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Cultura Macerata

"Shi" inaugura la stagione lirica: il commento del maestro Massimo Paolella

"Shi" inaugura la stagione lirica: il commento del maestro Massimo Paolella

Oggi alle 21.00 inizia la 53° Stagione Lirica. Certo all’insegna di grandi novità e annunciati cambiamenti.

Di sicuro fra le novità è da sottolineare la committenza, dopo anni, da parte dell’Associazione Sferisterio, dell’opera SHI (Si faccia), composta da Carlo Boccadoro, che questa sera aprirà la Stagione. Quale miglior occasione per evidenziare, nell’ambito del tema di quest’anno “L’Oriente”, la figura di un nostro celebre concittadino Padre Matteo Ricci (1552-1610). E ancor di più il tributo diventa significativo, in relazione ad un discorso di ottimizzazione delle risorse locali, considerato che il compositore è lui stesso di origini maceratesi. Coinvolgendo, ulteriormente, la sede locale dell’Istituto Confucio, che insieme all’Università degli Studi Macerata sta tessendo relazioni importanti e creando collaborazioni e sinergie significative, auspico che questa bella e mirata operazione di marketing porterà ad un meritato successo allontanando quel senso di isolamento che sta caratterizzando la città in questi ultimi anni.

Immerso in queste riflessioni passeggio, in attesa dell’ingresso in sala, nel foyer del Teatro tra il busto imponente del M° Lauro Rossi (1810-1885) e quello più piccolo del M° Lino Liviabella (1902-1964) entrambi maceratesi; entrambi compositori di rilievo e con una nutrita produzione nelle rispettive epoche; entrambi direttori di grandi istituzioni musicali italiane quali i conservatori di Milano, Bologna, Pesaro e Parma. Chissà se si sentono un po’ abbandonati, non molto valorizzati e provano un pizzico di invidia. Li rassicuro subito. Se il riconoscimento popolare di Matteo Ricci avviene dopo soli 500 anni, loro dovranno aspettare ancora un po'. Ma ecco le porte si aprono, corro al mio posto in religioso silenzio.

Ho sempre del timore reverenziale per i luoghi dove si fa teatro. Nell’ambito del primo appuntamento degli aperitivi culturali, avvenuto nel pomeriggio di oggi, il M° Micheli, direttore artistico (per l’ultimo anno) di Macerata Opera Festival, ha pronunciato una frase che mi ha molto compito: “Nella Lirica la sensibilità è tutto”. Diciamo che non è facile immaginare quanta gente gira intorno ad un palcoscenico per una qualsiasi rappresentazione teatrale. Le diverse maestranze si impegnano, ognuna per le proprie competenze, affinché si possa ottenere il miglior risultato possibile. L’energia che si manifesta sul palcoscenico è captata, tramite la sfera sensoriale, dai presenti, e le sensazioni percepite, belle o brutte che siano, inevitabilmente vanno ad arricchire e stimolare la sensibilità di ognuno di noi. Entrando in teatro si deve rammentare questo e allora è d’uopo entrarci con il dovuto rispetto per il luogo e per le competenze di chi ci lavora. Ma ritorniamo in sala.

Non si può parlare del tutto esaurito (i palchi del terzo ordine sono quasi vuoti) ma l’affluenza è numerosa. Teniamo presente che trattasi di opera contemporanea. Diciamo che l’organizzazione è buona, in sala è presente gente elegante, un po’ stravagante. Numerose cariche istituzionali tra le quali il Sindaco Carancini (Presidente dell’Associazione Sferisterio), il Presidente della Provincia di Macerata Pettinari che hanno dialogato animatamente tra loro per tutto il tempo fino all’inizio.

Un elemento da evidenziare, di concerto con quanto prima espresso, è il coinvolgimento, in relazione alla Progettazione di scene, costumi e luci, dell’Accademia delle Belle Arti di Macerata che, dopo anni di collaborazioni e tirocini tra le quinte dello Sferisterio, in questa occasione è coinvolta in modo esclusivo. L’Istituzione è presente in maniera imponete tra il pubblico in sala con tutti i suoi esponenti di spicco: Presidente, Direttrice, numerosi professori e un gran numero di studenti.

