La moda nel diritto mussulmano spiegata dal professor Testa Bappenheim
Si è tenuto ieri il convegno “ Digital Way – Fashion edition”, convegno della Federmoda-CNA Marche Sud, a Porto Sant’Elpidio, un incontro per gli imprenditori del settore che da sempre contraddistingue il nostro Paese nel mondo. Tra gli argomenti trattati: le regole halal nel settore moda con l’intervento del professor Stefano Testa Bappenheim , professore della Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Camerino.
Abbiamo voluto approfondire l’argomento con il professor Testa Bappenhaim, per fare chiarezza tra stereotipi e la realtà del diritto mussulmano.
Nell'immaginario collettivo la moda e la religione islamica sono mondi lontanissimi e che non hanno nulla in comune. Quanto quest'affermazione è vera?
Beh, no, la realtà è un po’ più complessa, come spiega il mio corso di Diritto musulmano e dei Paesi islamici presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Camerino. Il Sole24ore del 14 marzo scorso titolava: dalla Francia agli Emirati il boom della cosmetica halal, il Sole24ore del 3 maggio diceva: Emirati Arabi, la nuova frontiera del Made in Italy. L’anno scorso Donna Karan ha disegnato alcuni abiti specificamente pensati per la clientela islamica, quest’anno sono arrivati Dolce e Gabbana con la loro linea Abaya, poi H&M, ed altri: la sola moda islamica, detta modest fashion, è stimata intorno ai 500 miliardi di dollari l’anno: è un mercato promettente ed immenso, e, più in generale, secondo l’ultimo rapporto del Centro studî di Confindustria, l’export di tutto il Made in Italy del “bello e ben fatto” (ovvero alimentare, arredo, moda ed accessori di fascia alta, destinati alla borghesia globale top-spender) nei 30 principali nuovi mercati aumenterà del 43% nei prossimi 6 anni. Fra questi nuovi mercati troviamo molti Paesi islamici o con alte percentuali di popolazione musulmana, come gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Indonesia, la Turchia, etc., senza contare i milioni di Musulmani che vivono in Europa e nelle Americhe, e che possono essere egualmente raggiunti da prodotti halal.
Cosa è realmente prescritto dalla sharia per l'abbigliamento femminile? Cosa è lecito e cosa no?
La moda islamica è chiamata modest fashion, e suo fenotipo è un abbigliamento sì sobrio, ma anche alla moda e colorato. Se n’è parlato a Torino l’anno scorso, prendendo in esame un mercato, quello della moda islamica, che è quantitativamente enorme e qualitativamente interessante, e che dev’essere maggiormente preso in considerazione dalle griffes occidentali, anche perché sono pochissimi i brand espressamente dedicati a questo target di consumatori, che mostra trend di domanda in continua ascesa.
Nel mondo della globalizzazione quanto la cultura occidentale ha influito su quella occidentale e viceversa riguardo alle donne?
Sa, c’è una notevole trasversalità: quest’estate s’è parlato tanto di burqini come d’un paradigma dell’abbigliamento islamico, ma, senza entrare nel merito della questione, il burqini è stato ideato in Australia e viene prodotto in Australia, sicché direi che la globalizzazione ha fatto cadere, anche in questo contesto, molte barriere.
Come è vista la moda occidentale nel modo islamico?
Ci sono naturalmente molte sfumature, ma direi sostanzialmente bene, come provano alcuni fatti precisi: a febbraio, come ha riportato anche l’ANSA, sono state aperte a Teheran le boutiques monomarca di due nomi nell’empireo della moda italiana: Cavalli e Versace, ed altri grandi nomi stanno per seguirli. Una delle principali riviste statunitensi, il New Yorker, ha dedicato uno degli ultimi numeri alla moda islamica, e all’ultima settimana della moda di New York, poche settimane fa, per la prima volta c’è stata una sfilata di modelle con lo hijab.
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