“Al freddo ci siamo abituati, quando arriverà sapremo affrontarlo ma l’importante adesso è non andarsene da Visso” parla a ruota Alessandro Morani, 42 anni, il terremoto gli ha portato via la casa e il negozio di telefonia ma di spostarsi sulla costa non ne vuol sapere.
Lui è tra quelli che Visso non la lasceranno mai, gli appelli a spostarsi tutti sulle strutture ricettive della costa sono stati inutili “la transumanza delle persone è finita - ci dice convinto - ora ci siamo adattati all’interno di alcune roulotte quasi senza servizi, quindi chi di dovere si sbrighi a portar su prima i container e poi le casette di legno”.
Sono in tutto non più di 15 quelli che hanno declinato “l’invito obbligato del Governo” a trasferirsi al mare, la montagna ce l’hanno dentro, il rapporto con questa terra è fisico, rimangono quassù giorno e notte perché “c’è tantissimo da fare, nessuno come noi conosce queste zone, né i Vigili del Fuoco né l’Esercito. Poi non deve passare il messaggio che da qui vogliamo soltanto andarcene tutti e non tornare, un atteggiamento rinunciatario che rischia di far dilatare i tempi della ricostruzione, perché se tra dieci anni staremo ancora nelle casette di legno questa classe dirigente dovrà vergognarsi”.
Per entrare a Visso anche solo per vedere se una casa è ancora in piedi occorre prima registrarsi dai Vigili del Fuoco. Al massimo entrano cinque persone per volta, ad aspettare c’è anche Fabio Cerri il titolare della pasticceria Vissana. Alloggia in una struttura ricettiva a Civitanova, fino a sabato tutte le mattine alle 6:30 tornava quassù per riaprire e dare un minimo di assistenza ai ragazzi rimasti e ai volontari. “Dopo la scossa di domenica mattina , ci dice con rammarico - devo tenere chiuso, non ci voleva. Il bar era diventato quasi un punto di aggregazione per tutti, avevamo come la sensazione che il paese fosse ancora vivo nonostante tutto. Ora non c’è più niente”
Anche Fabio Cerri vorrebbe un container per riaprire l’attività e soprattutto per ridare un minimo di servizio alle tante persone che stanno lavorando tra le macerie di Visso.
In fila ad attendere per entrare nel borgo c’è Mirko Loretoni e la sua mamma. “Vengo su tutti i giorni – ci dice - mi hanno portato sulla costa ma la mia terra è questa. Io sono un non vedente, qui io avevo la mia mobilità e la mia autonomia perché col bastone bianco giravo Visso da capo a piedi. Sulla costa mi sento come carcerato. E’ inutile, è questa la mia terra”.
E’ l’ora di pranzo, i montanari si danno da fare. Un ragazzo prende sulle spalle due tavoli, un altro le sedie. L’acqua sta bollendo sopra ad un falò acceso dentro ad un barile. La resistenza passa anche attraverso le abitudini culinarie, tagliatelle oggi “al pesce noi preferiamo il tartufo, poi ovviamente ciauscolo, i prodotti della nostra terra”.
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