I musicisti sono ai loro rispettivi posti, in scena tutto è pronto, il direttore entra in sala. Lo spettacolo ha inizio.

Rimando, per quanto riguarda la trama dell’opera, alle note al libretto di Cecilia Ligorio che spiegano in maniera esaustiva l’impostazione generale del lavoro.

In presenza di un’opera nuova è difficile, a meno non si possegga una competenza specifica nell’ambito della composizione contemporanea, dare dei giudizi e dire che possa essere un prodotto che rimarrà o cadrà nel dimenticatoio. Troppi sono i casi in cui ci si è esposti per poi essere terribilmente smentiti dalla storia. Il primo che mi viene in mente è il caso Salieri; compositore acclamatissimo, super elogiato richiestissimo a Vienna (all’epoca centro della musica mondiale) dove era musicista di corte. Le sue opere mandavano in delirio i pubblici dell’epoca, la sua fama ha completamente schiacciato il grande Mozart che è stato costretto a vivere negli stenti. Ora Salieri lo si ricorda solo grazie al film di Milos Forman “Amadeus” dove poi il protagonista è Mozart. Le composizioni di Salieri sono ormai dimenticate, al contrario il genio salisburghese non solo è onnipresente con la sua musica in tutte le sale da concerto e tutti i teatri d’opera mondiali (al Festival dei due Mondi di Spoleto quest’anno hanno rappresentato il Don Giovanni e l’anno prossimo questo titolo sarà presente nella programmazione maceratese), ma la sua produzione è ancora caratterizzata da elementi di un’attualità del tutto sconvolgente. E allora che cosa dire. Beh posso esporre le sensazioni che ho provato.

L’idea del protagonista in scena uno e trino, (a seconda del punto di vista del Viaggiatore, di Matteo e dell’Uomo che guarda), anche se non proprio originale, è molto funzionale e, grazie ad una regia equilibrata (Cecilia Ligorio ricopre i ruoli di autore del testo e regista), non genera mai incomprensioni.

Gli interpreti rispettivamente Simone Tangolo (attore) Roberto Abbondanza e Bruno Taddia (baritoni) sono assolutamente all’altezza del ruolo che ricoprono. Molto efficaci i cantanti nel duetto della memorizzazione della lingua cinese. Forse il momento migliore dell’opera.

L’organico orchestrale, diretto dal compositore Carlo Boccadoro, è composto da due pianoforti (Andrea Rebaudengo, Paolo Gorini) e percussioni (Tetraktis Percussioni Ensemble). Questa tipologia di organico utilizzata in numerose occasioni è molto collaudata nella sua funzionalità. La musica, come ha espresso l’autore, “non è quella delle avanguardie ostili” in effetti non si creano mai sensazioni di disturbo con suoni particolarmente stridenti, acuti o addirittura rumori, ma accompagna i cantanti in modo uniforme. A dire il vero mi sarei aspettato una maggiore ricerca timbrica nella sottolineatura del testo sfruttando il più possibile la potenzialità dei numerosi strumenti che caratterizzano il mondo delle percussioni. Forse si è un po’ abusato della tipologia del tutti insieme con effetto di crescendo e diminuendo creando così un substrato ritmico omogeneo e perdendo, di conseguenza, qualche peculiarità timbrica.

 

Le scene e i costumi, eleganti e raffinati, per mezzo di espedienti tecnologici (proiezioni etc.) sono di sicuro effetto. In fin dei conti, nonostante la contemporaneità dell’operazione, mi sembra che ci sia stata una volontà comune nel rappresentare l’argomento utilizzando stilemi oggettivamente belli, collaudati dalla tradizione, senza osare mai e sfociare nella sperimentazione fine a sé stessa. Lo spettacolo è fruibile e adatto a molti. La durata è di circa un’ora e 15 minuti. Le prossime rappresentazioni il 26 luglio, 2 e 9 agosto sempre al Lauro Rossi.  

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