Razzismo e disagio sociale. Alika è stato ucciso dalla politica italiana, che fa finta di niente
L’indifferenza di Civitanova, la componente razzista prontamente sgonfiata, le prossime elezioni alzate subito a vessillo di un furbo silenzio "per evitare strumentalizzazioni". Comunque la si giri, Destra e Sinistra italiana sono ugualmente coinvolte nell’ultimo dramma consumatosi il 29 luglio (leggi qui) dove Alika Ogorchukwu ha perso la vita. E, come a fare da èco, anche nella tragedia sfiorata di Recanati la stessa notte (leggi qui) e nel più tragicomico episodio di sabato 30 luglio (leggi qui).
Che lo si voglia ammettere o meno, "la paura dell’uomo nero", dello straniero che sbarca a Lampedusa o arriva dall'Est, si prende il lavoro che spetterebbe ad altri, e approfitta dove può della libertà concessagli dallo Stato (magari soverchiandone le leggi), continuano ad essere argomenti (se non disfunzioni ataviche) ben radicati nel background culturale di questa nostra società. Conseguenza, inutile negarlo, di certuni discorsi di piazza, oggi sicuramente ridimensionati, ma comunque figli di una mentalità rimasta ferma al secolo scorso.
Il che, ovviamente, non fa che alimentare quelle ideologie che, come semi di pianta, trovano sempre terreno fertile laddove ignoranza e sofferto disagio predispongono al maggese in vista della futura mietitura. I frutti della rabbia e dell’insofferenza, buoni in ogni stagione, diventano presto cavalli di battaglia per il nostro teatro politico, che di utile e costruttivo non riesce più a offire nulla se non del mediocre intrattenimento da prima serata. L’importante, questa è l’impressione che traspare, è avere sempre “il diverso” a cui imputare ogni colpa, assieme alla compagine politica che lo difende sbandierando con poca convinzione il gonfalone dei diritti umani e civili. Una modus operandi ormai fin troppo prevedibile, ma che rispecchia fedelmente la democrazia rappresentativa di cui facciamo parte.
Il tutto, alla luce del fatto che il cosiddetto “razzismo” rimane di per sé un concetto privo di ogni valenza scientifica, che pretende di basarsi sullle variabilità fenotipiche della specie umana per giustificare l'esistenza di una sorta di gerarchia sociale, dove una certa comunità di individui è da considerarsi superiore rispetto a un’altra. Lo stesso motivo per cui, oggi, queste presunte "razze inferiori", le chiamiamo più semplicemente “minoranze”. Almeno così si scongiura il rischio di facili fascismi.
Ecco che allora lo sforzo da compiere, anzitutto, dovrebbe essere quello tornare ad indagare con ossequiosa umiltà sulle radici di quell’odio malcelato (di razza, pensiero, colore della pelle o religione che sia) di cui rischiamo di riconoscerci - prima o poi - tutti portatori “sani”. E che silente come lava vulcanica rimane in attesa di eruttare con tutte le sue disastrose conseguenze.
Altrimenti, tanto vale prepararsi a nuove, scioccanti scene riprese col cellulare, a fare i conti con l’insensibilità strutturale che ormai ci appartiene rispetto a certe immagini, e ai filtri da pellicola cinematografica con i quali tendiamo puntualmente a descrivere eventi di straordinaria realtà. Questo, almeno, per come siamo abituati a intenderla qui nel ricco occidente; altrove, la violenza è persino all’ordine del giorno.
Può darsi che Filippo Ferlazzo abbia asserito il vero quando, nel giustificare il suo insensato quanto definitivo gesto, ha confessato che non vi fosse alla base alcuna “motivazione razziale”. Ma la psicologia, in questi casi, insegna a volgere la lente d’ingrandimento lì, dove termina la giurisdizione della coscienza e inizia quella del subconscio (fatto di altri linguaggi e forme di espressione, spesso prodotti di somatizzazioni, rielaborazioni o rigetti della razionalità stessa). Il che, magari, potrà aiutare noialtri a comprendere come, dopo almeno 5 minuti di blackout mentale, abbia fatto seguito alla feroce e inconsapevole violenza, la fredda lucidità di portare via (per non dire rubare) il cellulare del povero Alika.
Nel frattempo, l’attuale politica italiana (guidata da Partito Democratico, Lega e Fratelli d’Italia, e appresso tutte le liste e i mini gruppi) rischia di perdere un’altra occasione per farsi un serio esame di coscienza. Preferendo, nel proprio immobilismo morale ed etico, dar vita ancora una volta a nuove forme di meschinità e ipocrisie di una società divisa fra ricchi e poveri, inautentica, convenzionale, sdoppiata falsamente da ciò che ciascuno pensa, e immersa in un clima di costante menzogna. Un po’ come “gli indifferenti” borghesi di Alberto Moravia.
Noi cittadini, nell’attesa che qualcosa cambi, possiamo pure continuare a manifestare come meglio crediamo il nostro dissenso, a scendere in piazza, a provare ad alzare la voce ogni volta che lo riteniamo opportuno, a metterci una pezza sopra, a dire che ‘non dimenticheremo’. E, infine, a domandarci: “se Alika Ogorchukwu fosse stato italiano o di qualsiasi altra nazionalità, sarebbe morto lo stesso o avremmo assistito a un finale diverso?”
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