Sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito: quando si rischia la violenza privata
Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'Avvocato”.
Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa alla liceità dell’installazione di telecamere di sorveglianza al di fuori della propria abitazione.
Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da un lettore di Macerata che chiede: “Posso andare incontro a responsabilità se collocosulla mia proprietà,delle telecamere puntate verso la strada antistante?”
Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione molto delicata, su cui ha avuto modo recentemente di pronunciarsi la Corte di Cassazione, con sentenza n. 20527/2019,in relazione alla condotta di due cittadini, che avendo installato un sistema di videosorveglianza sul muro perimetrale della loro abitazione, erano stati accusati dagli abitanti della zona,di violenza privata ai sensi dell’art. 610 c.p., il quale punisce espressamente: “Chiunque con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa, è punito con la reclusione fino a 4 anni”.
Nel caso in esameinfatti, i vicini dei due imputati, avevano lamentato la lesione del diritto alla libera autodeterminazione, perché costretti a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell’espletamento delle loro attività quotidiane, nonché obbligati a cambiare alcune delle loro abitudini, come l’individuazione di percorsi alternativi per rientrare a casao di altre aree di sosta dei veicoli, pur di sottrarsi alle riprese delle telecamere.
Tuttavia, la Corte di Cassazione adita, nell’effettuare il necessario bilanciamento tra i due distinti diritti fondamentali vantati dalle parti opposte: da un lato la libertà individuale dei vicini, dall’altra, la sicurezza personale cui era finalizzata l’istallazione delle telecamere da parte dei due imputati, rilevava che questi ultimi, perfettamente in linea con i principi sanciti nel Codice in Materia dei Dati Personali, che stabilisce che: “Chiunque istalli un sistema di videosorveglianza deve provvedere a segnalarne la presenza, facendo in modo che qualunque soggetto che si avvicini all’area interessata dalle riprese sia avvisato della presenza di telecamere già prima di entrare nel loro raggio di azione”, avevano in effetti posto in essere le opportune segnalazioni tramite appositi cartelli, collocati a ridosso dell’area interessata, ed in modo tale da risultare ben visibili, effettuando dunque, tutte gli avvertimenti e le precauzioni idonee a consentire a chiunque di autodeterminarsi, selezionando scientemente i comportamenti da tenere.
Tali risultanze, unitamente peraltro, alla constatazione della totale assenza di alcuna coartazione nei confronti degli abitanti della zona, atta ad integrare la fattispecie criminosa in esame, aveva determinato la Suprema Corte nell’escludere la sussistenza delle accuse mosse ai danni dei due soggetti, i quali venivano perciò assolti.
Pertanto, in risposta alla domanda del nostro lettore e in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità, si può affermare che: “L’istallazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito, non costituisce in sé un’attività illecita, e neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini registrato da parte degli abitanti, una grave offesa al bene giuridico della libertà di autodeterminazione”, dal momento che“non può ragionevolmente escludersi che il sistema di videosorveglianza sia finalizzato proprio alla protezione di beni primari quali la sicurezza, la vita e la proprietà privata, essendo stata peraltro rispettata la prescrizione della preventiva informazione al pubblico” (Cass. Pen.; Sez. V; Sent. n. 20527/19; Dep. il 13.05.2019).
Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima.
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