Quando la controversa opera di Tennessee Williams, "La dolce ala della giovinezza" (Sweet Bird of Youth) debuttò a Broadway nel 1959, diede in parte ragione di credere che il talento creativo dello stesso drammaturgo americano fosse in fase calante. Ci vollero nel corso del tempo trasposizioni cinematografiche, rivisitazioni e, non l'ultimo, il gusto stesso del regista Pier Luigi Pizzi per ridare lustro e credibilità a un immortale della storia del teatro moderno e contemporaneo.
Posti pieni in platea, balconate un po' più timide. Il pubblico delle occasioni è a rilevanza femminile. Il range di età, con un rapido colpo d'occhio, non volge a favore dei più giovani, comunque accorsi a prender posto all'interno della sempre suggestiva struttura del Teatro Lauro Rossi di Macerata. Ma tant'è: appassionarsi al teatro è un lento esercizio che va coltivato con le opportune costanza e curiosità.
L'attesa si misura in minuti, brusio di chiacchiere leggere e tapping sui cellulari, senza distinzione alcuna fra semplici ammiratori o amanti del teatro di prosa.
Le luci lentamente si spengono. E le prime note di un pianoforte (Stefano Mainetti) danno il via alla pièce. Ad Elena Sofia Ricci viene affidato l'incipit del dramma di Tennessee Williams, nel ruolo della tormentata Alexandra del Lago, star decadente di Hollywood che provata da una notte di alcol e hashish si sveglia e cerca di prendere confidenza con la propria stanza d'albergo. L'interazione con la scenografia da conto allo spettatore della profondità e della scelta di luci forse poco adatta per rendere al meglio i travagli interiori dei protagonisti che man mano si svelano. Finché dallo stesso letto non riprende conoscenza anche il Chance Wayne di Gabriele Anagni, permettendo al pubblico di entrare in confidenza con il gigolò appena rientrato nella sua città natia. Il resto della trama rispetta in maniera convincente la versione di Williams, affidando ai dialoghi quasi scanzonati e i monologhi dolorosi dei due protagonisti il compito di svelare poco alla volta i retroscena di un paio di vite in lotta per restare a galla. Una giovane e disillusa, l'altra adulta ma provata dagli effetti dell'età più dolce. Insieme, fino al tragico epilogo che segnerà il destino di uno dei due.
Dalla platea di spettatori si percepisce la difficoltà di scostarsi dai canoni televisivi, complici alcuni squilli di cellulare e le risatine fuori contesto. I tempi sono diversi, e quelli del teatro a volte sanno essere crudeli. Si deve attendere il secondo atto per scorgere il tipico "sangue e sudore" dal palco, utile a sciogliere e coinvolgere anche il gusto artistico più affinato ed esigente. Gabriele Anagni impone gradualmente la forza del suo personaggio, sfruttando tanto i monologhi quanto le interazioni con gli altri attori. Elena Sofia Ricci in questo sostiene, fa da spalla, si prende il pubblico quando sa di poterlo fare. Confermando di aver fatto del teatro la sua seconda (o, forse, prima) casa.
Una volta chiuse le porte del Teatro Rossi, siamo riusciti - noi di Picchio News - a strappare una breve dichiarazione della stessa Elena Sofia Ricci sulla serata.
Come è andata stasera Elena?
«Direi molto bene. A me piace sempre vivere il palco da spettatrice, per capire le reazioni della gente. E stasera devo dire che il pubblico ha risposto bene, la rappresentazione è piaciuta. Per noi è stata una gioia.»
Siete pronti a ripartire, allora.
«Dopo lo stop che abbiamo dovuto affrontare per via del Covid-19, da oggi e per due mesi siamo davvero pronti. Sperando che non ci fermi più nessuno.»
Quanto è importante per te continuare a lavorare con i giovani e continuare ad aiutarli in questo settore artistico?
«Tantissimo. Io sono un'appassionata di lotte da fare per le nuove generazioni. Bisogna lasciare a chi verrà qualcosa di meglio di quello che stiamo facendo adesso. Ed è anche bellissimo perché i giovani sono pieni di energia e danno tanta soddisfazione. Sono puro "ossigeno", come dice anche Alexandra del Lago.»
Quindi c'è ancora speranza per il teatro?
«Assolutamente, lo spettacolo dal vivo non potrà mai morire. Però dobbiamo lottare.»
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