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Attualità Civitanova Marche

Morte e disperazione: riflessioni sulla morte di Alika Ogorchukwu e il bipolarismo di Filippo Ferlazzo

Morte e disperazione: riflessioni sulla morte di Alika Ogorchukwu e il bipolarismo di Filippo Ferlazzo

Articolo scritto da Gt001

Sono state spese tante parole su quanto accaduto a Civitanova Marche in relazione alla morte di Alika Ogorchukwu, un episodio che ha scosso nel profondo una piccola comunità.

Ho aspettato qualche giorno a mettere in fila alcuni pensieri, perché non nego che anch’io ci ho messo un po' a liberarmi del suo carico emotivo. Per elaborare una qualche riflessione occorre avere prima di tutto la giusta sequenza degli eventi accaduti ed anche la successiva “fotografia” emotiva derivante dalle reazioni conseguenti e non è possibile farlo nell’immediato.

Ciò che mi ha colpito, non sono state tanto le considerazioni di chi ha stigmatizzato un eccesso di voyeurismo a cui non è corrisposto un altrettanto pronto attivismo nel sedare lo scontro, o in alternativa chi ha descritto l’assassinato come un soggetto incline alla provocazione e quindi, pur nell’abnormità dell’accaduto, comunque avviato ad un percorso che avesse già una sua predisposizione ad un epilogo violento.

Il povero Alika per chi lo conosceva, nonostante una lunga permanenza a Civitanova Marche, era sempre meno ambulante e sempre più mendicante, mentre il suo assassino Filippo Ferlazzo ha una storia clinica che ne ha certificato una sindrome psichiatrica bipolare con comportamenti psicotici.

Ferlazzo, era in carico a diversi servizi psichiatrici, tanto da avere necessità di un amministratore di sostegno, compito che era gravato sulla sua stessa madre che in precedenza era stata costretta ad autodifendersi facendo internare il figlio con trattamenti sanitari obbligatori. Come possono due realtà border line, confrontarsi fino a giungere alle conseguenze più estreme senza prendere atto del fatto che viviamo sempre più frequentemente in una società non in grado di contenere forme così chiare di disagio?

Qual è diventato il senso del vivere comune se chi diventa più debole o esposto viene abbandonato in un angolo, finché steso esanime su un qualsiasi selciato, diventa lo scoop giornalistico per una settima, in cui vengono sviscerati i meandri più morbosi della disperazione umana, facendo diventare secondaria la domanda più complicata da porre e cioè…. Perché questo è potuto avvenire?

Quanto accaduto per quanto triste, dal mio punto di vista è la conseguenza evolutiva abbastanza lineare, di un percorso che negli anni ci ha portati ad essere sempre meno una società coesa ed attenta al fatto che i bisogni dei singoli, siano essi di natura sanitaria o più propriamente legati alla sopravvivenza, devono trovare risposta nel diritto e nelle istituzioni.

Complici anche istituzioni politiche e sociali, non più in grado di dare risposte concrete, se non attraverso slogan, brevi di effetto, divisivi e volutamente incompleti, sempre più diretti alle nostre pance più che al nostro cervello e questo purtroppo aggiungo da ogni credo essi arrivino.

 

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