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Storie - Muccia, in fuga dalla guerra nelle casette dei terremotati (FOTO e VIDEO)

Storie - Muccia, in fuga dalla guerra nelle casette dei terremotati (FOTO e VIDEO)

Una ventina tra donne e bambini, ma presto potrebbero essere ancora di più. Una nuova speranza di vita per chi, occhi stanchi e pensieri pesanti alle spalle, è arrivato a Muccia dall’Ucraina per fuggire dalle bombe russe. Un viaggio e una accoglienza nelle 60 Sae messe a disposizione dalla Regione Marche in tutti i comuni del cratere sismico e rese possibili dalla Andrea Bocelli Foundation in collaborazione con l’amministrazione locale.

Un esempio di come la solidarietà di chi ha visto distrutte le proprie abitazioni poco più di cinque anni fa, possa diventare esigenza di normalità in un luogo devastato dal terremoto del 26 ottobre 2016. Qui a Muccia, borgo maceratese di ormai meno di 800 anime a ridosso dei Monti Sibillini, il centro storico continua ad essere zona rossa. E una speranza di ricostruzione si dilata nel tempo per via degli aumenti delle materie prime che hanno interessato le ditte al lavoro nell'area.

Il rumore del fiumiciattolo che attraversa il paese e si infrange contro la sua storia medievale, è l’ultimo esempio di vita rimasto. Poi il silenzio e la nuova vita nelle casette Sae o nei container, oggi speranza per chi si è ritrovato catapultato da un giorno all’altro a 2600 chilometri di distanza da casa.

I profughi ucraini rappresentano per Muccia un futuro possibile; un modo per contrastare l’emorragia di giovani muccesi costretti ad andar via dalla propria terra. Un binomio di forze di volontà nel quale hanno trovato posto anche Julia, Viktoria e i loro figli, che con grande difficoltà parlano di mariti e parenti, secondo loro "impegnati ancora sul proprio posto di lavoro" e non al fronte a combattere. 

“Casa è sempre casa, a Dnipropetrovsk - città da un milione di abitanti attraversata dal fiume Dnepr e situata 200 km a ovest dalla regione del Donbass. Nonostante questo sia un posto immerso nella natura, appena possibile noi vorremmo tornare dalle nostre famiglie. Non sapevamo ci avrebbero portato in un paese distrutto dal terremoto, ma meglio qui che sotto le bombe russe”.

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