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Non è la solita sparata - di Sandro Petrone

Non è la solita sparata - di Sandro Petrone

Allora, ricapitoliamo. Se uno studente di 26 anni può legittimamente detenere in un monolocale dell’Oregon, dove vive con la mamma, 13 fra pistole e fucili da guerra, regolarmente acquistati in vario modo, allora negli Stati Uniti chiunque può avere un’arma da estrarre all’improvviso. Quindi, è ragionevole che in tutta la Federazione le procedure della polizia prevedano che gli agenti sparino a raffica al minimo cenno di minaccia, magari contro un ragazzo in sedia a rotelle che muove una mano verso la tasca del jeans, come la scorsa settimana. Salvo scoprire, perquisendo il cadavere crivellato, che era disarmato. Inutile che ogni volta le analisi dei diversi giornali cerchino di ricostruire le motivazioni aberranti dell’assassino del momento, come ora con Chris Harper Mercer, definito suprematista bianco, vicino al neonazismo, ostile agli afroamericani e ossessionato dalla religione. Era un ragazzo con problemi, attaccato in modo morboso alla madre, che aveva frequentato le scuole per studenti con difficoltà, era stato espulso dall’Esercito, introverso, solitario, non brillante. Tanto che non era iscritto al college dove ha perpetrato la strage, ma collaborava con una produzione documentaristica della scuola d’arte drammatica dell’istituto. La voglia di vincere per una volta in un paese che corre spietatamente in un’unica direzione competitiva, diventa violenza. Può accadere a tanti che non riescono a fronteggiare una società delle diseguaglianze, anche da noi. Come chiunque può avere un momento di rabbia, disperazione, perdita di controllo. “Farei saltare tutto…”, è una frase che si sente anche al bar. Per fortuna è difficile che in quei momenti capiti di avere a tiro una bomba. Ma una pistola in tasca o in un cassetto è cosa più comune. Troppo comune negli Stati Uniti. Chris ha ucciso nove studenti, umanamente più fortunati di lui. Ne ha feriti altri sette, tre in modo grave. Compreso il ragazzone trentenne, veterano di guerra, tornato a studiare per poter mantenere il figlio autistico, che non ha esitato a tentare di fermare il killer facendo scudo col proprio corpo agli altri studenti e che ora sorride contento di essere sopravvissuto nonostante i cinque proiettili che lo hanno raggiunto. "Spero di non dover tornare di nuovo qui durante il mio mandato da presidente a fare le condoglianze. Ma, basandomi sulle mie esperienze, non posso garantirlo", ha detto il presidente Obama. "Questa sta diventando in qualche modo una routine. La copertura delle notizie è una routine. La mia risposta qui su questo podio sta diventando una routine. La conversazione dopo l'accaduto è una routine. Stiamo diventando insensibili a tutto questo", ha aggiunto il presidente. “Le preghiere non bastano più. Non posso cambiare le cose da solo, siamo tutti responsabili per questo tipo di tragedie", ha aggiunto sottolineando che gli Usa sono l'unico Paese avanzato dove non sia possibile varare una legge di buon senso sull’uso delle armi da fuoco. La questione è nota. La lobby traversale delle armi blocca qualsiasi iniziativa in Congresso. Obama sa che non può riuscire a far approvare la legge che vorrebbe. Ma, il tempo stringe, tra poco più di un anno si elegge il suo successore alla Casa Bianca. E una rivoluzione di questa portata nel paese della conquista del West e degli sceriffi ha bisogno di molto più tempo. Ce la farà il presidente? Difficile dirlo. Ma intanto ha posto la questione in modo ultimativo, da cui non si può tornare indietro senza assumersi la responsabilità dei prossimi morti. Perciò non è stata la solita sparata

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