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Sanità San Severino Marche

Massei a Maccioni: "Serve una vera programmazione della sanità, no all'ospedale unico"

Massei a Maccioni: "Serve una vera programmazione della sanità, no all'ospedale unico"

“Qualche giorno or sono, leggevo su una testata giornalistica una intervista rilasciata dal direttore dell’Area Vasta 3, dott. Alessandro Maccioni, in cui il funzionario spiegava che 'l’ospedale provinciale ora serve più che mai'.

Addirittura rafforzava il concetto ribadendo in modo retorico “Stiamo andando avanti con il nuovo ospedale. Anche dopo l’esperienza del coronavirus si chiederà qualcuno ? A maggior ragione adesso”.

 Ora, si noterà che il Direttore Maccioni, come anche il Presidente Ceriscioli e l’assessore Sciapichetti, non usano più il termine ospedale “unico” ma quello di “provinciale”: si badi bene, il tentativo – in verità malcelato – è quello di non evocare il termine unico, che anche al profano fa venire in mente la sparizione degli altri; usano il termine provinciale, che è più soft, più equivoco, più morbido. Lo scrive, in una nota stampa, Marco Massei – vicepresidente del comitato a difesa dell’ospedale di San Severino -  facendo riferimento ad alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa dal direttore dell’Area Vasta 3 Alessandro Maccioni sull’Ospedale Unico provinciale.

“La sostanza non cambia – continua Massei -  tutti sanno che in materia sanitaria la “coperta” è corta e i denari utilizzati per costruire una nuova struttura di quel genere (oltre 600 posti letti) costringerebbe la Regione a sopprimere o, a ridimensionare fortemente, tutti gli altri ospedali che, nella migliore delle ipotesi, “retrocederebbero” a “ospedali di comunità”: in pratica, una R.S.A. È bene, dunque, non abboccare all’amo delle distinzioni terminologiche: ospedale unico e ospedale provinciale, sono la stesa cosa”.

“Per quanto riguarda l’ospedale “vecchio” di Macerata – spiega Massei - sorprende leggere che sarebbe in previsione di destinarlo a “ospedale di riserva”, per le emergenze: ma come, si dirà il cittadino medio (come il sottoscritto), dopo le enormi spese affrontate per l’ampliamento dell’ospedale ora la struttura rinnovata la si usa solo come “riserva” o, peggio ancora, per destinarla ad una più comoda sede amministrativa?

Ma se da tutte le parti – pubbliche e private – si predica l’incentivazione (attuale e futura) dello smart working (o lavoro agile, da casa, con il p.c.) come può sussistere la necessità di ampliare le sedi ammistrative? – si domanda - .

Sull’ospedale di San Severino Marche, il Direttore afferma che è l’unico ospedale idoneo, anche se non ha rianimazione: peccato, però, che non ha riferito che questo nosocomio è attualmente strategico per l’intera provincia (soprattutto per i No Covid, come si dice ora) e che solo grazie all’efficienza di tale ospedale - per cui in tanti ci siamo sempre strenuamente battuti - si è evitata una tragedia nella drammatica emergenza del Covid.

E, soprattutto, rammarica leggere che il presidio ospedaliero settempedano – così come segnalato dal primo cittadino – sia anche scomparso dalle “carte” della programmazione regionale: infatti, le delibere regionali n. 272 del 9 marzo e 320 del 12 marzo dimenticano, clamorosamente, il ruolo dell’ospedale di San Severino Marche. Ora, è stata una svista amministrativa della Dirigente?

Oppure, è una “dimenticanza” voluta ? Si domanda il vicepresidente del comitato.

Qualcuno dovrà chiarire, rispondere, ma ad oggi, mi risulta che il silenzio regni sovrano”.

“Credo – prosegue Massei - che sia giunto il momento di attuare una vera programmazione della sanità marchigiana, salvaguardando l’efficienza che aveva in passato, basata proprio sulla capillarità delle strutture sanitarie: la Regione Marche, come sostiene qualcuno, va declinata al plurale, perché è fatta di profonde differenze orografico-territoriali (costa, collina, montagna), di importanti distinzioni economiche (il tessuto produttivo anconetano, pesarese, rispetto a quello della costa maceratese e ascolano e, ancora, rispetto all’interno), di forti differenze viarie ( autostrade, strade a scorrimento veloci, strade comuni e vie impervie).

Tali distinte realtà, in sede di programmazione, anche sanitaria, non possono essere considerate uniformi.

Inoltre, amministrare vuol dire programmare, vedere in avanti, non navigare a vista, senza una meta precisa: le scelte devono essere ponderate in vista del futuro, senza la necessità (tipicamente italiana) di rincorrere l’emergenza. La parola magica è una sola: prevenzione. Qui, però, per così dire, casca l’asino.

In questa tremenda situazione surreale che stiamo tutti vivendo sulla nostra pelle, non ho sentito discutere di prevenzione: non si parla della necessità di reperire personale per effettuare l'esecuzione di tamponi (Il Veneto ha un tasso di letalità molto inferiore alla Lombardia proprio perché ha effettuato tanti tamponi, isolando tempestivamente i casi sospetti); non si parla della opportunità di verificare l'osservanza della quarantena fiduciaria, al fine di evitare i “contagi domestici”; nulla ho sentito in merito all'esecuzione di necessarie indagini epidemiologiche; e, soprattutto, della probabile necessità di dover allestire – ci si augura al più presto o, comunque, entro pochi mesi - centri di vaccinazione cui afferirà gran parte della popolazione quando sarà pronto e distribuito il vaccino anticoronavirus.

Allora, non è il caso di spendere i soldi per queste indispensabili attività di prevenzione, anziché spenderli in “murature “ nuove?” – la domanda finale di Massei a Maccioni - .

 

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