L’Italia sceglie di astenersi: la destra sale al governo e la sinistra torna all’opposizione
Se fosse un film s’intitolerebbe “Sono tornata” (Luca Maniero non me ne voglia). Del resto, essere eredi - e con vanto - di una certa ideologia politica, ha le sue responsabilità e conseguenze. Soprattutto se si ha a che fare con un paese dalla memoria corta. Un fatto da considerare però c’è, come una sorta di profezia: l’appello su Tik Tok di Giorgia Meloni al voto, ammiccante e con due bei frutti tondi alla mano. Roba che farebbe concorrenza alla migliore commedia all’italiana, o al massimo ripensare a qualche serie animata come i Simpson o i Griffin.
E invece è pura realtà social, oltre che piena violazione del silenzio elettorale (da qui la profezia). Un modus operandi comune al centrodestra - lo stesso Matteo Salvini ci è ricascato, dopo le regionali del 2020 - ma che lascia le mani pulite grazie al vuoto normativo mai colmato della legge 212 del 1956. Trovata la falla, tanto vale approfittarne. Ciò non toglie che la vittoria - attenzione, non il trionfo! - di Fratelli d’Italia è stato il risultato inevitabile di un percorso iniziato dieci anni fa sotto il 2%, l’egida della fiamma tricolore e forte di quella frangia estremista di destra che ha sempre auspicato un ritorno al “quando c’era lui”.
Sfondato il tetto del 40% delle preferenze, la già presidente dell’European Conservatives and Reformists Party consacra un successo già annunciato durante l’estate, da prima della caduta del governo Draghi. Nonostante il naufragio stile "Titanic" della Lega e il revival di cera di Forza Italia, il risultato - insieme al dato del 36% relativo agli astensionisti (il più alto della storia repubblicana) - testimonia un savoir faire di Meloni da vera leader. Che avrà comunque bisogno di un tecnocrate (italiano o straniero?) che ora gli spieghi cosa fare per andare oltre parole e promesse.
E gli avversari? Da un primo sguardo non solo percentuale, l’opposizione che si prospetta rischia di essere seriamente la meno rilevante di sempre, complice il futuro incerto del Partito Democratico - la cui debacle del meno 20% dovrà far ulteriormente riflettere su quanto e come sia stato fatto negli ultimi dieci anni - e la capacità del Movimento 5 stelle (oggi terza scelta degli italiani) nel dimostrare di essere qualcosa di più che il primo partito nel Sud Italia. Un dato, quest’ultimo, che dà ulteriormente contezza di come il paese non riesca ancora ad andare oltre certi problemi atavici: l’abisso che continua a separare Nord e Sud, il rapporto malato fra politica, libertà e partecipazione sociale, la nostagia di un gruppo di individui che da oggi si sentiranno più legittimati ad alzare la mano destra tesa. All’inizio, magari, solo per gioco.
Dunque, la sintesi della (nuova?) Italia vede Giorgia Meloni prossima alle stanze di palazzo Chigi; il centrodestra con ogni probabilità - dipende dall’entità delle fratture interne - subirà un rimpasto di adepti a seconda di chi soffierà più forte sulla bandiera; la sinistra, invece, dovrà cospargersi di cenere il capo e preoccuparsi di come tornare a fare opposizione in maniera sana (e soprattutto onesta). Il resto, volenti o nolenti, si registrerà nelle conseguenze sul medio e lungo termine: soprattutto a livello sociale e culturale.
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