Renata Rapposelli ritrovata morta a Tolentino: confermata condanna al figlio per l'omicidio della madre
Nell’ottobre del 2017 alcuni amici di Renata Rapposelli, pittrice anconetana di 64 anni, ne denunciarono la scomparsa. La donna venne ritrovata morta il mese successivo, a Tolentino, lungo l’argine del fiume Chienti, da un muratore che si era fermato lì per una sosta.
Gli investigatori si concentrarono immediatamente sulla famiglia Santoleri: Giuseppe, 70 anni e Simone, 46 anni, rispettivamente ex marito e figlio della donna uccisa.
Dalle indagini era emerso che la donna nei giorni della scomparsa si era recata nella loro casa a Giulianova (Teramo). Padre e figlio l’avevano invitata con la falsa scusa di gravi problemi di salute del figlio Simone, mentre in realtà l’intento era quello di farla desistere dalle sue pretese economiche per il mantenimento.
Al termine di un’accesa discussione la donna sarebbe stata strangolata dal figlio. In particolare i giudici di primo grado, nella sentenza che ha condannato Simone a 27 anni e il padre a 24 anni di carcere per omicidio volontario in concorso e per la distruzione del cadavere, hanno descritto il movente nel “mai sopito disprezzo della figura materna” nutrito dal figlio.
Il 46enne l'avrebbe strangolata a mani nude in casa, per poi scaricare il corpo a Tolentino, lungo l’argine del fiume, dentro un sacchetto della spazzatura, con l’aiuto del padre. I giudici hanno riscontrato “indizi gravi, precisi e concordanti che rilevano in modo innegabile un radicato e risalente sentimento di rancore (da parte del figlio) nei confronti della vittima”.
Simone ha sempre negato le accuse, mentre il padre invece ha dichiarato di aver assecondato sempre le scelte del figlio perché “remissivo e succube”. Il 16 dicembre 2021 la Corte d’Assise d’ Appello del tribunale de l’Aquila ha confermato la condanna per Simone, mentre l’ex marito Giuseppe ha avuto uno sconto della pena da 24 a 18 anni.
Dalla perizia psichiatrica è emerso il risentimento di Simone nei confronti della madre; quello stesso risentimento che l’uomo non ha nascosto nelle interviste televisive rilasciate anche nell’immediatezza del fatto. Un disagio familiare protrattosi nel tempo, oltre che dissapori per il denaro .
Un figlio che i testimoni hanno descritto come “una persona disturbata che aveva deliri e allucinazioni”. E’ proprio la sua ex compagna ad aver raccontato che “Simone con la religione aveva un rapporto molto particolare, ha avuto un periodo in cui diceva che vedeva il diavolo che lo prendeva e lo faceva alzare da terra, lo e lo attaccava ai muri”.
Un disagio relazionale “co costruito”, all’interno di una famiglia che prima di disgregarsi era una famiglia benestante, ma all’interno della quale un figlio è cresciuto con evidenti sofferenze e mancanze che probabilmente i genitori non sono riusciti a riconoscere e colmare.
Lo scenario di quello che è accaduto è molto complesso proprio per le dinamiche di quella famiglia, disgregata e segnata da sentimenti forti e profonde lacerazioni.
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