Aggiornato alle: 20:01 Martedì, 26 Novembre 2024 cielo coperto (MC)
Cultura Macerata

Madama Butterfly, l'abilità del direttore d'orchestra e la "debolezza" dei violini

Madama Butterfly, l'abilità del direttore d'orchestra e la "debolezza" dei violini

Dopo non poche peripezie riesco a ritornare allo Sferisterio ed ascoltare la seconda di Madama Butterfly. Bella l’idea di chiudere Piazza Nazario Sauro e di arricchirla con delle panchine a mo’ di salottino, foyer del teatro. C’è un senso di partecipazione maggiore di questa parte della città all’evento che dovrebbe essere il principale del territorio. La serata è piacevole e anche la poca brezza presente all’inizio si ferma come per far meglio sentire e apprezzare la ricchezza dei dettagli della musica. Madama Butterfly tratta da un dramma di David Belasco a cui Puccini aveva assistito a Londra nel 1900, è stata molto amata dal compositore che ha creduto nel suo enorme valore e lo ha sempre difeso anche dopo l’insuccesso della prima rappresentazione, avvenuta a Milano, Teatro alla Scala, il 17 febbraio 1904. Tra i motivi della caduta è certo da annoverare la divisione dell’opera in due soli atti, il secondo dei quali, comprendendo per intero gli attuali secondo e terzo atto, risultava di una lunghezza eccessiva. Ripresentata a Brescia il 28 maggio dello stesso anno, dopo aver apportato da grande uomo di teatro quale era, le dovute modifiche ebbe un’enorme successo e cominciò la sua grande popolarità.

L’opera è sostanzialmente centrata sul personaggio di Cio-Cio-San (soprano – in questa produzione Maria Josè Siri) il cui carattere ha uno sviluppo coerente passando dalla ingenuità iniziale ai primi sospetti sul proprio destino, fino al terzo atto in cui, rassegnata, domina assoluta sulla scena. Intorno a lei si muove con delicata partecipazione la serva Suzuki (mezzosoprano – Manuela Custer). Gli altri sono più pallide figure come Pinkerton (Tenore – Antonello Palombi) e Sharpless (Baritono – Alberto Mastromarino) o macchiette come Goro (Tenore – Nicola Pamio) e Yamadori (tenore – Andrea Porta). Al contrario di Turandot Butterfly è un’opera molto intima. L’autore, attento all’atmosfera esotica del dramma, ricorre talvolta a ritmi e motivi giapponesi, liberamente reinventati; numerosi passi sono caratterizzati da delicati interventi con strumenti solistici che ben si adattano al personaggio della fragile geisha. Un paio sono gli interventi corali più significativi, abbastanza brevi, uno nel primo l’altro nel secondo atto. Quest’ultimo però, fuori scena e a bocca chiusa, costituisce un momento tra i più suggestivi e famosi dell’intera produzione operistica italiana.

In questa produzione il regista (Nicola Berloffa) ha collocato l’azione all’epoca dell’invasione americana del Giappone, nel 1945, in un teatro tradizionale giapponese luogo di incontro e vendita delle geishe dove Butterfly viene comprata da Pinkerton. Il contrasto tra culture diverse fa mutare il teatro in un cinematografo (Butterfly, ormai naturalizzata americana, vive lì) dove vengono proiettate, per i soldati americani, pellicole della Hollywood degli anni Quaranta. Anche il contrasto tra i costumi dei soldati e quelli tradizionali nipponici tende ad amplificare la differenza tra i due popoli. Scena molto funzionale, coerente e estremamente rispettosa della musica. A dire il vero l’unica cosa che un po’ ha infastidito è stato il rumore della macchina da presa del cinematografo, a volte, troppo presente.

La vera protagonista della serata è stata la musica. Non voglio assolutamente togliere niente alla soprano e agli altri protagonisti che hanno dimostrato di essere all’altezza del ruolo possedendone sempre il controllo e avendolo analizzato fin nelle più piccole sfaccettature, ma sono fermamente convinto che la riuscita di una rappresentazione lirica è da attribuirsi ad una buona esecuzione musicale che come collante deve avvolgere tutti, esaltando le varie caratteristiche di ognuno, dal primo protagonista al più piccolo intervento del comprimario passando per il coro fino addirittura alle masse dei figuranti.

Il vero artefice di tutto ciò è il direttore d’orchestra. Data la mia formazione tendo ad essere nei confronti dei Maestri concertatori, da una parte indulgente perché capisco le effettive difficoltà (avendo studiata o magari diretta la partitura) dall’altra spietato quando rilevo uno studio fatto in modo superficiale o addirittura non si sia in possesso di una tecnica adeguata per ottenere determinati risultati.

