di Cabernardi)

 

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