Un maceratese in Guinea Bissau, la storia di Paolo: "Da occidentale privilegiato ho riscoperto l'umanità" (FOTO E VIDEO)
Le nove ore di aereo che separano l’Italia dalla Guinea Bissau dischiudono una distanza culturale profonda, delle differenze difficili da immaginare - figuriamoci comprendere - per un occidentale pasciuto e immerso nella ricchezza europea.
A fare da ponte fra i due mondi è Paolo Rita, agronomo maceratese classe 1997 che da oltre un anno vive e lavora nel piccolo paese dell’Africa occidentale. Dopo la laurea magistrale conseguita all’Università di Bologna, ha ottenuto un tirocinio (poi convertito in un contratto regolare) nel programma europeo “Ianda Guiné”, tramite la ONG di Cuneo “LVIA” leader dell'azione legata alla produzione di riso.
Non è certo questa la sede adatta per ripercorrere la storia del continente africano, complessa e profonda quanto sconosciuta all’eurocentrico occidentale di oggi. Basti ricordare che il piccolo paese (confinante con il ricco e filoeuropeo Senegal) rappresenta un’eccezione nel contesto dell’Africa occidentale, quasi esclusivamente francofona, in quanto ex-colonia portoghese.
Una difficile storia di dominazione coloniale e riconquista dell’autonomia a partire dal 1959, guidata dall’eroe nazionale Amilcar Cabral (“il padre del paese”). Le cicatrici lasciate da secoli di sfruttamento e abbandono sono ancora visibili fra colpi di stato e instabilità economica, politica e sociale.
Quello di Paolo è un punto di vista privilegiato - in tutti i sensi - su uno dei paesi più poveri al mondo, come spiegato nell’intervista che segue. E nella quale emergono luci e ombre di un’esperienza che si propone di offrire una finestra dalla quale osservare un altro aspetto del mondo e della società occidentale.
“Non avrei mai pensato di finire in Africa - racconta -, sapevo di voler viaggiare ma non avevo preso in considerazione questa meta fino a quando non sono stato contattato da LVIA per Ianda Guiné, il progetto più grande dell’Unione Europea in Guinea Bissau. Si tratta di un programma che cerca di aiutare e sostenere in modo onnicomprensivo l’intero paese: dalla salute alla sovranità alimentare, con interventi mirati sulla società e sulle infrastrutture”.
Qual’è il tuo ruolo nel progetto? “Io lavoro come assistente agronomo junior all’interno di ‘Ianda Guiné Arrus’, l’azione principale fra le otto che costituiscono il progetto, e che si occupa della coltura del riso: fonte primaria di sostentamento interno della Guinea”.
Hai avvertito lo shock culturale? “L’impatto con il paese è stato pittoresco e traumatico: se da un lato ci sono forti mancanze nelle infrastrutture, dall’altro a livello umano ci sono una coesione e una felicità che trovo invidiabili”.
“Se da un lato colpisce la condizione delle strade che, le rare volte in cui sono presenti, sono al limite del praticabile, dall’altro ci sono la spontaneità e il senso di comunità della popolazione - aggiunge Paolo -. Non voglio scadere nel banale ma devo dire che ora, quando torno a Macerata, rimango deluso dalla diffidenza e dalla freddezza dei miei concittadini. La serenità che si respira qui è assente nei paesi occidentali”.
Cosa ne pensi dei progetti UE per i paesi africani? “Arrivano a sovrapporsi allo Stato in molte occasioni. Interventi nella società per l’emancipazione femminile, però, sortiscono i loro effetti solo dopo decenni. Il budget è collocato specificatamente in determinate aree in cui la differenza è palpabile: è stato costruito un ponte che collega le tabancas (i villaggi ndr) all’ospedale, riducendo i tempi di percorrenza da più di due ore a quindici minuti. O ancora, un altro progetto UE ha costruito un centro per donne che hanno subito violenza nel quale viene loro insegnato il lavoro sartoriale (di solito affidato agli uomini). Ora il centro è diventato una sorta di azienda tessile che produce e vende vestiti, garantendo uno stipendio fisso alle lavoratrici e, quindi, l’indipendenza economica”.
E una volta che scadranno i contratti? “Lo Stato dovrà farsi carico delle spese di manutenzione e gestione. In realtà, succede fin troppo spesso che alcune costruzioni, ad esempio, diventino cattedrali nel deserto, abbandonate non appena gli Europei lasciano il paese”.
Per questo motivo, scopo principale dei progetti dell’Unione è quello di formare gli abitanti locali, cercando di trasmettere conoscenze e competenze. Ciononostante, sorgono altre problematiche: gli stipendi statali sono bassissimi, quando non completamente assenti. “I docenti non sono stati pagati per un anno - sottolinea - e i medici sono spesso costretti a chiedere un pagamento diretto ai pazienti, che nella maggior parte dei casi non possono permettersi. Con uno stipendio di 150 euro al mese da medico non sopravvivi”.
Potendo tornare indietro rifaresti le stesse scelte? “É la scelta migliore che abbia preso in vita mia: il perimetro del mio mondo si è allargato e inizio a rendermi conto di quanto il genere umano sia variegato e complesso. Ora, quando torno in Europa, guardo con occhi diversi le cose che fino ad un anno fa davo per scontate. Dall’efficenza di una sanità pubblica gratuita al semplice comfort della televisione. Eppure non riesco a non notare come i rapporti umani si siano svuotati nel nostro mondo. Qui le relazioni sono molto più vere ed oneste e anche il contesto lavorativo non è sempre e solo finalizzato al guadagno, ma c’è un risvolto sociale importante.”
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