Massimo Zanetti ha diretto con maestria, esperienza e classe sottolineando i tanti particolari che caratterizzano la partitura. Con gesto elegante è stato ogni momento con la musica (molti direttori, anche dopo anni di carriera, vanno solo dietro alle melodie dei cantanti) e di conseguenza l’orchestra lo ha sempre seguito delineando con perfezione il terreno di azione di ogni protagonista. Questi ultimi quando il loro spazio è ben chiaro si sentono da un lato estremamente liberi, ma anche protetti e non abbandonati a loro stessi perché il direttore, tramite l’orchestra, controlla sempre il loro operato. Quando ti allontani attraverso strade sconosciute stai più tranquillo se per il ritorno hai un navigatore. Di conseguenza il suono di tutti risulta essere più bello, ricco e di un più ampio spettro dinamico. L’orchestra ha suonato nel piano, nel forte, ha sfruttato i crescendo e i diminuendo. Sembrava un’altra compagine rispetto a quella di Turandot. Numerosi gli effetti agogici (sono quelle piccole differenze di tempo che caratterizzano qualsiasi discorso sia parlato che musicale) tutti espressi con estrema naturalezza e coerenza. Il pubblico non ha potuto che lasciarsi rapire dalla musica. Visto che sempre più spesso assistiamo a concerti in cui le orchestre suonano da sole (cosa a mio parere altamente diseducativa) è bene ribadire che, nell’ambito di un brano sinfonico o operistico che sia, un direttore è assolutamente necessario per delineare un discorso musicale (un po’ come tracciare un percorso). La sua assenza non esalta mai la bravura dell’orchestra nel fare musica, semmai solo capacità dei propri componenti di contare tutti insieme.

Nonostante si sia riproposta la soluzione del raggruppamento in soli due atti, che un secolo fa aveva contribuito all’insuccesso della prima dovuta ad una seconda parte troppo lunga, la qualità musicale ha ben colmato e fatto superare questa lacuna. A onor del vero c’è da dire che una parte del merito va anche attribuita alle grandi composizioni del secolo scorso che hanno abituato il pubblico a tempi di attenzione più lunghi. Basta pensare alle sinfonie di Bruckner, Mahler e Shostakovic.

Il coro diretto dal Maestro Carlo Morganti (esperto frequentatore di palcoscenici con una conoscenza impressionante del repertorio lirico e della voce) ha dimostrato una buona duttilità e garantito un discreto livello. Suggestivo il finale del secondo atto, anche in un contesto all’aperto come il nostro dove è inevitabile il sibilo degli aerei che transitano nel cielo sopra lo Sferisterio e dove pure ancora non si riesce ad eliminare il rumore di qualche motorino che, smarmittato, percorre la via adiacente verso il quartiere della Pace.

Un’osservazione va assolutamente precisata. Ho assistito alla seconda recita che notoriamente vede gli interpreti liberarsi di tutte le tensioni che caratterizzano la prima rappresentazione. Colgo l’occasione per stigmatizzare qualche problematica non specifica dell’opera ma ricorrente durante le stagioni.

L’orchestra risulta essere l’anello più debole delle produzione maceratesi. La sezione dei violini, estremamente leggera, anche questa sera non è stata molto presente. Visto che è ormai la terza volta che evidenzio questa problematica provo anche a dare qualche spiegazione e fare qualche osservazione. Quando una sezione non si sente non ci sono molte alternative. A meno che la metà dei violinisti, a cena, fuori l’Arena, non abbia mangiato qualcosa che possa aver creato problemi di digestione o altro, (visto comunque che non parliamo di un caso singolo), bisogna spendere due parole su come vengono ingaggiati i musicisti stessi. È importante essere a conoscenza delle competenze di chi effettua l’ingaggio e del criterio applicato per il relativo reclutamento. Personalmente ho notato un certo numero di orchestrali molto giovani. Non che abbia qualcosa in contrario, si può sempre incontrare un giovane talento che suona come Paganini. Ma non essendo in Cina, dove i bambini prendono in mano uno strumento all’età di due anni, e non avendo notato in buca altrettanti giovani Paganini è bene fare delle precisazioni. È noto che il suonare i primi tempi in orchestra è abbastanza traumatico anche per chi è molto dotato, semplicemente perché le priorità del suonare insieme sono diverse da quelle che caratterizzano il solista e, cosa non da poco, si suona sotto direzione. È del tutto naturale che in questa situazione il suono risulti più debole. Per questi giovani, qui mi rivolgo al responsabile artistico dell’orchestra, è stata prevista una necessaria fase per l’inserimento magari facendoli suonare in un gruppo di soli archi sotto la bacchetta di qualcuno? Questo è assolutamente necessario se si vuole, nel minor tempo possibile, avere degli orchestrali con una gamma di sonorità necessaria per affrontare il repertorio operistico otto-novecentesco. Altrimenti è lecito pensare che l’inserimento di giovani leve sia una mera operazione al risparmio; un giovane costa meno. Attenzione nelle pieghe del risparmio si possono annidare azioni che poco hanno a che fare con la qualità musicale e con l’etica in generale.

Lo spettacolo va assolutamente visto: è comunque nutrimento per l’anima e lo spirito.

 

Non riuscendo ad assistere alla prima di Aida non potrò recensirla. Ringrazio il direttore di Picchio News per avermi dato, per il secondo anno consecutivo, la possibilità di raccontare qualcosa sulle opere che sono andate in scena nella nostra amata Arena. Saluto i lettori del giornale, che, quest’anno, risultano essere stati numerosi, con un arrivederci alle prossime recensioni.   

Commenti

Copyright © 2020 Picchio News s.r.l.s | P.IVA 01914260433
Registrazione al Tribunale di Macerata n. 4235/2019 R.G.N.C. - n. 642/2020 Reg. Pubbl. - n. 91 Cron.
Registration Login
Sign in with social account
or
Lost your Password?
Registration Login
Registration
Comuni