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Il terrorismo dei cani sciolti

Il terrorismo dei cani sciolti

Il giovane nero che inveendo contro i bombardamenti britannici in Siria ha quasi sgozzato con un coltello un passeggero e ne ha feriti altri due nella stazione Leytonstone della metropolitana di Londra, secondo Scotland Yard ha commesso un atto di terrorismo, anche se era estraneo alla struttura del sedicente Califfato. Il materiale ritrovato durante le perquisizioni spinge in questa direzione, argomentano gli investigatori, ma l’uomo, precisano, è quasi certamente un cane sciolto che ha condotto un’azione isolata, casuale.

Dietro questa apparente contraddizione c’è la nuova dottrina globale alimentata dall’Isis in cui la differenza tra gesto singolo di follia e atto terroristico risiede nel tenue filo della rivendicazione. Un binomio di presunzioni che si incrociano. Da un lato, chi compie l’attentato presume di agire nel nome di un’organizzazione a cui non è affiliato ma a cui dichiara di ispirarsi. E, dall’altro, l’organizzazione del male in questione, quando lo ritenga conveniente, interviene per attribuirsi l’azione di qualsiasi sconosciuto. E’ in questa perversa complicità la minaccia senza confini che è stata inoculata in seno ad ogni stato democratico.

E così, se ci spostiamo dall’altro lato dell’Oceano, diventa chiaro il capovolgimento a cui Obama è stato costretto in soli sette giorni sul fronte delle minacce interne. Il 26 novembre il presidente aveva mandato gli americani a mangiare il tacchino per santificare il giorno del ringraziamento, rassicurandoli perché “nessuna informazione specifica e credibile segnala la possibilità di un attacco nel paese”. Una settimana dopo, un uomo e una donna arrivati anni fa negli Stati Uniti ed auto convertitisi al radicalismo islamico, hanno compiuto in un centro per disabili di San Bernardino, California, il più sanguinoso attentato sul suolo americano dall’11 settembre 2001.

Obama, però, non sbagliava dicendo che non c’erano segnali. E’ proprio questa la caratteristica del terrorismo “domestico”. Impossibile individuare queste schegge impazzite prima che colpiscano uno o più obiettivi imprevedibili, definiti “soft”, morbidi, proprio perché tanto numerosi e diffusi sul territorio da non poter essere protetti.

"Il terrorismo è entrato in una nuova fase", ha dovuto poi spiegare il 6 dicembre il presidente con uno dei rari discorsi in diretta dalla sala Ovale della Casa Bianca e ha tentato di rincuorare gli americani, ancora sotto shock dopo la strage di San Bernardino, ripetendo: “Ricordiamoci che la libertà è più forte della paura”. Poi, ha puntato su quello che considera il vero problema. Ha chiesto per l'ennesima volta al Congresso di limitare la diffusione delle armi da fuoco. "Bisogna rendere più difficile comprare fucili d'assalto come quelli usati nell'attacco a San Bernardino", ha detto, “Possibile che gente inclusa nella lista nera di chi non può salire su un aereo, perché considerato pericoloso, possa poi tranquillamente comprare un arma da guerra?

"Ipotesi ben poco probabile. A dispetto di quasi quotidiane sparatorie e stragi insensate in tutta la Federazione, la potente lobby dei produttori di armi è riuscita a impedire in modo “bipartisan” qualsiasi regolamentazione, facendo spesso leva sullo spirito di frontiera che anima gli americani. Tanto che oggi da più parti, al contrario, arrivano inviti ad armarsi tutti per fronteggiare la minaccia jihadista. Tanto che, ad interpretare le ansie dell’America profonda, si fa avanti uno dei più estremi candidati repubblicani alle primarie per le presidenziali del prossimo anno. Con una paradossale provocazione elettoralistica, il miliardario newyorkese Donald Trump ha promesso che, se sarà nominato presidente, chiuderà completamente le frontiere degli Stati Uniti a tutti i musulmani, turisti e studenti inclusi.

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