E chi se lo sarebbe aspettato che nel bel mezzo di una rappresentazione teatrale una spettatrice, poi rivelatasi attrice solo alla fine, venisse portata in scena e che un attore parlasse al pubblico come se fossero amici da una vita.
Succede anche questo nello spettacolo “Servo per due”, andato in scena al Teatro Lauro Rossi di Macerata il 4 e 5 gennaio.
Tratto dal rifacimento del noto commediografo inglese Richard Bean, riadattato nella versione italiana da Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Marit Nissen e Simonetta Solder, la commedia affonda le radici in un testo del 1745 “Il Servitore di due padroni” di Carlo Goldoni. Le scene sono di Luigi Ferrigno, i costumi di Alessandro Lai, le luci di Cesare Accetta e le coreografie di Fabrizio Angelini.
“Il tentativo è quello di riportare in scena un classico, rispettando gli schemi della commedia dell’arte, ma in cui il pubblico di oggi di tutte le età può riconoscersi”. Lo ha spiegato Pierfrancesco Favino, uno degli attori e autori dello spettacolo ieri pomeriggio presso la Civica Enoteca Maceratese Gente di Teatro, nell’incontro con i due cast che hanno lavorato insieme, la compagnia “Gli Ipocriti” e quella del “Gruppo Danny Rose”, in tutto ventisei attori, accompagnati in scena dai quattro musicisti di “Musica da Ripostiglio”, che hanno raccontato cosa si nasconde e come nasce uno spettacolo teatrale.
Quello che vedono gli spettatori nasce da una preparazione di cinque mesi e da un mix straordinario di più abilità. Sul palco i personaggi non sono solo semplici attori, ma anche acrobati che cadono dalle scale, sbattendo le porte, maschere che fanno battute a doppio senso, clown, ballerini e cantanti che interagiscono continuamente con il pubblico.
Siamo a Rimini, nel 1936 e un’umanità variegata e divertente ruota intorno all’inganno, all’amore, al cibo, al denaro, alle ambizioni e alla confusione più totale che dei semplici fraintendimenti possono causare nella vita di tutti i giorni.
Protagonista centrale del palco, intorno a cui ruota un’umanità esilarante e confusa, è Pippo, moderno Arlecchino, che ha appena perso il lavoro e si ritrova depresso, senza soldi e senza la possibilità di poter mangiare.
Cerca, come tanti giovani e disperati adulti nell’era della crisi, un lavoro, qualcosa con cui poter unire il pranzo con la cena. La fame di Pippo fa quasi venire voglia di mangiare al pubblico, la sua non è mai sola e semplice finzione.
La disperazione lo porta a lavorare contemporaneamente alle dipendenze di due diversi padroni. Uno è Rocco, un piccolo malvivente del nord, padre della sua fidanzata Clarice, l’altro è Lodovico, anch’egli noto malfattore. Due padroni significano più soldi, ma anche più responsabilità, più cose da ricordare, cercando di non confondersi tra gli ordini e le pretese di entrambi.
Il nostro Arlecchino riuscirà a perdersi tra le mille richieste dei due padroni, mostrando una comicità sorprendente e avvicinandosi al personaggio dello Zanni della Commedia dell’arte, un servitore non proprio astuto e agile, ma completamente ignorante e quasi incapace di formulare un concetto. La sua tardezza è incarnata dal movimento lemme e curvo verso il basso di Favino che fa magistralmente la parte del buffone, “che poi diventa Checco Zalone e passa attraverso Totò, Charlot, Buster Keaton e il tradizionale scemo di corte”, ha spiegato ieri pomeriggio l’attore all’incontro tra gli attori e la città.
Tuttavia, il vero protagonista di “Servo per due” è l’equivoco, quello che accade senza che noi ce ne rendiamo conto ogni giorno, quello creato per superare alcune situazioni nella vita, per vincere la realtà, perché spesso non riusciamo a interpretare correttamente ciò che ci circonda e siamo vittime inconsapevoli delle nostre stesse azioni.
In “Servo per due” tutto quello che lo spettatore non si aspetta di trovare a teatro succede. “Vogliamo restituire al pubblico il gesto dell’eccitazione di andare a teatro”: questo l’obiettivo rivelato ieri pomeriggio da Pierfrancesco Favino.
Per molti spettatori, per la prima volta il teatro diventa un luogo divertente, non solo un momento di riflessione e fruizione passiva, ma piuttosto qualcosa a cui partecipare in prima persona.
Pippo-Favino crea continuamente una connessione con lo spettatore, lo fa salire sul palco fisicamente o semplicemente con la risata, un moto liberatorio della mente che tesse un filo invisibile con gli attori in scena. Lo spettatore è quasi portato ad allungare lo sguardo e la mente oltre la rappresentazione, perché l’attore si rivolge direttamente a lui, esce in continuazione fuori dal personaggio, crea un legame con la quotidianità dello spettatore che è seduto in un teatro vero, nella realtà che conosce e non in quella rappresentata.
Il pubblico nei due giorni di “Servo per due” è stato magistralmente ingannato, proprio come i personaggi in scena. Un inganno divertente che nasce da una riflessione bonaria più che furba sulla nostra umanità. Siamo fragili, facilmente creduloni e infinitamente disorientati se gli schemi a cui siamo abituati, la vita è fuori e la finzione è dentro il teatro, improvvisamente saltano.
Cosa succede se la vita diventa finzione e il teatro quotidianità? Perdiamo le coordinate spazio temporali, ma anche quelle emotive, ci chiediamo dove siamo e chi è realmente la persona-attore che abbiamo di fronte. Insomma, ieri e l’altro ieri sera chi è andato a teatro ha visto davanti a sé il racconto divertente e scanzonato dell’umanità e la nostra assoluta difficolta di decifrare la realtà, che non è mai chiara, palese, interpretabile come le storie raccontate a teatro o al cinema e in cui ci rifugiamo per cercare risposte che nella vita di tutti i giorni si perdono nella complessità della realtà esterna, ma anche di quella della nostra mente.
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